Giries Mihail, grandi e vispi occhi neri, ha poco meno di 15 anni ma già denota la maturità di un ragazzo al quale la vita ha chiesto di crescere in fretta, come accade, in fondo, a tutti i bambini e i ragazzi di Gaza. “Inshallah!”: “Se Dio vuole”. Lo ripete spesso mentre parliamo nel cortile della parrocchia della Sacra Famiglia...
del 13 gennaio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          “Inshallah!”: “Se Dio vuole”. Lo ripete spesso, mentre parliamo nel cortile della parrocchia della Sacra Famiglia, a Gaza, unico presidio cattolico della Striscia dove i cristiani, sono circa 3.000, quasi tutti ortodossi, su una popolazione di un milione e mezzo, islamica. Al polso un braccialetto di corde intrecciate con i colori della bandiera palestinese, al collo un fazzolettone scout, bianco e giallo, i colori vaticani, del gruppo cui appartiene sin da quando era più piccolo. Giries Mihail, grandi e vispi occhi neri, ha poco meno di 15 anni ma già denota la maturità di un ragazzo al quale la vita ha chiesto di crescere in fretta, come accade, in fondo, a tutti i bambini e i ragazzi di Gaza, sovraffollato lembo di terra segnato da conflitti civili come quello tra Hamas e Fatah a giugno del 2007 e l’operazione israeliana “Piombo fuso” tra la fine del 2008 e l’inizio 2009, le cui conseguenze sono facili da vedere ancora oggi nelle strade della Striscia. Una prigione a cielo aperto, bloccata, sigillata dalle forze israeliane, dove la parola pace non risuona spesso, anzi quasi mai.           Vocazione da coltivare. “Non è stato difficile – ricorda – dire ai miei genitori che volevo entrare in seminario”. Questo coraggio è valso a Giries il merito di essere il primo seminarista della Striscia di Gaza dalla fondazione del Seminario del Patriarcato latino di Gerusalemme nel 1856 ad opera dell’allora patriarca latino Giuseppe Valerga. E così a settembre dello scorso anno Giries ha attraversato il valico di Erez, percorso quel tratto di strada ingabbiata che separa la Striscia da Israele per entrare nel seminario di Beit Jala, lasciando il papà, la mamma e le sue due sorelle a Gaza city. Quella è stata la terza volta, in 15 anni, che Giries usciva da Gaza. Era accaduto altre due volte, quando era più piccolo, per recarsi a Betlemme ma in compagnia della mamma e non del papà. Una vocazione “da vagliare e da nutrire”, spiega, nata “quando ho cominciato a servire all’altare come chierichetto. Prima dell’arrivo del parroco, il sacerdote argentino Jorge Hernandez, non andavo spesso in chiesa. Ma poi mi sono riavvicinato cominciando a sentire questo desiderio che ho voluto comunicare a padre Jorge, pregandolo di mantenere il riserbo. Ho così cominciato con lui un tempo di direzione spirituale e dopo aver informato della mia decisione i miei familiari, che si sono mostrati felici per me, mi sono recato in seminario, iniziando gli studi”.          Un dono per tutti. Tra le materie preferite di Giries “il francese, che non avevo mai studiato prima d’ora, la lingua araba e la religione” e nel tempo libero dagli impegni si applica a sport come “il calcio, il basket e il tennis”. Da circa due settimane Giries è tornato a Gaza in vacanza ma a breve dovrà tornare a Beit Jala per proseguire gli studi. Intanto si gode questo tempo di riposo nella sua parrocchia, dove è nato e vissuto e dove i suoi genitori sono impegnati attivamente. Stretto nella sua divisa scout color kaki, si ripromette “impegno e costanza” per alimentare il suo desiderio. “Inshallah! Tornare a Gaza da sacerdote sarebbe bello ma c’è molta strada da fare, da compiere”, ammette il giovane, che sa di dover lavorare molto e, per questo motivo, chiede alla sua famiglia e alla sua comunità “di accompagnarlo con la preghiera. Mamma e papà mi chiamano spesso in seminario per sapere come sto e per incoraggiarmi. Sono molto felice e ringrazio Dio per questa vocazione, un dono non solo per me, per i miei familiari ma anche per la mia comunità e la mia amata Gaza”. Poco distante, “abuna Jorge”, come lo chiamano qui, guarda il suo giovane. Sa bene che dovrà prendersene cura, sostenerlo in ogni modo. E un aiuto, in questo senso, arriva dall’Italia, dall’opera diocesana pellegrinaggi di Torino, che ha adottato il giovane pagandogli gli studi. “Inshallah!”, ripete Giries, mentre viene attorniato dai suoi amici che quasi a forza lo prelevano e lo portano sul campo da gioco dove altri compagni lo stanno aspettando. Alza la mano, e sorridendo, mi dà appuntamento “a Gaza fra qualche anno”. Con una preghiera: “Non abbandonate la Terra Santa. Non lasciateci soli”. Il pallone ormai è in campo, Giries lo rincorre così come rincorre il sogno della sua vita, quello di consacrarsi a Dio per servire la sua comunità. “Inshallah! Se Dio vuole...”.
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