C'è qualcosa che spesso non torna, che infastidisce, che disturba, quando nei media ci si imbatte su questioni e temi legati alla fede e alla Chiesa. Leggi e resti con l'amaro in bocca. Chi scrive e chi pubblica, il più delle volte non lo fa per rendere una foto della realtà e per informare...
del 18 giugno 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
«Alcuni non cercano la verità perché hanno paura di trovarla». (San Massimiliano Kolbe)
          C’è qualcosa che spesso non torna, che infastidisce, che disturba, quando nei media ci si imbatte su questioni e temi legati alla fede e alla Chiesa. Leggi e resti con l’amaro in bocca.
          Certo, chiunque legittimamente può parlare di qualsiasi cosa, e qualunque giornale, qualunque sito online può – ci mancherebbe – affrontare questi argomenti. Compito primario degli organi di informazione – lo dice la parola – dovrebbe però essere… l’informazione, e allora credo di aver capito cosa spesso non torna, infastidisce, disturba noi cattolici quando, nei media che si dicono laici ma che invece han superato magna cum laude l’esame di laicismo, ci imbattiamo su temi legati alla fede e alla Chiesa.
          Chi scrive e chi pubblica, il più delle volte non lo fa per rendere una foto della realtà e per informare: la realtà diventa solo pre-testo per i testi che i giornalisti hanno già in mente, belli (anzi, brutti) e preconfezionati. E’ solo una scusa per insinuarsi nella Chiesa ed attaccarla, a tradimento, con l’ennesima iniezione di fiele, magari augurandosi sia quella finalmente letale.Un esempio, l’articolo “L’ultima Chiesa. Viaggio nelle parrocchie per capire come cambia la fede”, a firma di Nadia Urbinati.
          La giornalista prende spunto dal reportage di Marco Marzano nella vita quotidiana dei cattolici italiani. Il lettore si aspetterebbe di leggere come i cattolici italiani rendono presente e vivo (in famiglia, con gli amici, nei luoghi di lavoro, nella società…) l’Incontro che hanno fatto. E invece no, perché subito, già nell’occhiello, senza quindi dare spazio alle esperienze, ai racconti, alle testimonianze, si tirano le conclusioni. Eccole: “Dalla crisi delle istituzioni alla resistenza dei sacerdoti di paese”.
          Non è necessario essere docenti di italiano e neanche cloni della puntigliosa per capire quanto “pesino” le parole e quanto dalla scelta, dal modo di accostarle, dall’uso che se ne fa, dipenda la differenza tra relazionare su un’indagine (e dunque cercare di descrivere la realtà per quel che è) e, invece, piegare la realtà per dimostrare le solite tesi dettate dai soliti preconcetti.
          Questo, ad esempio, si legge: “Cosa succede lontano dalla ‘chiesa legale’, nel ‘cattolicesimo reale’? In quello non illuminato dai riflettori mediatici ma pur sempre l’unico rilevante nella vita quotidiana di milioni di credenti?”. Nella logica del “divide et impera”, scopo di tutto l’articolo è e sarà sfrucugliare su “ciò che non va”; sottolineare, amplificare o magari inventare – perché no!? – esempi di “dissociazione tra religione ufficiale e religione vissuta”. Non certo in onore della verità e neanche a scopo edificante (participio presente del verbo edificare). Per la (im)pura gioia dei nemici della Chiesa: Satana in primis, laicisti in secundis.
          Così vengono sbrigativamente definiti i cattolici tutti (?): come persone che “non si rassegnano a rinunciare al loro punto di vista (che, ndr) non coincide quasi mai con quello della dottrina ufficiale della Chiesa, che sentono estranea e lontana, in conflitto con la propria spiritualità autentica, con le loro convinzioni profonde”. Ancora: “Come ha spiegato Charles Taylor nel saggio L’età secolare, questo dipende dalla diffusione della ‘cultura dell’autenticità’ e cioè dall’idea che, contro ogni conformismo, ognuno abbia il diritto/dovere di trovare una sua strada”.
          Insomma: è come se proprio non volessero farsene una ragione che se la modernità ha combattuto ed abbattuto il principio di auctoritas, non solo non è detto che ciò sia bene e sia un bene, ma non è nemmeno detto che sia accaduto altrettanto nel popolo cristiano, educato a vedere nel Papa la guida autorevole, seguendo la quale – come accade nel rapporto tra un padre un figlio, tra maestro e allievo – il secondo cresce, si realizza pienamente come soggetto, esprime totalmente la sua libertà.
          (Dei “fatti” non interessa, evidentemente, nulla, e così la marea di gente che si reca a S. Pietro per ascoltare il santo Padre, che lo legge, che segue il suo magistero, che da lui impara, semplicemente diventa… trasparente. Un colpo di bianchetto e… via! Il milione di persone a Milano? Facile: non esiste. Non conta niente. Non è sufficientemente dissidente e quindi non merita di essere menzionato).
          Questa – udite, udite! – l’immagine che viene presentata dei sacerdoti: “Il clero ne esce come un ceto sociale in grande affanno, sempre più esiguo nei ranghi… una società nella quale i preti sono costretti all’obbligo del celibato (e devono, ndr) fare i conti con l’intransigenza conservatrice del pontefice e delle gerarchie romane che… spesso ostacolano non poco il lavoro quotidiano dei parroci”.
          La puntigliosa, che ha avuto, negli anni, la Grazia di conoscere tanti sacerdoti, potrebbe stare qui fino a domani a smontare (non con chiacchiere, ma raccontando fatti!) le idiozie appena riportate. Non lo farà, certa che ogni lettore, per gli incontri fatti, è abbondantemente in grado di smentire quanto sopra affermato.
          Però, rileggete con calma e prestate attenzione alle parole, questo sì. E traete voi le conclusioni. Costoro devono essere così infastiditi dalla presenza della Chiesa e dalla letizia dei cattolici, che sono nel mondo ma non accettano di essere “del” mondo, che, se non riescono ad omologarli alla mentalità dominante e cioè a ridurli a schiavi del potere, cercano tutti i modi e tutte le occasioni per dividerli. Dividerli tra loro e separarli dal loro pastore, nella speranza che si perdano.
          L’“acido” di cui sono intrisi i termini e le frasi di questo e di tanti articoli sulla Chiesa che quotidianamente escono sui media hanno infatti quest’unico scopo: tentare di corrodere fino a sgretolarla la pietra a cui saldamente ci teniamo aggrappati e che ci fa sentire sicuri e al sicuro. “Goccia a goccia si scava la pietra!”, dev’essere lo slogan che si ripetono al mattino nelle riunioni di redazione, prima di intingere il pennino (virtuale) nella bile (reale). Ci provano, in vario modo, da duemila anni, senza risultati. Non prevalebunt!
Sara Luisella
Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)