La Chiesa che sale la Via Crucis non può lasciarci indifferenti

Ora che la Pasqua si approssima, sappiamo almeno di non poterci confinare tra i folti ranghi del pubblico indifferente, che sta lì a vedere «come va a finire». Si prende campo. L'Uomo della Croce, ancora una volta, ci guarda per vedere se lo accompagniamo almeno per qualche passo.

La Chiesa che sale la Via Crucis non può lasciarci indifferenti

da Quaderni Cannibali

del 30 marzo 2010

 

          Un tripudio di Palme, ma poi c’è subito il Golgota. Per la Chiesa la strada è questa, da qualcosa come due millenni. E visto che l’ha tracciata il Signore in persona non è il caso di cercare affannosamente scorciatoie, se si spera ancora di affacciarsi sul mattino di Pasqua. Niente sconti: è una vocazione incisa a fuoco sul Vangelo, e confermata nel labirinto dell’avventura umana. E poi, diciamocelo: c’è da stupirsi se la Chiesa è presa d’assalto da chi periodicamente la vorrebbe schiantata sotto accuse infamanti?

          Se qualcuno arriva a pretendere le dimissioni del Papa immaginandolo poco più che l’amministratore delegato di una multinazionale in crisi d’immagine? La settimana che stiamo iniziando è Santa solo a condizione di includervi un tratto inevitabile che si chiama Via Crucis, e occorre attrezzarsi ad attraversarla senza omettere nemmeno un’ora di Passione: su quella strada, dietro il Signore, ci siamo noi. E dove c’è Cristo – sulla stessa croce – c’è anche la Chiesa, c’è il Papa, il «dolce Cristo in terra». Lasciarlo solo ora che benpensanti e mercenari lo scherniscono con sicumera da sinedrio, è come rinnovare l’angosciante fuggi fuggi del Getsemani: ti difenderemo a costo della vita, anzi no, meglio salvare la faccia, dicci poi se ti serve una mano.

          Papa Benedetto non cerca mai di ammorbidire gli inevitabili spigoli dell’annuncio per passare dentro il suk relativista di ideologie e narcisismi: squadernando le conseguenze della fede mette in conto l’incomprensione e la affronta con dolce fermezza. Lo fa perché conta solo su Dio, e perché – come Cristo sul Calvario – nel momento della prova ci troverà non più confusi, non più sbandati, non più inquieti, ma fedeli. Ci vuol poco ad agitare palme all’ingresso di Gerusalemme. Il problema è quando essere cristiani comporta sapersi e riconoscersi parte di una Chiesa che è una trama di uomini imperfetti, un impasto di santità e fango, un commovente paesaggio di contrasti tra la piena luce e l’ombra, foss’anche la più profonda.

          Anche noi cattolici, uno per uno, siamo di questa pasta, ci meraviglia così tanto? E noi, noi chi siamo, se non «Chiesa», alla festa delle Palme come nel buio del Cenacolo? Per ricordarci quanto tutto questo sia profondamente vero, ecco arrivare di quando in quando un esame, come a voler saggiare se le nostre di credenti sono soltanto chiacchiere o c’è dell’altro. Chi resterà sotto la croce? La prova decisiva piomba mentre meno te l’aspetti, quando l’entusiasmo di massa e il consenso mediatico cedono il passo – di colpo, talvolta – allo scandalo, alla tentazione di fuggire, di sottrarsi all’accusa feroce e preconcetta, di lasciare che la Chiesa e il Papa se la sbrighino da soli: «Vi sbagliate, non conosco quell’uomo...». Ma è nella solitudine del Venerdì che il male è sbaragliato sul suo stesso campo, perché ha preso l’innocente spacciandolo per mostro, nella delirante pretesa di cancellare Dio dalla storia, e – oggi, una volta ancora – di screditare la Chiesa trascinandola nel girone dei colpevoli per definizione.

          Inevitabile che dopo giorni di martellante campagna qualcuno vacilli. La domenica appena trascorsa la gente cristiana si è certamente portata appresso interrogativi e incertezze, forse un oscuro turbamento. «Don, cosa ne pensa?». «Che non mi fa certo piacere quel che raccontano – è la risposta ascoltata dal saggio parroco che ne ha viste tante – ma so che la Chiesa sono io, siete voi: o forse siamo qui solo per tenerci compagnia?». Si faccia avanti chi sa di poter scagliare la prima pietra e assecondare il vociare vigliacco contro un Papa che spende ogni energia per rialzare l’uomo, la sua anima, la sua ragione. È chiaro che più d’uno desideri di sporcare la veste bianca di questo testimone limpido e forte, e allestisca con ogni cura progetti di rovina.

          Sarebbe più sorprendente, invece, se al coro degli accusatori si aggiungesse il silenzio dei credenti, la loro condiscendenza all’urlo del «crucifige!» che in realtà non s’è mai spento. La scelta è sempre quella: unirsi agli instancabili giudici di mille processi sommari, consumati a mezzo stampa, oppure stare con Cristo e la sua Chiesa, col Papa, fino in fondo? Ora che la Pasqua si approssima, sappiamo almeno di non poterci confinare tra i folti ranghi del pubblico indifferente, che sta lì a vedere «come va a finire». Si prende campo. L’Uomo della Croce, ancora una volta, ci guarda per vedere se lo accompagniamo almeno per qualche passo.

Francesco Ognibene

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