«Il rovescio delle medaglie» è stato scritto per ricordare soprattutto che la XXIXesima edizione dei Giochi Olimpici è macchiata non soltanto del sangue di milioni di vittime africane, birmane e tibetane. Troppo poco si è detto infatti in questi mesi sulle violazioni dei diritti umani inflitte alla stessa popolazione cinese...
del 23 giugno 2008
Tra poche settimane inizieranno i Giochi olimpici di Pechino. È molto probabile che l’entusiasmo per i record battuti e per i successi dei nostri atleti faranno dimenticare le polemiche dei mesi scorsi e può darsi che l’assenza di alcuni capi di stato e di governo, già annunciata, rimanga l’ultimo atto di protesta contro il governo cinese.
 
D’altra parte anche forme più energiche di contestazione difficilmente avrebbero indotto Pechino a mutare atteggiamento, soprattutto nei confronti delle tre principali realtà che hanno suscitato l’indignazione mondiale e la conseguente richiesta di boicottare le Olimpiadi.
 
A lanciare una prima campagna per il boicottaggio dei Giochi olimpici era stata l’attrice Mia Farrow nella primavera del 2007, con un editoriale pubblicato sul Wall Street Journal intitolato “Le Olimpiadi del genocidio”. Ce lo ricorda in un libro intitolato «Il rovescio delle medaglie. La Cina e le Olimpiadi» (editrice Ancora, Milano) di padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere e direttore dell’agenzia di stampa on line AsiaNews. La Farrow protestava contro il sostegno politico e militare della Cina al governo del Sudan responsabile del genocidio delle popolazioni africane del Darfur, in atto dal 2003.
 
Poi, nell’autunno del 2007, si è aggiunta la denuncia per l’appoggio di Pechino alla dittatura del Myanmar, alleato cinese fondamentale per le sue risorse energetiche e per la sua posizione geografica: l’occasione è data dalle manifestazioni non violente dei monaci birmani contro il loro regime represse nel sangue dalla giunta militare. Nel marzo 2008, quindi, le rivolte tibetane e la reazione cinese hanno suscitato una nuova e più intensa ondata di riprovazione che più volte ha preso di mira la fiaccola olimpica durante il suo lungo viaggio di avvicinamento alla capitale cinese.
 
Ma «Il rovescio delle medaglie» è stato scritto per ricordare soprattutto che la XXIXesima edizione dei Giochi Olimpici è macchiata non soltanto del sangue di milioni di vittime africane, birmane e tibetane. Troppo poco si è detto infatti in questi mesi sulle violazioni dei diritti umani inflitte alla stessa popolazione cinese. Pagina dopo pagina emerge dal libro un quadro di violenze e abusi senza fine: dai bambini schiavi nelle fabbriche di mattoni al nuovo sottoproletariato costretto a vivere in condizioni disumane, dagli aborti e infanticidi femminili, indotti dalla legge sul figlio unico, che hanno ulteriormente abbrutito la condizione delle donne, alle persecuzioni delle personalità religiose incarcerate o fatte scomparire. Come se non bastasse, il regime di Pechino si macchia dei più gravi crimini ambientali compromettendo la salute di uomini, animali e piante. I maggiori fiumi stanno morendo e centinaia di milioni di cinesi respirano aria e bevono acqua contaminate da concentrazioni crescenti di elementi inquinanti. Tanto critica è la situazione ambientale da far temere per la forma fisica degli atleti olimpici.
 
Per finire c’è la sistematica e implacabile repressione del dissenso realizzata tramite detenzioni arbitrarie, lavori forzati e torture e, per quanto riguarda l’informazione, impiegando metodi tanto duri da collocare la Cina al fondo della classifica mondiale di Réporters sans frontiéres sulla libertà di stampa, appena prima di Eritrea, Corea del Nord e Turkmenistan. “Prima, durante e dopo i Giochi – scrive Cervellera – Pechino continua la sua politica di negazione di ogni rispetto per la vita della sua popolazione, per chi vuole almeno parlare di democrazia, per chi vuole denunciare l’abissale corruzione in cui nuotano i membri del Partito, per chi vuole vivere la sua fede nella piena libertà religiosa, senza controlli”.
 
Anzi, l’impresa di preparare Pechino all’evento ha prodotto altre tragedie. Centinaia di villaggi sono stati rasi al suolo per lasciare il posto alle strutture olimpiche, privando di casa e lavoro gli abitanti, spesso senza risarcimenti. Inoltre centinaia di migliaia di operai migranti hanno provveduto alla costruzione degli impianti sportivi e alle opere di urbanizzazione di Pechino in condizioni lavorative e abitative spaventose come testimoniano i continui incidenti nei cantieri: nella sola Pechino, nel 2006, si sono contati 1. 300 morti in incidenti sul lavoro. Anche questo fa parte del “rovescio delle medaglie” che tra poco gli atleti si contenderanno.
 
Bernardo Cervellera, Il rovescio delle medaglie. La Cina e le Olimpiadi, Ancora Editrice, 2008.
Anna Bono
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