La fatica, il sacrificio, la rinuncia, sono articoli che al mercato del mondo non si vendono bene. Come mai la Chiesa dice no alla contraccezione? Perché i due aspetti inerenti l'atto coniugale ‚Äì quello unitivo e quello procreativo ‚Äì non possono mai essere lecitamente separati.
del 02 aprile 2012(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));
 
          La Chiesa cattolica insegna che l’uso della contraccezione è gravemente illecito. Detto in parole più semplici: la contraccezione è peccato. Partire da qui è un po’ brutale, e a qualcuno parrà perfino rozzo.
          Ma indorare la pillola (e mai modo di dire fu più pertinente alla materia) non aiuta nessuno, non fa un buon servizio alla verità e complica cose che, almeno dal punto di vista dottrinale, sono semplici. Difficile, questa sì, è la disciplina di vita che – qui come altrove – il Vangelo ci propone. Ad esempio: Gesù di Nazaret ci ordina di amare (non semplicemente di sopportare) i nostri nemici. Di fronte a un imperativo morale di questa portata – che non trova corrispondenze nel pensiero etico di tutti i tempi – si comprende bene che la sequela di Cristo esige di imboccare strade in salita, mai comode discese. Ora, poiché la fatica, il sacrificio, la rinuncia, sono articoli che al mercato del mondo non si vendono bene, sono molti anche in casa cattolica coloro che pensano di esercitare la carità occultando la dottrina della Chiesa su questa delicata e cruciale materia. Si tace e così si acconsente alla diffusione di una significativa ignoranza sull’argomento, magari nascondendosi dietro la tesi che «tanto, queste cose le sanno tutti». Così – vuoi per il silenzio dei pastori, vuoi per l’astuzia del gregge (che predilige le discese piuttosto che le salite) –, va a finire che queste cose non le sa più nessuno. O che, se si sanno, si sanno distorte, incomplete, senza un perché.
          Proprio la carità esige, in un simile scenario, un colpo di reni e un’inversione di rotta: ritorniamo a dire che cosa insegna la Sposa di Cristo in materia di procreazione umana e di regolazione della fertilità. Risolleviamo chi cade, facendo uso del potente strumento della confessione. Aiutiamo le anime ad aderire con convinzione alla legge di Dio, indicando i mezzi della Grazia e gli strumenti umani che concorrono a fare il bene e a evitare il male. È un diritto di tutti i figli della Chiesa ricevere questo nutrimento sano, essere spronati alla santità ed essere rimproverati, nella misericordia di Dio, ogni volta che escono dalla retta via.
Che cos’è la contraccezione
           La contraccezione consiste in una pluralità di strumenti e mezzi che l’intelligenza umana ha messo a punto per tentare di impedire il concepimento come conseguenza dell’atto sessuale. Uno dei più famosi di questi strumenti è la pillola, inventata da Pincus nel 1950 e poi perfezionata nel corso degli anni. Un preparato che, assunto in modo continuativo dalla donna, tende a bloccarne il processo ovulatorio, impedendo così il concepimento. Va subito detto che, secondo alcuni studi attendibili, l’uso prolungato della pillola presenta statisticamente anche effetti abortivi, poiché talora non impedisce l’ovulazione e interviene come antiannidatorio dell’embrione. Un altro mezzo contraccettivo molto conosciuto e pubblicizzato è il preservativo, che vuole impedire il contatto dei gameti maschili con quelli femminili. Per questi, come per altri strumenti, la qualità di contraccettivi resta vera sia sul piano morale che medico a patto che gli effetti prodotti siano, appunto, precedenti al concepimento; se invece agiscono successivamente (e la pillola è fortemente indiziata di avere anche questo effetto) allora la loro natura cambia e dobbiamo parlare, più propriamente, di abortivi. La cosiddetta “spirale” o IUD è, appunto, un abortivo, sebbene venga spesso presentata come un contraccettivo.
Che cosa dice la Chiesa
          La Chiesa parla chiaro: «è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite (…) ogni azione che – o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali – si proponga come scopo o come mezzo di rendere impossibile la procreazione». Questa dottrina è stata solennemente formulata da Papa Paolo VI nell’enciclica Humanae Vitae (HV) promulgata nel 1968. Paolo VI in verità non proponeva un insegnamento nuovo, non rompeva con la tradizione, ma ribadiva quanto già lucidamente espresso dai suoi predecessori. «Dobbiamo ancora una volta dichiarare…» si legge infatti nell’enciclica, poco prima che il Papa ribadisca l’assoluta illiceità dell’aborto volontario diretto, della sterilizzazione diretta e, appunto, della contraccezione. Questa continuità di insegnamento, le ragioni addotte dal Magistero, e la solennità dei pronunciamenti sono tutti sintomi del carattere definitivo e immutabile di questo insegnamento. In altri termini: nessuno si aspetti che la Chiesa modifichi il suo giudizio sulla contraccezione, spinta dalla voglia di “aggiornarsi” o di “adeguarsi” alla mentalità del mondo. Inoltre, la Chiesa considera questo insegnamento inderogabile, nel senso che nessuna motivazione è sufficiente a rendere lecito l’uso di questi mezzi a scopo contraccettivo. Diverso è il caso di un utilizzo di tali strumenti per finalità che non siano contraccettive: esemplare l’ipotesi dell’uso cosiddetto terapeutico della pillola, quando cioè si assuma il preparato con l’intenzione di curare una malattia, accettando come effetto non voluto e inevitabile la temporanea sospensione della fertilità. Questa ipotesi, peraltro, esige una valutazione molto approfondita sul piano soggettivo, per vigilare sul rischio che i coniugi assumano un habitus morale distorto, e sul piano oggettivo, per le già accennate implicazioni abortive della pillola, che a quel punto imporrebbero una diversa valutazione morale.
Perché lo dice
           Come mai la Chiesa dice no alla contraccezione? Perché i due aspetti inerenti l’atto coniugale – quello unitivo e quello procreativo – non possono mai essere lecitamente separati. Nell’Humanae Vitae (n. 12), Paolo VI spiega che Dio ha voluto come inscindibili i due significati dell’atto coniugale, poiché quell’atto unisce profondamente gli sposi e li «rende atti alla generazione di nuove vite». In altre parole: Dio ha voluto – in modo ragionevole e pienamente umano – che l’amore fra l’uomo e la donna sia aperto alla vita, alla procreazione; se l’uomo trova il modo di eliminare questa apertura, contraddice la volontà di Dio sull’amore umano. Il processo generativo ha delle leggi; se l’uomo le manipola, si comporta come arbitro delle sorgenti della vita umana, pretendendo di esercitare su di esse un dominio illimitato. Il lettore avrà notato che la Chiesa definisce tout court «atto coniugale» il rapporto sessuale fra l’uomo e la donna. Questa formula non è casuale, ma denota che esiste un insegnamento preliminare alla condanna della contraccezione; e cioè che l’unico «luogo» lecito all’esercizio della sessualità è il matrimonio: dal tradimento di questo comandamento derivano poi tutti i disordini così diffusi nella nostra società. I mezzi contraccettivi rappresentano un prodotto della società anti-matrimoniale e libertina, poiché sono proprio funzionali all’esercizio della sessualità come gioco e come divertimento, liberata dalla responsabilità di generare un figlio. Paolo VI, con realismo squisitamente cattolico, lo dice espressamente (HV, n. 17): i mezzi contraccettivi aprirebbero una «via larga e facile alla infedeltà coniugale e all’abbassamento generale della moralità». I fatti, e non una teoria, confermano la veridicità di questa previsione, che si è realizzata nel giro di pochi decenni. Un uomo che si abitui alla contraccezione – aggiunge il Magistero – finisce con il perdere il rispetto della donna, ridotta a semplice strumento di godimento egoistico. «Non ci vuole molta esperienza – scrive Paolo VI (HV 17) – per conoscere la debolezza umana e per comprendere che gli uomini, e i giovani specialmente, così vulnerabili su questo punto, hanno bisogno di incoraggiamento ad essere fedeli alla legge morale, e non si deve offrire loro qualche facile mezzo per eludere l’osservanza». Parole sante, che mettono in guardia tutti – a cominciare dai sacerdoti e dai teologi moralisti – dal giustificare l’uso della contraccezione, magari con l’illusione di evitare guai più grossi.
Contraccezione e male minore
           Capita infatti ormai sempre più spesso che il tema venga “forzato” non tanto nelle sue linee generali, quanto nella sua applicazione pratica e ordinaria: sarebbe meglio non usare la contraccezione, ma poi la vita concreta la renderebbe, almeno in certi casi, lecita e perfino necessaria. In base ai questo modo di ragionare: meglio il preservativo dell’aborto; meglio la pillola dell’aborto; e così via. Nella Humanae Vitae Paolo VI sconfessa in blocco questo modo di pensare, di agire e di educare. Egli infatti scrive: «Né, a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente infecondi, si possono invocare come valide ragioni il minor male […]. In verità, se è lecito talvolta tollerare un minor male morale a fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male affinché ne venga il bene» (HV, n. 14). Parole che risuonano particolarmente attuali oggi, con il diffondersi di una ben diversa e disinvolta “dottrina” del male minore.
Contraccezione, democrazia e collegialità
           È utile ricordare che, quando Paolo VI scrive la sua enciclica, ha fra le mani le conclusioni dei lavori di un’apposita commissione di esperti, istituita da Giovanni XXIII nel marzo del 1953. Quel gruppo di vescovi, sacerdoti, teologi, medici, aveva deliberato a maggioranza in senso favorevole alla liceità della contraccezione. Il Papa però non accoglie una simile conclusione, che – scrive Paolo VI – si distaccava «dalla dottrina morale sul matrimonio proposta con costante fermezza dal Magistero della Chiesa» (HV, n. 6). Si tratta di un episodio assai significativo, nel quale emerse il primato del Papa e della Tradizione sulle dinamiche democratiche e collegiali che secondo alcuni avrebbero dovuto invece prevalere nel governo della Chiesa e nella definizione della dottrina.
Metodi Naturali & gravi motivi
           La Chiesa non si limita a vietare la contraccezione, ma propone un’alternativa pienamente lecita e umana: il ricorso ai periodi infecondi. I metodi naturali si differenziano radicalmente dalla contraccezione, poiché essi non impediscono lo svolgimento dei processi naturali, non alterano la fisiologia femminile, ma anzi la rispettano. La rinuncia all’uso del matrimonio nei periodi fecondi impone un’ascesi e rinsalda l’amore fra i coniugi. Va sottolineato che il ricorso ai metodi naturali è lecito soltanto quando vi siano «gravi motivi» (HV, n. 10) che inducono a rinviare una gravidanza. Questa precisazione ci ricorda che l’amore coniugale dovrebbe essere di norma aperto alla vita, e in via eccezionale regolato in modo lecito con i Metodi Naturali per ragioni serie. Non possiamo nasconderci che, spesso, questo rapporto tende a capovolgersi, e a rinchiudere la fecondità in un territorio residuale e quasi eroico. Ciò significa, quindi, che può esistere anche un “uso contraccettivo” dei metodi naturali, moralmente illecito.
Contraccezione e confessione
          «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo – scrive perentoriamente il Papa – è eminente forma di carità verso le anime» (HV, n. 29). Questo ammonimento viene collocato da Paolo VI nel paragrafo dedicato ai sacerdoti, affinché non legittimino l’uso della contraccezione. Incontrando le coppie di fidanzati e di sposi praticanti, ci si accorge di quanta sia la confusione tra i cattolici: confessori e teologi zoppicanti, silenzi imbarazzati, paura di chiedere troppo La Chiesa ci insegna che non esiste una «gradualità della legge», e che la scelta di permanere nell’uso della contraccezione è oggettivamente incompatibile con l’assoluzione sacramentale; ciò non impedisce, ma anzi favorisce un cammino pastorale che, in base alla legge della gradualità, aiuti le anime a incamminarsi verso il bene, lottando sinceramente contro il male. Nella fiducia che il bene proposto da Cristo è, con il suo aiuto, sempre possibile.
Mario Palmaro
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