Forse questa polemica può diventare almeno un po' “provvidenziale”, per arrivare a chiederci: A me, il crocifisso parla? Fino a dove? Personalmente, devo ringraziare Dio per questo dibattito, perché mi ha dato l'occasione di confrontarmi con la fede inaspettatamente profonda dei miei amici e delle mie amiche...
del 09 novembre 2009
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In occasione della sentenza del 3 novembre 2009 emessa da parte di una camera della Corte europea dei diritti umani contro il crocifisso nelle scuole italiane, nonostante il tema non sia coperto in alcun modo dalla normativa comunitaria,
ti offro alcune tracce per
-          la meditazione,
-          la conversione verso una fede più sicura, una speranza più salda e una carità più ardente a livello personale e comunitario.
 
Siamo passati:
-          dalla sofferta e discussa alleanza tra trono e altare,
-          al pluralismo culturale e religioso, al relativismo teoretico e morale, al laicismo esasperato,
e siamo alla ricerca di mostrare la bellezza e la gioia del cristianesimo in un’Europa numericamente cristiana solo in modo minoritario.
 
Cosa può fare di male un uomo che nella sua vita ha solo amato; anzi, ha dimostrato che l’amore e la vita sono più grandi di ogni cattiveria e della morte?
 
Gesù è un profeta anche per l’Islam; come può disturbare i veri musulmani la rappresentazione di un inviato di Dio venerato anche nella loro religione?
 
Ci può essere un gesto (anche umano) più alto che morire promettendo il paradiso ad un compagno di agonia e pregando «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»?
 
Come può l’Europa negare il valore educativo che ha svolto il cristianesimo in tempi forse ancora più duri dei nostri (alto e basso Medioevo, caduta dell’impero romano…)? Tra decine di esempi possibili, pensa a chi
-          ha codificato con un alfabeto scritto la lingua degli slavi;
-          ha lavorato e insegnato a lavorare la terra, trasformando le foreste della Germania, Francia, Inghilterra… in campi coltivati diligentemente, cioè i monaci;
-          ha trasmesso la sapienza degli antichi romani e greci, copiando con dedizione e custodendo con religioso rispetto centinaia di migliaia di codici riguardanti gli argomenti più svariati,
-          ha “inventato” e fatto fiorire le università...
 
Quando arriveremo a chiedere di buttar giù tutte le chiese, duomo di Milano compreso, perché non sia offesa la passeggiata pomeridiana di nessuno? E quando togliere le croci in cima alle nostre montagne?
 
Il crocifisso può essere per tutti – cristiani e non – un immagine di un uomo che ha sofferto ed è morto ingiustamente. Non è che desideriamo toglierne la rappresentazione perché abbiamo sempre più paura della sofferenza – in qualsiasi forma si presenti – e fuggiamo dalla consapevolezza trasfigurata, ma non eliminata nel cristianesimo; non solo cristiana, ma umana che siamo polvere e che alla polvere ritorneremo?
 
Noi cristiani in un’Europa indifferente o addirittura pregiudizialmente ostile al cristianesimo: qual è il nostro compito, il nostro ruolo, la nostra identità; non è che Gesù ci stia comunicando una forma nuova di testimonianza evangelica?
 
Forse questa polemica – indipendentemente dagli esiti legislativi o meno – può diventare almeno un po’ “provvidenziale”, per arrivare a chiederci: A me, il crocifisso parla? Fino a dove? Mi lascio trasformare fino alle pieghe più nascoste della mia vita da un amore che è più forte del dolore e della morte? Mi lascio coinvolgere dalla sua vita, passione, morte e risurrezione?
 
 
 
In questi giorni mi sono trovato a disagio di fronte a tanti uomini “pubblici” che hanno preteso di diventare i paladini difensori della croce: più di qualcuno mi sembrava andasse un po’ troppo a caccia di voti e di consenso popolare, strumentalizzando ai propri interessi il Cristo morto e risorto in cui credo. Mi sembravano simili a quelle donne che girano con una profonda scollatura e appeso un crocifisso, non sapendo se vogliano attirare l’attenzione su questo o su quella.
 
Personalmente, in realtà devo ringraziare Dio per questo dibattito, perché mi ha dato l’occasione di confrontarmi con la fede inaspettatamente profonda dei miei amici e delle mie amiche, scoprendo anche in tanti che vengono ogni domenica a messa e che fanno animazione tanti dubbi; inoltre in alcuni che si professano non credenti, una sincerità e un autentico attaccamento a Dio in misura straordinaria. Com’è che tanti che vivono con sofferenza e a volte angoscia la propria fede, hanno appeso in ufficio il crocifisso; e invece in alcuni dei nostri ambienti cattolici e parrocchiali – in favore di un malintesa laicità – le pareti rimangono invece spoglie di questo uomo-Dio che muore per amore di tutti?
 
Prova ad andare dal tuo don o dalla tua suora e fatti spiegare il senso di queste espressioni di san Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me… Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Paolo ai Galati 2,19-20 e 6,14).
 
«Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza.
E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.
Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre!» (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 22 EV 1/1388-1389).
 
E tu dove stai?
 
Anche un laico intelligente e rispettoso potrebbe rivolgervi questo appello: «Cristiani! Non riducete il crocifisso ad un vuoto elemento di arredo! Se siete davvero fieri della vostra fede portate il crocefisso al collo!!!» Se anche dovessero veramente togliere il crocefisso dalle aule, abbiate il coraggio di portare un piccolo crocifisso, un rosarietto, un anello con la decina del rosario… che, senza orgogliosa ostentazione, ma nel silenzio e nell’umile riconoscenza, dimostri la vostra sereno e umile fierezza di essere cristiani! Se uno è sposato, è felice di portare l’anello matrimoniale: perché il cristiano non dovrebbe essere  contento di venir identificato come tale?
 
Cristiani! «Tenete una condotta esemplare fra i pagani perché, mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere diano gloria a Dio nel giorno della sua visita» (1 Lettera di Pietro 2, 12). La nostra testimonianza comincia dalla coerenza con la nostra fede nella ferialità della vita di tutti i giorni.
 
Quando uno è innamorato, ci si accorge subito che qualcosa è cambiato in lui. E noi che ci professiamo cristiani, siamo innamorati di Cristo? Di più: ci lasciamo sconvolgere la vita da un Dio che, dopo aver «amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Giovanni 13,1)? Non c’è il rischio anche oggi che i cristiani – allo scopo di non offendere nessuno con la loro silenziosa testimonianza di vita – diventino «anonimi» nel senso di mediocri, «né caldi né freddi», scipiti come il sale che non sa più di nulla?
don Paolo Mojoli
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