Il teppismo scolastico non l'abbiamo inventato noi. In Inghilterra ci fanni i conti da anni. Ma almeno Blair ha delle idee e interviene...
del 05 dicembre 2006
Il bullismo in Gran Bretagna è di casa. I dati, emersi la scorsa settimana, fanno spavento: oltre 20 mila bambini e ragazzi, ogni giorno, preferiscono marinare la scuola piuttosto che subire le angherie dei compagni prepotenti. Portatori di handicap e minoranze etniche (soprattutto di religione musulmana dopo gli attacchi del 7 luglio 2005) sono i bersagli preferiti. Un dato inquietante che ha convinto il governo guidato da Tony Blair a stanziare un extra-budget di 480 mila sterline per intervenire nelle scuole attraverso un programma di mentoring, ovvero l'istituzione di figure di riferimento tra gli alunni più grandi e dal carisma più forte con i quali le vittime di atti di bullismo possono confrontarsi e denunciare. Nelle scuole in cui il 'pupil mentoring scheme' è attivo (una su dieci in tutta l'Inghilterra), gli atteggiamenti aggressivi sono crollati nell'arco di due anni di quasi l'85 per cento. Una soluzione che però, al pari della proposta del ministro dell'Istruzione Alan Johnson di multare fino a mille sterline i genitori di ragazzi che si rendano protagonisti di comportamenti antisociali, si prospetta solo come tampone rispetto a un fenomeno sempre più dilagante.
 
 
Happy slapping e palpeggiamenti
 
D'altronde la patria dell'happy slapping (passatempo che consiste nello schiaffeggiare perfetti sconosciuti mentre il resto del gruppo filma o fotografa con i telefonini) non poteva che essere all'avanguardia anche su quelle degenerazioni scolastiche che ora riempiono le pagine dei giornali anche in Italia. Il quotidiano gratuito Lite London il 22 novembre è uscito con un titolo di prima pagina sconvolgente: 'Toccare le insegnanti è ritenuto un 'gioco giusto' dagli studenti'. Altro che Nova Milanese. In base a quanto denunciato dall'Associazione nazionale degli insegnanti nel corso di un'audizione in Parlamento, «la pratica di toccare e molestare sessualmente giovani insegnanti donne è in continua crescita, qualcosa come il 69 per cento su base nazionale. Il problema è che le denunce per bullismo sessuale sono nella maggior parte dei casi ignorate o addirittura giudicate infondate». Il tutto nello stesso giorno in cui il capo degli ispettori governativi per il controllo degli standard scolastici nazionali denunciava come «una scuola su otto nel paese è completamente inadeguata nell'educare i ragazzi». Parole pesanti, quelle di Christine Gilbert, che tradiscono però una realtà molto 'italiana' della scuola britannica: la totale burocratizzazione del settore a causa dell'Ofsted, l'organismo chiamato a controllare gli standard di qualità e della già citata e famigerata Associazione nazionale degli insegnanti insieme al suo braccio armato sindacale, la National Union of Teachers.
Anche per rompere questo monopolio il governo laburista, attraverso l'ex ministro dell'Istruzione Ruth Kelly e l'ex advisor politico di Blair, Lord Andrew Adonis, due anni fa ha stilato un white paper per l'ampliamento del modello delle city academy finanziate dai privati (fino a 2 milioni di sterline l'anno) e gestite con criterio manageriale. Attaccate da sinistra per il rischio di un'eccessiva influenza degli sponsor sui percorsi didattici, queste istituzioni sono infatti il vero e proprio pallino del primo ministro, che ne ha deciso l'aumento da 20 a 200 entro il 2010, anche contro le eventuali obiezioni dei local council interessati. Un piano che prevede inoltre la rimozione del potere di controllo sulle scuole da parte delle autorità locali e la possibilità per i presidi, ormai veri e propri manager, di gestire le scuole in base alle proprie scelte, come accade nelle aziende: in caso di successo, più fondi statali; in caso di fiasco, il licenziamento. Poi, in onore alla politica del 'naming and shaming', il Cabinet ha sancito che tutte le scuole con i conti non in regola avranno dodici mesi (non più da 18 mesi a sei anni) per metterli a posto, pena l'affidamento a nuovi dirigenti provenienti da istituti con migliori risultati.
 
 
Meritocrazia vuol dire eccellenza
 
Greg Matthews lavora nel gabinetto politico dell'attuale ministro dell'Istruzione, la stella nascente del Labour Alan Johnson, e a Tempi racconta quale sia il vero male della scuola britannica, una malattia di cui il bullismo è il sintomo più eclatante ma non principale: «La scuola inglese esce da decenni di bassissimi standard qualitativi dovuti a una totale blindatura dell'operatività garantita dal predominio totale dell'Ofsted. In parole povere, al docente non venivano chiesti produttività e profitto, ma soltanto di svolgere il compitino quotidiano il meno peggio possibile. Questo creava luoghi senza meritocrazia, 'fabbriche del sapere' in cui i ragazzi venivano parcheggiati di fronte a insegnanti senza stimoli e mal pagati. Alcuni anche molto poco preparati. Il governo Blair, fin dal primo mandato, ha reso noto a tutti quale fosse il suo impegno per l'istruzione dei giovani: lo slogan 'Education, education, education!' non è rimasto lettera morta. Le city academy ne sono la prova vivente».
Il problema è che queste scuole sono malviste proprio dagli insegnanti e dal sindacato, che temono un'influenza troppo forte dei privati sull'istruzione pubblica. «Tutte scuse. È chiaro che un privato che sponsorizza la scuola con 2 milioni di sterline ha il diritto di dire la propria sui curriculum e sulla gestione dell'istituto. Del resto, che interesse può avere un privato a far funzionare male la scuola che finanzia? Cosa guadagna dal mantenere una generazione di ignoranti e un branco di insegnanti svogliati e incapaci? Nulla. Il privato tende certamente al profitto, ma anche all'eccellenza, alla meritocrazia, alla creazione di ricchezza non solo monetaria. Molti temono di veder messo in discussione il posto di lavoro, ma il problema sta proprio qui: se io lavoro bene non ho nulla da temere, perché loro dovrebbero? Peccato che i detrattori delle city academy non citino mai il report commissionato dal governo alla PriceWaterhouseCoopers in base al quale nove genitori su dieci sono felici delle city academy frequentate dai figli. Fatti, non parole».
Una logica di impegno e professionalità che per Matthews deve valere anche di fronte alla piaga della violenza: «Il bullismo nasce spesso da un contesto familiare degradato ma non possiamo adagiarci sul giustificazionismo sociologico. Se la scuola non insegna, non dà stimoli, non offre modelli e aspettative, fenomeni come questi (di per sé già insiti nella natura umana) dilagano fino a diventare la prassi. Serve certamente severità ma anche un contesto in cui il ragazzo, anche il peggiore, venga messo in condizione di affrontare le proprie responsabilità attraverso la valorizzazione dei propri talenti, anche i più piccoli. Guardate i tassi di bullismo e delinquenza presenti nelle city academy: sono praticamente nulli rispetto alle normali primary school. Qualcosa, tutto questo, vorrà pur dire».
Mauro Bottarelli
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