La famiglia educa oggi? La missione della famiglia nella realtà attuale, rifless...

L'educazione cristiana consiste nell'indicare la via della fede come unica via che conduce alla vita vera, alla felicità. La fede diventa, mediante l'educazione cristiana, il nostro modo di pensare: il criterio delle nostre valutazioni; la regola ultima delle nostre scelte. In una parola: diventa la nostra forma di vita.

La famiglia educa oggi? La missione della famiglia nella realtà attuale, riflessioni ed orientamenti.

da Quaderni Cannibali

del 14 maggio 2008

Prima di entrare nel tema, devo fare una premessa importante. Quando si parla della famiglia come luogo in cui si forma la persona, si rischia di fare un discorso puramente esortativo; peggio, perfino moralistico. Un discorso cioè in cui si esortano i genitori a fare/non fare certe cose coi loro figli, col rischio che essi se ne ritornano a casa più scoraggiati.

Questa sera io non vorrei riflettere in questa prospettiva, ma dirvi “qualcosa” di più semplice e di più profondo: mostrarvi come la famiglia abbia in se stessa e per se stessa la capacità, la forza di educare la persona. E quando dico “famiglia” intendo parlare della famiglia che, pure in mezzo a tutte le difficoltà quotidiane di ogni genere, vive la sua vita normale di ogni giorno.

Dobbiamo però avere un’idea chiara di che cosa significa «educare la persona»: chiarezza che oggi non possiamo dare per scontata.

Il percorso dunque della mia riflessione sarà il seguente. Nel primo punto cercherò di dirvi che cosa intendo per educazione della persona; nel secondo punto cercherò di mostrarvi la capacità educativa insita nell’istituto famigliare; infine concluderò con alcune riflessioni più immediatamente pratiche.

 

 

1. Educare la persona

 

Vi è mai capitato di incontrare una persona che vi chiedeva la strada per arrivare in una città? È una grande metafora dell’atto educativo.

Come tutti sappiamo, l’educazione ha come destinatario la persona arrivata da poco in questo mondo. Essa vi arriva con una grande domanda dentro al cuore: quale via devo prendere per raggiungere la felicità? Fermiamoci un momento a riflettere su questa grande domanda.

Ho parlato di “felicità”. Non prendete questa parola nel significato banale che ha ormai nel nostro linguaggio quotidiano. Ciascuno di noi desidera la felicità nel senso di una vita vera, di una vita buona. Non una vita qualsiasi e a qualunque costo. Ci sono dei momenti in cui noi percepiamo, sperimentiamo che cosa sia una vita vera. O negativamente, perché viviamo tali situazioni che diciamo: «ma che vita è questa? Ma questa non è vita!». O positivamente, perché viviamo esperienze tali che diciamo: «ma se la vita fosse sempre così!».

Quando una persona entra in questo mondo, non si incammina verso niente altro che verso questa meta; non desidera altro che questo. Il cammino della vita ha questo orientamento fondamentale.

La persona neo-arrivata ha bisogno in questo cammino di essere guidata? Ha bisogno che gli si indichi la strada? Se osservate per un momento la condizione umana, noterete che fra tutti gli animali l’uomo è quello che raggiunge più tardi l’autonomia, l’auto-sufficienza. Sul piano biologico questo fatto è facilmente constatabile. Ma non solo. Chi ha bambini sa che molto presto questi “tormentano” gli adulti con i loro “perché”. Esiste nella persona neo-arrivata un desiderio di sapere la verità delle cose, di conoscere le ragioni di ciò che accade. Non c’è felicità se non si danno risposte alle nostra domande. La domanda della via alla felicità è una domanda circa la verità. «Felix qui potuit rerum conoscere causas», ha scritto Virgilio.

Una delle immagini più frequenti usate per descrivere la vita umana è quella della navigazione: la vita è come una traversata nel mare, verso il porto della felicità. È necessario sapere come muoversi, e conoscere le regole della navigazione. Fuori dell’immagine: la persona neo-arrivata ha bisogno di essere orientata nell’esercizio della sua libertà; ha bisogno di sapere ciò che è bene e ciò che è male.

L’educazione della persona consiste nell’indicare ad essa la via che la può condurre ad una vita vera, ad una buona vita. In una parola: alla felicità. Potrei ora esemplificare con esempi quotidiani, molto semplici. Non ne abbiamo il tempo.

Fino ad ora vi ho descritto il fatto educativo come un fatto universalmente umano. È anche un fatto cristiano? Certamente. Vediamo come.

Ricordiamo il dialogo con cui si inizia la celebrazione del battesimo dei bambini [cfr. Benedetto XVI, Lett. Enc. Spe salvi 10]. Il sacerdote chiede al bambino [ovviamente nella persona dei genitori e dei padrini]: «che cosa chiedi alla Chiesa?». Ed il bambino risponde: «la fede». Il sacerdote fa la seconda domanda: «e che cosa ti procura la fede?»; ed il bambino risponde: «la vita eterna».

Non facciamo fatica ad intravedere in questo dialogo la struttura dell’atto educativo che abbiamo poc’anzi spiegato. La Chiesa aiuta la persona da poco giunta nel mondo a prendere coscienza della domanda, del desiderio che urge dentro al suo cuore. E nello stesso tempo le chiede che cosa si aspetta dalla Chiesa; quale attesa ha nei confronti della Chiesa. La nuova persona si aspetta dalla Chiesa semplicemente la fede. Fate bene attenzione. Fede qui significa ciò che la Chiesa crede, la dottrina della fede e l’attitudine soggettiva, la virtù della fede. Potremmo dire, parafrasando la risposta: “chiedo alla Chiesa di essere educata nella fede”. Il dialogo continua sempre più serrato, e la Chiesa fa la domanda che costringe l’interrogato a “scoprire i pensieri del cuore”: “perché desideri essere educato nella fede?”. E la persona appena arrivata risponde: “ti chiedo di essere educato nella fede, perché ritengo che questa sia la via che mi conduce ad una vita vera, ad una vita buona, ad una vita eterna”.

L’educazione cristiana consiste nell’indicare la via della fede come unica via che conduce alla vita vera, alla felicità. La fede diventa, mediante l’educazione cristiana, il nostro modo di pensare: il criterio delle nostre valutazioni; la regola ultima delle nostre scelte. In una parola: diventa la nostra forma di vita.

Abbiamo detto sopra che la navigazione è una potente metafora della vita umana. Vorrei ora leggervi e brevemente commentarvi una pagina di S. Agostino che mi sembra essere una suggestiva descrizione dell’educazione cristiana. «È come se qualcuno riuscisse a vedere da lontano la patria, ma ci sia il mare che lo separa da essa. Egli vede dove deve andare, ma gli manca il mezzo con cui andare. Così è per noi che vogliamo pervenire a questa stabilità nostra, dove ciò che è è, perché questo solo è sempre così com’è. C’è di mezzo il mare di questo secolo attraverso il quale dobbiamo andare, mentre molti non vedono neppure dove devono andare. Perciò, affinché ci fosse anche il mezzo con cui andare, venne di là Colui al quale volevamo andare. E che cosa ha fatto? Ha preparato il legno con cui potessimo attraversare il mare. Infatti, nessuno può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. A questa croce potrà stringersi, talvolta, anche chi ha gli occhi malati. E chi non riesce a vedere dove deve andare, non si stacchi dalla croce, e la croce lo porterà» [Commento al Vangelo di Giovanni II,2].

Attraverso l’educazione cristiana noi impariamo a pensare come Cristo: ad avere il pensiero di Cristo; ad esercitare la nostra libertà come Cristo: ad amare come Cristo. E così giungere alla felicità. «Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica» [Gv 13,17], ha detto Gesù dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli.

La persona appena arrivata nel mondo chiede questo alla Chiesa, di essere educata nella fede. Chiede cioè alla Chiesa di indicarle la via della beatitudine.

Una delle espressioni fondamentali della cura educativa della Chiesa è la famiglia.

 

 

2. Famiglia ed educazione

 

Vediamo dunque in che modo la famiglia come tale sia capace di realizzare quell’opera educativa di cui vi parlavo.

Da quanto ho detto finora deriva una conseguenza molto importante: educare è molto di più che istruire; è profondamente diverso che istruire. Fermiamoci un momento a riflettere su questo punto.

L’istruzione consiste nella trasmissione di un sapere o teorico o pratico. Posso insegnare la matematica, e trasmetto un sapere teorico. Posso insegnare come si fa l’idraulico, e trasmetto un sapere pratico.

L’educazione è di più di questo. Lo possiamo capire notando che noi possiamo giungere a conoscere due tipi di verità molto diverse. Esistono delle verità che non hanno nessuna rilevanza sul mio modo di essere libero: sapere se il fiume più lungo è il Nilo o il Missisipi non cambia nulla circa il mio modo di vivere. Ma esistono verità che hanno una rilevanza decisiva sul mio modo di essere libero: sapere se approfittando della debolezza altrui, posso prevaricare su di lui o non posso, cambia il mio stile di vita.

L’istruzione trasmette verità che non hanno rilevanza sulla vita, sul suo senso; l’educazione trasmette una proposta di vita ritenuta l’unica degna di essere realizzata, se si vuole giungere alla felicità.

Dunque, teniamo ben ferma questa affermazione: educare è diverso da, è ben più che istruire.

Da questa diversità deriva una conseguenza assai importante: chi educa deve vivere con chi è educato. Non è possibile nessuna educazione senza una qualche comunione di vita. Questo non è vero per l’istruttore. Al limite, posso imparare le istruzioni anche da un libro. Perché questa esigenza? Per la ragione che ho già detto, e che ora voglio esporre un po’ più lungamente.

Chi educa fa una proposta di vita perché ritiene che essa sia vera e buona: sia via verso la felicità. Chi educa non è indifferente a che chi è educato accolga o rifiuti quella proposta: non guarda con occhi indifferenti al destino della persona che sta educando. Desidera che la sua proposta sia convincente.

Ma nello stesso tempo si rivolge ad una persona libera. Questa deve far propria liberamente la proposta di vita fattale dall’educatore, così come la può liberamente rifiutare.

In che modo una proposta di vita è persuasiva senza essere coattiva? È convincente senza essere necessitante? Non c’è che una via: che l’educatore possa mostrare nella propria vita che la proposta fatta è vera e buona. Che l’educatore possa dire: “questa è la proposta di vita che ti faccio, e ti assicuro che io la vivo ed i conti alla fine tornano”.

Ora, come si fa a far apparire “che i conti tornano”? vivendo con la persona cui si fa la proposta.

E siamo finalmente arrivati … in famiglia. La narrazione della vicenda educativa appena abbozzata si realizza in grado eminente nella comunità famigliare. Vediamo come e perché.

Ogni genitore è sommamente appassionato al bene del figlio. Non è indifferente al suo destino, a che viva una vita buona o una cattiva vita. Vuole la sua felicità. È questa la base fondamentale di ogni rapporto educativo. E questa base è naturalmente assai solida nel rapporto genitore-figlio.

Poiché non è indifferente al bene del figlio, il genitore fa una proposta di vita; indica la via; dà una risposta alla domanda di felicità che urge nel cuore del figlio. Nessun genitore darebbe al figlio che glielo chiede un bicchiere di acqua, se dubitasse che fosse avvelenata. È una proposta di vita, quella che fa il genitore, della cui verità e bontà è certo. Una certezza che gli viene dalla sua esperienza.

Ed è a questo punto che si vede la potenza straordinaria che la famiglia ha di educare. Nessuna comunità di vita è più intima, è più prolungata nel tempo, è più continua nella quotidianità, della vita comune familiare. In un certo senso, all’interno di una normale vita famigliare i genitori educano quasi senza accorgersene.

Ma da quanto detto finora risultano evidenti anche le insidie che possono indebolire la forza educativa della famiglia. Devo almeno enunciarle, così che siate vigilanti nei loro confronti.

La prima e la più grave di tutte è la mancanza nei genitori di una proposta educativa precisa, seria, unitaria e continua. Questa mancanza può essere il risultato di una profonda incertezza interiore presente nei genitori; oppure, e sarebbe il peggio, il risultato di un vero e proprio relativismo educativo. La mancanza di una proposta genera degli schiavi, non delle persone libere.

La seconda è la mancanza di una vera e propria vita comune familiare. La vita in comune non è abitare semplicemente sotto lo stesso tetto. È dialogo; è condivisione.

La terza è la mancanza della testimonianza. Come ho già detto, in fondo l’atto educativo è una testimonianza di vita. “La mia vita dice che ciò che ti propongo è vero”, dice l’educatore. Quando l’educatore non può dire questo, l’atto educativo rischia altamente l’inefficacia.

 

 

Conclusione

 

Non ho neppure accennato a questioni centrali oggi nell’educazione familiare, quale quella dell’autorità. Non ne avevamo il tempo. Mi premeva che voi andaste via da qui con più “coraggio educativo” di quanto ne avete quando siete arrivati.

A questo scopo, termino con un pensiero assai importante. Nella vostra proposta educativa voi non partite da zero. Siete dentro ad una grande tradizione educativa, quella cristiana, che la Chiesa tiene viva ed operante. Non sradicatevi da essa.

mons. Carlo Caffarra

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