Giovanni Scifoni si racconta. E parlando della fede afferma: "per me rappresenta l'unica, vera eredità che mi hanno trasmesso i miei genitori".
Sul settimanale Maria con te è stata pubblicata una bella intervista all’attore Giovanni Scifoni, che nella serie tv Doc – Nelle tue mani ha interpretato il dottor Enrico Sandri, migliore amico e confidente di doc, Luca Argentero nei panni di Andrea Fanti.
Come egli stesso afferma:
Nella seconda serie Enrico Sandri ha preso una piega inaspettata diventando divertente e sentimentale. È un personaggio dotato di una tale incoerenza che mi è piaciuto tanto interpretarlo.
(Maria con te)
Giovanni Scifoni, 45 anni, è attore, scrittore, drammaturgo, regista, appassionato nella vita e nel lavoro. Vanta una bellissima carriera, ma il fatto di essere cattolico se dal lato della creatività lo ha ispirato, dal lato della credibilità, racconta, lo ha ostacolato.
L’etichetta che si è trovato addosso? Essere un attore da parrocchia, da sagrestia. E certamente questa definizione è quantomeno riduttiva e, non troppo velatamente, dispregiativa. Figlia di un preconcetto sciocco e superficiale che vede ignorantemente la cultura solo da una parte.
Per molti anni sono stato considerato un attore che faceva teatro di parrocchia. Nell’ambiente teatrale pensavano che fossi “quella roba lì”. Nei miei spettacoli invece parlavo anche di dubbi e ateismo. Portavo in scena le mie angosce, i miei dubbi e i miei desideri e invece venivo considerato come uno che puzzava di sacrestia. Per quindici anni ho fatto gavetta nonostante fossi un attore affermato e facevo fiction da protagonista: ho cominciato ad esibirmi nel teatro istituzionale a 43 anni.
(Ibidem)
Per Scifoni non deve essere stato facile, ma probabilmente questo pregiudizio e l’attesa ingiusta che lo ha accompagnato, hanno donato all’uomo e all’attore l’umiltà e la pazienza che lo contraddistinguono.
Scifoni si presenta così sul suo profilo Instagram: “Faccio l’attore, le fiction, il teatro, eccetera. 3 dei miei 3 figli li ho fatti con Lilla. Che la amo”.
Commentando la “Lettera agli sposi” di Papa Francesco, rispetto al suo matrimonio, aveva scritto:
Quando ho letto la Lettera del Santo Padre il 26 dicembre scorso, i miei occhi si sono fermati su una frase, e non sono più andato avanti nella lettura: «Mai finire la giornata senza fare la pace». Che non è qualcosa di nuovo per me, tutt’altro. Quel versetto della lettera agli Efesini di San Paolo era una specie di ossessione per mia madre, me lo ripeteva compulsivamente, in ogni occasione: «Non tramonti il sole sulla vostra ira». In qualche modo mi è entrata dentro, nelle viscere, insieme al latte materno.
Quando ho conosciuto Elisabetta, mi sono accorto che anche lei aveva ricevuto lo stesso insegnamento da qualche nonna o da qualche vecchia suora. Siamo sposati da un bel po’ di tempo e abbiamo fatto tre figli; in tutti questi anni ogni sera, prima di andare a letto succede questa cosa strana: si deve fare pace, per forza… «non tramonti il sole sulla vostra ira» forse per abitudine, per tradizione, o coercizione, forse viviamo quel monito come una minaccia, una superstizione, quasi fossimo impauriti all’idea che senza il bacetto prima di andare a letto possa succedere qualcosa di terribile al nuovo sorgere del sole, che tutto possa crollare, che ci ritroveremmo in un mondo post atomico. Non lo so. Ma una cosa è certa: il nostro matrimonio è ancora salvo.
(Avvenire)
Con “Lilla”, Elisabetta, sono sposati da sedici anni e dal loro matrimonio sono nati Tommaso (14), Cecilia (11) e Marco (7). Insieme a loro ha girato la divertente e scanzonata sit-com La mia jungla, disponibile su RaiPlay.
Giovanni Scifoni: 6 fratelli, un’infanzia felice e la preghiera in famiglia
A Corrado Occhipinti Confalonieri, sulle colonne di Maria con te, racconta di essere stato educato dai genitori alla fedecattolica: “l’unica, vera eredità che mi hanno trasmesso i miei genitori” in una famiglia costituita da sei fratelli, vivendo un’infanzia felice.
Siamo cresciuti in una casa allegra, ricca di tradizioni, di ricorrenze e di momenti di condivisione. La domenica, nei momenti di preghiera, ci raccontavamo la nostra vita.
(Ibidem)
A Corrado Occhipinti Confalonieri, sulle colonne di Maria con te, racconta di essere stato educato dai genitori alla fedecattolica: “l’unica, vera eredità che mi hanno trasmesso i miei genitori” in una famiglia costituita da sei fratelli, vivendo un’infanzia felice.
Siamo cresciuti in una casa allegra, ricca di tradizioni, di ricorrenze e di momenti di condivisione. La domenica, nei momenti di preghiera, ci raccontavamo la nostra vita.
(Ibidem)
Anche lui – grato del dono ricevuto – tenta insieme alla moglie “con difficoltà estrema” di passare la fede ai figli:
(…) sono diversi l’uno dall’altro: pregare con loro è difficilissimo. (…) scalciano, si cominciano a menare.
(Maria con te)
Giovanni si ritiene abbastanza incostante nella preghiera anche se, afferma, cerca di recitare sempre i Salmi, le Lodi e la Compieta. Conserva bellissimi ricordi di un pellegrinaggio che fece con la parrocchia da ragazzo in Polonia presso la Madonna di Czestochowa, ed è molto legato al Santuario di Loreto:
(…) è un luogo a me molto caro, quando mi trovo nella Santa Casa provo un grande senso di affetto e di gratitudine nei confronti della famiglia di Nazaret per quello che ha fatto all’umanità.
(Ibidem)
I tipici dubbi su Dio che solitamente si manifestano durante l’adolescenza, per Scifoni sono arrivati intorno ai vent’anni:
Sui vent’anni ho avuto un momento di crisi, poi rientrato con una consapevolezza diversa grazie all’incontro con mia moglie Elisabetta. Ci siamo ritrovati credenti un po’ scanocchiati (indeboliti, ndr.), ma abbiamo scoperto l’importanza di compiere un cammino: assieme le cose si fanno meglio che da soli.
(Ibidem)
Giovanni Scifoni ci ricorda che la fede non è una camomilla che ti mette a posto lo stomaco e ti calma, e neppure una tecnica da imparare per raggiungere la pace dei sensi. Al contrario, la fede – per dirla citando una frase di Fratel Ettore nel libro “L’invadente. Fratel Ettore, la virtù degli estremi” di Emanuele Fant, è una ferita che non si cura.
Ritengo che la fede non dia serenità: questa idea che la fede possa essere un aiuto per il benessere psicofisico non è vera, mi ricorda lo yoga o la meditazione. Per me non è così: la fede mi mette in crisi, mi agita, mi rende inquieto. (…) Quello che la fede ti dà è la certezza di un Padre che ti ama e provvede a te.
(Maria con te)
E a proposito di questo, proprio perché “sul monte il Signore provvede”, c’è un fatto intimo e significativo che l’attore racconta nell’intervista. Sua moglie è incinta ed è sola in casa quando ha un malore. In quel momento il Cielo invia un angelo in suo soccorso.
Un giorno mia moglie incinta era sola in casa, si sentì male, stava perdendo nostro figlio. Improvvisamente sentì suonare alla porta: era un sacerdote, portava l’Eucarestia senza che nessuno glielo avesse mai chiesto. Le diede una prima assistenza e chiamò i soccorsi.
(Ibidem)
Siamo sicuri che per una mamma si sarà mossa la Mamma, la Vergine Maria da cui l’attore si dichiara profondamente affascinato:
(…) mi sembra una figura di grande ispirazione, un punto di riferimento importante. Quello che ha fatto Maria della sua vita è un modello di coraggio straordinario: giovane, maturo e ingenuo nello stesso tempo. Spesso mi chiedo cosa avrebbe fatto la Madonna nella situazione di crisi che viviamo oggi: mi è di grande aiuto.
(Maria con te)
Non è un caso che uno dei titoli della Madonna nelle litanie lauretane sia proprio: “Aiuto dei cristiani”.
Di Silvia Lucchetti
Tratto da aleteia.org
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