Credere nel Dio di Gesù Cristo significa proprio credere che lui continua a ripetere a me con inesausto trasporto il suo: «Io ti amo! Io ti amo! Io ti amo!», così senza fine, per l'eternità.
del 29 novembre 2006
Ma guarda un po’! Chi se lo sarebbe aspettato che un’ enciclica papale togliesse dalla naftalina ed esponesse al sole dimensioni umane che molti di noi a malapena riconoscono di vivere. Ci voleva un papa apparentemente freddo intellettuale per portarci a riprendere in considerazione il tema dell’ amore, del suo ruolo nella nostra vita, di cosa esso significhi nella nostra quotidiana esistenza. Il cinismo nel quale ci cullavamo e che ci lasciava tranquillamente infelici ha ricevuto una forte scossa da queste pagine papali.
 
Che non sia un esuberante adolescente a dirci l’importanza dell’amore, a sottolineare la sua pregnante presenza nella nostra vita (anche quando è assente) è cosa che ci fa mettere questo testo tra le pagine profetiche di questi nostri tempi così aridi di voci di speranza.
 
Il papa ci parla di un Dio che, è essenzialmente amore, di un Dio che fa tutto per amore e con amore. Ed è proprio questa affermazione di Benedetto XVI che ci mette a contatto con le domande che costellano i momenti fondamentali della nostra vita: io, mi sento amato? C’è qualcuno che mi ama? Esiste qualcuno per il quale vengo prima di qualsiasi altra cosa? Il nostro è un cuore che rimane vivo se riesce a percepire nella realtà qualcuno che gli dice: «Io ti amo!». Senza questa rivelazione il nostro cuore pian piano si intristisce, si immiserisce fino a divenire solamente un freddo meccanismo idraulico. Le parole: «Io ti amo!» sono per la nostra esistenza come un fiume d’acqua fresca che fa fiorire la vita. Ne abbiamo bisogno. Il nostro respiro si articola e si modella su questa piccola frase, senza di essa la nostra anima morirebbe asfissiata dai miasmi di una realtà in cui dominerebbero solo la crudeltà e il dolore insensato.
 
Esiste un dolore più grande di quello di non riuscire a sentire da nessuna parte queste parole rivolte a noi? Quale abisso si spalanca in un’ anima per la quale l’amore rimane sordo e muto, un’ impossibile chimera? Quanti volti accigliati, quante parole fredde, quante lacrime, quanta indifferenza nascono da un amore che non so ascoltare, da un amore di cui non mi rendo conto.
 
Ma guardiamo a noi oggi. Quand’è l’ultima volta che abbiamo vissuto l’esperienza di sentire vibrare dentro di noi questo: «lo ti amo!»? Dobbiamo forse tornare con la memoria a qualche antica letterina di adolescente innamorato, o forse, i più fortunati, ai primi anni di matrimonio? Ma ora? Dove ancora riascolto questa frase, chi ancora la ripete per me senza stanchezze, senza monotonia, senza superficialità?
 
Credere nel Dio di Gesù Cristo, ci dice il papa, significa proprio questo: credere che lui continua a ripetere a me con inesausto trasporto il suo: «Io ti amo! Io ti amo! Io ti amo!» così senza fine, per l’eternità. Una persona il cui cuore sa fare silenzio ed è capace di ascoltare questo soffio divino e la cui anima sa percepire la tenera carezza del suo amore diventa una persona in cui urge l’esigenza di amare, di fare propria l’ esperienza di dire: «Io ti amo!». Quando sentiamo il Padre dire a noi il suo: «Io ti amo!» non abbiamo alternativa, non tolleriamo più che altri non si sentano amati, subito ci trasformiamo in profeti e araldi dell’amore. Il segno evidente di aver sentito l’amore di Dio rivolto a noi è che subito sentiamo l’esigenza di dire «Io ti amo!» a qualcuno. Sapere che Dio ci ama, sapere nel profondo che la nostra esistenza è segnata indelebilmente da questo fatto ci spinge ad accarezzare, a baciare, ad abbracciare, a manifestare in tutti i modi possibili che «Io ti amo!».
 
Forse è vero: l’amore è una follia. E in questo senso Dio è il folle per eccellenza, folle d’amore per noi sue creature. Noi creature di Dio, fatti a sua immagine, chiamati alla follia dell’amore, folli così come è folle Dio.
 
Ma che altro è la santità se non la dolce follia di amare come Dio?
fra Carlo Toninello
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