L'apostolo Paolo è nato a Tarso, capitale della Cilicia, nella parte sudorientale dell'Asia Minore. Lì, egli crebbe in ambiente ellenistico. La lingua e la cultura greca, la religiosità e la morale ellenistica lo circondarono sin dalla fanciullezza. Tarso era una delle più interessanti città del mondo antico, perché lì passava il confine tra l'Oriente e l'Occidente
del 12 gennaio 2009
L’apostolo Paolo è nato a Tarso, capitale della Cilicia, nella parte sudorientale dell’Asia Minore (At 9,11; 21,39; 22,3). Lì, egli crebbe in ambiente ellenistico. La lingua e la cultura greca, la religiosità e la morale ellenistica lo circondarono sin dalla fanciullezza [1]. Tarso era una delle più interessanti città del mondo antico, perché lì passava il confine tra l’Oriente e l’Occidente. In questa città, due mondi si incontravano e si mescolavano tra loro. L’ampiezza dell’orizzonte intellettuale, che questa situazione di confine arrecava, si rispecchia nelle lettere dell’Apostolo: in esse l’elemento ellenistico e quello biblico-orientale si compenetrano.
 
Si pensi soltanto al suo repertorio di immagini: da un lato abbiamo l’allenamento del corridore (1Cor 9,25), il pugilato (9,26) e lo spettacolo delle belve nell’arena (15,32), dall’altro la pasta azzima che la massaia fa cuocere a Pasqua (5,7), il bue che trebbia al quale non si può mettere la museruola (9,9) ed il figlio che invoca il padre, Abba (Rm 8,15; Gal 4,6).
 
Come è certo che, a Tarso, lo strato superiore era improntato alla cultura ellenistica, così è pure certo che la città rimaneva ancora fondamentalmente una città orientale. Possiamo, ad esempio, considerare il costume di portare il velo. A Tarso era seguito in maniera rigida come nel resto dell’Asia Minore. Qui la donna, secondo il costume orientale, portava il velo in strada [2], mentre ad occidente di Tarso questa prescrizione di costume si andava sempre più allentando ed in Grecia la donna si presentava in pubblico senza velo [3]. C’è forse l’influenza di ricordi giovanili, quando Paolo in tono inflessibile esige dalle donne cristiane di Corinto che portino il velo nelle assemblee di culto (1Cor 11,2-16)?
 
Anche la vita religiosa della città rimaneva d’impronta orientale. Impariamo a conoscerla nel modo migliore grazie ad un tipo di moneta che per la prima volta appare direttamente dopo la nuova fondazione di Tarso (171 a.C.) e da allora la ritroviamo in forma stereotipa sino alla fine del III secolo d.C. [4].
 
In essa vediamo un basamento a forma di cubo, decorato da ghirlande, che sorregge una tenda aperta, dalla foggia di piramide, costruita con grandi pali. In questa tenda aperta, si scorge un animale favoloso, un leone con delle corna e delle ali erette; su di esso sta una figura che, con le sue caratteristiche, in particolare la bipenne, si riconosce come Sàndas, il Baal di Tarso. Sopra la piramide, a suo coronamento, si libra un’aquila, simbolo della divinizzazione. Tutto l’insieme rappresenta una pira. Esso poggia, così dobbiamo raffigurarcelo, su di un carro che accompagnato in una solenne processione da migliaia di persone, nella festa annuale del Baal Sandas, veniva condotto attraverso le strade di Tarso sulla piazza del mercato, dove si danzava con l’effigie della divinità dinanzi alla pira, fino a che nella notte essa veniva data alle fiamme. Tutti gli anni, ci testimoniano le monete, nella città natale dell’Apostolo, si festeggiava la morte e l’apoteosi del dio tutelare di Tarso. Paolo conosce dunque per esperienza diretta, fin dalla giovinezza, il culto di un dio che muore e che risorge. Non è quindi da stupirsi che egli in Rom 6,1 ss. si serva del ricordo di questo culto, quando a questo proposito dice che il cristiano è crocifisso e sepolto nel battesimo con Cristo, per essere trasposto con lui in una nuova esistenza. Era un discorso che gli uomini di quel tempo comprendevano.
 
Inoltre Paolo conosceva da Tarso il culto di Cesare, che era particolarmente vivo nell’Asia Minore. Nella parte orientale dell’Impero, non a Roma, furono per la prima volta attribuiti onori divini all’imperatore mentre era ancora in vita; sappiamo, dall’Apocalisse di Giovanni, con quale fanatismo nell’Asia Minore fossero attribuiti onori all’imperatore, quale Sotér, salvatore. Quando Paolo, nella Lettera ai Filippesi, afferma che la nostra patria è nel cielo, che dal cielo noi aspettiamo come nostro salvatore il Signore Gesù Cristo (3,20), ciò è affermato in antitesi con il culto di Cesare, quale Paolo aveva potuto conoscere sin dalla fanciullezza a Tarso. Ancora più importante del culto dei misteri e della venerazione del sovrano, per la formazione dell’Apostolo, fu il fatto che Tarso era un centro culturale di primo piano. Il fervore che spingeva i cittadini di Tarso alla filosofia ed alla cultura generale, superava quello degli Ateniesi e degli Alessandrini, afferma Strabone (63 a.C. – 20 d.C.) [5], ed egli enumera tutta una serie di filosofi stoici, originari di Tarso.
 
Non fa quindi meraviglia quando Paolo si mostra familiarizzato con la filosofia stoica e con la sua tecnica della discussione e con la sua arte retorica, la cosiddetta diatriba cinico-stoica. Si tratta, in Paolo, del tentativo di far capire agli uomini della strada, in forma popolare, i concetti filosofici fondamentali, in particolare le concezioni morali fondamentali della filosofia: domande retoriche, similitudini, esclamazioni, citazioni, cataloghi di virtù e di vizi, giochi di parole, antitesi e simili procedimenti devono servire a stabilire il contatto con ascoltatori semplici, senza pretese. Paolo conosce ed adopera la diatriba cinico-stoica; esemplare, a questo riguardo, è il passo di 1Cor 9, e lo sono inoltre i cataloghi di vizi e di virtù che si trovano presso di lui. Ma gli è pure noto il contenuto della filosofia di moda allora, la Media Stoà; troviamo nelle sue lettere dei termini stoici fondamentali (come coscienza [morale], natura, libertà), concetti stoici (come conoscenza di Dio tratta dalle sue opere – Rm 1,20 – la legge non scritta – 2,14), elementi del patrimonio culturale stoico (come la natura quale educatrice – 1Cor 11,14 – oppure l’analogia con la gara di corsa nello stadio – 9,24 ss.).
 
Questo era dunque il mondo nel quale era cresciuto Paolo. O meglio: questo era il mondo nel quale generalmente si credeva che Paolo fosse cresciuto, sino al momento in cui, nel 1952, questa visione venne posta in discussione dalle ricerche di uno studioso olandese del Nuovo Testamento, W. C. van Unnik [6]. Egli concentrò la sua analisi su di un singolo passo neotestamentario (At 22,3) dove la storia dell’Apostolo è introdotta con le seguenti parole:
 
Io sono un israelita,
nato a Tarso in Cilicia;
allevato in questa città (= Gerusalemme),
istruito ai piedi di Gamaliele.
 
Sulla base di un ricco materiale documentario, egli osservò che i tre participi impiegati in At 22,3 rappresentano una triade corrente, dove ognuno dei tre verbi ha un preciso significato fisso. Alla nascita fa seguito l’«essere allevato», la crescita nella casa paterna durante i primi anni, e poi «l’istruzione» da parte del maestro. La stessa triade è riferita a Mosè in At 7,20-22, e il confronto è istruttivo per il nostro caso. Lì è detto che Mosè, i primi tre mesi, fu «allevato» dai suoi genitori e poi nella casa della figlia del Faraone, e che fu «istruito» in tutta la cultura egiziana. Il passo degli Atti (22,3) ci informa che Paolo era nato a Tarso, ma che aveva trascorso la sua fanciullezza e tutti i suoi anni di formazione in Gerusalemme, dove viveva inoltre una sorella sposata dell’Apostolo (At 23,16).
 
Secondo il passo di Atti 22,3, i suoi genitori si erano già trasferiti a Gerusalemme quando Paolo era ancora un fanciullo. Questa notizia si trova confermata quando sottoponiamo ad accurato esame i supposti influssi profani ellenistici su Paolo nel periodo della sua maturazione, per esempio la sua conoscenza della filosofia stoica [7].
 
Si vede allora facilmente che Paolo conosce bene le concezioni popolari, ma che non possiamo parlare di un influsso profondo della filosofia stoica sulla sua predicazione. Sono assenti idee fondamentali della filosofia stoica [8] oppure vengono usate in maniera non rigorosa. Un esempio significativo in tal senso lo troviamo in Gal 3,5, in cui Paolo illustra l’esortazione a mortificare le membra della carne, adducendo un catalogo di vizi che comprende cinque termini: fornicazione, impurità, passione peccaminosa, cattivo desiderio e cupidigia di possedere. È una lista del tutto improbabile per il pensiero stoico. La «passione» posta al terzo posto (in greco, pathos), secondo la dottrina stoica costituisce un concetto sovraordinato e per essa è cosa assurda il porla, con le sue concretizzazioni, in un catalogo.
 
No, nulla mostra che Paolo abbia ricevuto una formazione profana greca oltre al semplice apprendimento della lingua greca parlata comunemente nel suo ambiente [9].
 
Quegli elementi di eredità ellenistica che in lui troviamo derivano piuttosto da un processo di assimilazione, che il giudaismo della diaspora in quel tempo stava effettuando, vale a dire: sono trasmessi a Paolo tramite il giudaismo ellenistico. La cultura spirituale di Tarso non è in alcun caso la chiave per comprendere la teologia paolina.
 
 
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NOTE
 
[1] H. Böhlig, Die Geisteskultur von Tarsus in augusteischen Zeitalter mit Berücksichtigung der paulinischen Schriften, Göttingen 1913.
[2] Dione di Prusa, Orationes 33,46.
[3] A. Oepke, Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, III 564.
[4] Riproduzione in H. Böhlig, op. cit., p. 24, ed in J. Leipoldt, Die Religionen in der Umwelt des Urchristentums (Atlante per la storia delle religioni, ed. a cura di H. Haas, fascicoli 9-11), Leipzig 1926, riproduz. n. 124 (grandezza naturale); cfr. p. XVI s.
[5] Geographica XIV, 673.
 
[6] W.C. van Unnik, Tarsus of Jerusalem. De stad van Paulus’ jeugd (Mededelungen der Koninklijke Nederlandse Akademie van Wetenschappen, Afd. Letterkunde, Nieuwe Reeks 15, 5), Amsterdam 1952, pp. 141-189. Traduzione inglese: Tarsus or Jerusalem. The City of Paul’s Youth, London 1962.
[7] M. Pohlenz, Paulus und die Stoa, «Zekschrift für die neutestamentliche Wissenschaft» 42, 1949, pp. 69-104.
[8] Per esempio apatheìa (la libertà dalle passioni), atarassìa (la libertà da .preoccupazioni e da agitazioni), eudaimonìa (benessere derivante da un’armonia spirituale). Materiale più vasto in M. Pohlenz, art. cit., p. 81 s.
[9] «Non vi è assolutamente nulla nei richiami di Paolo alla filosofia popolare o nel suo raro uso di aforismi greci oppure di comuni artifici retorici che faccia pensare ad una sua educazione profana greca. La totale mancanza di testimonianze che Paolo conoscesse i classici greci è, da sola, prova conclusiva che egli non ha mai studiato in maniera sistematica il greco – almeno al di là di un corso scolastico elementare», scrive giustamente W.F. Albright, Appendice VIII: Paul’s Education, in J. Munk, The Acts of Apostles (The Anchor Bible), Garden City, New York 1967, p. 312.
 
 
Tratto da: Joachim Jeremias, Per comprendere la teologia dell’apostolo Paolo, trad. it. G. Stella, Morcelliana, Brescia 1973 (ed. or. Stuttgart 1971).
 
Joachim Jeremias
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