Esiste tra i giovani una cultura dell'inquietudine, di una ricerca febbrile di qualcosa che non esiste e forse non esisterà mai, rendendoli sempre più insoddisfatti, affamati e assetati.«Mangio ed è come se non mangiassi. Questo vuoto, questo vuoto che non riesco a colmare...».
del 06 gennaio 2008
 La lettura di un dramma di Jonesco, La faim et la soif, mi ha stimolato queste riflessioni, che possono aiutare a chiarire uno degli aspetti che maggiormente preoccupano nell’area giovanile.
Esiste tra i giovani una cultura dell’inquietudine, di una ricerca febbrile di qualcosa che non esiste e forse non esisterà mai, rendendoli sempre più insoddisfatti, affamati e assetati: «Ho sempre fame», dice Jean, il protagonista del dramma, «mangio ed è come se non mangiassi. Questo vuoto, questo vuoto che non riesco a colmare...». È un’inquietudine, che può portare a Dio, una forma di itinerario che Agostino di Ippona aveva percorso e descritto molto bene nelle sue Confessioni: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in te, o Dio, che ci hai fatti per l’infinito».
Può portare ma di certo non approda a Dio, quando è ricerca di una felicità, che è estasi, che è rifiuto di tutto ciò che è parziale e limitato; quando è un fare esperienza per l’esperienza, quando è ricerca della novità per la novità, per cui si è scontenti di tutto o di tutti e non ci si riesce ad impegnare in niente di valido, di concreto. Cosa e chi potrà saziare questa fame e questa sete?
Oggi i giovani si trovano al vestibolo di esperienze mistiche e religiose, ma anche di nevrosi che l’«horror infiniti » (la paura dell’infinito) non aiuta a risolvere. La ricerca di una felicità impossibile, li conduce spesso sulla strada della droga: per sopire l’inutile ricerca o alleviare la sofferenza per frustrazioni, che non sono in grado di sopportare.
La felicità impossibile richiama la febbre delle cose, del divertimento, del piacere, dell’attimo vissuto in tutta fretta, che i giovani vanno inseguendo con il grave rischio di cadere nella «lucida disperazione dello smarrimento». Il desiderio non si appaga mai e comunque non sarà mai spento del tutto: «Non è la pace che voglio, grida questo moderno Sisifo, non è la semplice felicità. Io ho bisogno di una gioia travolgente. In un ambiente come questo, l’estasi è impossibile». L’ambiente è la casa, sia pure abitata da gioie semplici, da valori possibili, che permettono di raggiungere una felicità limitata, ma a portata di mano.
Il legame d’amore, che è fonte di sicurezza e felicità, appare per molti giovani forma di schiavitù dorata, di rinuncia alla libertà personale, all’infinito.
Se ne vanno da casa per non rinunciare alla vita, dicono. Sono alla ricerca dell’altrove; non credono nell’amore o ne hanno paura o non vogliono affrontare la fatica che l’amare comporta.
E da questa ricerca, che è favorita o stimolata dal mondo dei grandi, il primo ad essere escluso è proprio l’adulto. Di sicuro, quello che non si prende a cuore i problemi dei giovani; adulti simili non hanno posto nella patria del cuore dei giovani, che hanno bisogno di testimoni di felicità possibili.
Le felicità impossibili lasciano l’amaro in bocca contrariamente a quello che noi pensiamo, soprattutto se sono felicità che si acquistano, si comperano.
Siamo molto felici e soddisfatti quando riusciamo a guadagnare la vita e a costruircela, non quando la compriamo o quando troviamo tutto facile, senza dover pensare, progettare, sudare, darsi da fare. Il pan di segale non è soffice ma dura di più.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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