La gioia che fa la differenza

È vero che un credente non deve dichiararsi felice, quasi per contratto, ma possibile che non si sappia mostrare una differenza? Che ne è stato della speranza cristiana? Nella Chiesa di Russia nel giorno di Pasqua quando due cristiani si incontrano si salutano con un "Cristo è risorto" e l'altro risponde "Sì, Cristo è veramente risorto".

La gioia che fa la differenza

da Quaderni Cannibali

del 13 aprile 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

È vero che parliamo sempre di dolore e raramente di gioia?  

          Domanda secca scaturita da un'affermazione della scrittrice-giornalista Isabella Bossi Fedrigotti nel corso di un confronto promosso dalla diocesi. La contessa Isabella, per una sera ancora tra le sue montagne, dichiarava con rammarico come la stragrande maggioranza delle Lettere che riceve nel Forum del Corriere della Sera raccontino di dolori e malanni.  

          Non si parla della frustrazione di chi scrive decine di commenti sui blog - alla ricerca spasmodica di visibilità e stima altrove negate - nelle Lettere si parla di frustrazioni di ben altra natura: disgrazie, separazioni, lutti, conflitti ... E non sembra esserci stato un aumento imputabile alla crisi degli ultimi mesi: una tendenza costante. Anzi chi parla o scrive, assecondando, è visto come sensibile, acuto. Chi va controcorrente, diventa superficiale.

          Qualcuno potrebbe pensare al carattere delle persone - il classico bicchiere mezzo vuoto - e in parte è vero (ne conosciamo tutti, patologie a parte), tuttavia fa riflettere questo vedere e raccontare ogni avvenimento o incontro, costantemente 'al negativo' e negli ambienti più disparati: in autobus, al bar, in ufficio, davanti al distributore del caffè, nelle relazioni occasionali come in quelle più intense, sui social network ... Si sottolinea il male fisico e quello morale, la fatica di vivere, da soli, in coppia, in famiglia, in società, i torti subiti, le storture cui si assiste, i drammi piccoli e grandi.

Senza apparente differenza fra credenti, non credenti o diversamente credenti.

          È vero che un credente non deve dichiararsi felice, quasi per contratto, ma possibile che non si sappia mostrare una differenza? Che ne è stato della speranza cristiana? Non è forse che l'ha persa il mondo, e a noi si è quantomeno sbiadita?

          Nella Chiesa di Russia nel giorno di Pasqua quando due cristiani si incontrano si salutano con un 'Cristo è risorto' e l'altro risponde 'Sì, Cristo è veramente risorto'. Un atto di fede che non è mai scomparso neppure ai tempi della cortina di ferro più cupa. C'è un brano di musica per grande orchestra di Rimskij-Korsakov, 'La grande Pasqua russa' che, secondo un amico frate, vale la pena riascoltare in questo periodo: inizia con una melodia solenne, un lento mistico per trasformarsi in una danza che coinvolge tutto il popolo. Dalla sorpresa mistica alla gioia sfrenata di molti, di tutti. Questa è la Pasqua: il miracolo più strabiliante dell'universo cristiano. E san Paolo, nella sua prima lettera ai cristiani di Corinto, lo dice espressamente. Tutta la nostra vita dovrebbe partire da lì, da quel momento straordinario: è questo che fa la differenza!

          Potremmo ancora piangerci addosso e fermarci al venerdì santo? 'La questione centrale - scriveva Paolo Giuntella, a pochi mesi dalla morte (un amico che ricordo spesso per la sua 'forza' d'animo) - è se restare come citrulli repressi ai piedi della croce, anche dopo la Risurrezione, o se invece prendere la via di Emmaus e andare a festeggiare la rivincita sulla morte e l'apertura della strada verso la felicità'.

          C'è chi parla di nichilismo cristiano, andato in onda per anni, senza alcun fondamento teologico reale. Non è che dobbiamo star peggio per diventare più santi. Come non esiste alcuna correlazione tra una vita buona e la felicità.

          Eppure, a ben guardare, conosciamo tutti persone che - a fronte di una lunga serie di guai - sono le prime a pre-occuparsi se qualcosa non va e a rallegrarsi e con-dividere una gioia con qualcun altro. Forse perché solo chi ha fatto esperienza di drammi e dolori, quelli veri, è capace di com-passione. E chi, credente, sperimenta la fatica di vivere non si piange addosso ed è capace di trovare il modo di rialzarsi e, soprattutto, aiutare i fratelli a rialzarsi. E' quella la speranza che vive.

          Perché loro hanno scoperto la fonte della Gioia, quella autentica, non il patetico 'don't worry, be happy', come ricorda padre Radcliffe a più riprese quando affronta quella possiamo chiamare la 'teologia dell'Ultima Cena'. Nei giorni del Triduo pasquale abbiamo rivissuto la nostra (intesa come Chiesa) prima grande crisi: Giuda lo tradiva, gli apostoli stavano per rinnegarlo o scappare, la Croce era dietro l'angolo, ma Gesù ci ha fatto il dono più grande, ci ha donato il suo corpo e il suo sangue. E' la vita donata ai suoi amici, a noi tutti.

          Un amore che non ha confini, l'amore che lega in relazione le persone della Trinità e che ci viene donato per sempre. Neanche questo è ancora sufficiente per fare la differenza?

          Ce n'è invece abbastanza per chi crede per vivere nella gioia e annunciarla agli altri. Anzi, proprio come accaduto alle donne o ai discepoli di Emmaus dopo lo spezzar del Pane, andare di corsa - il testo dice 'precipitarsi' - ad annunciare lo straordinario inatteso. E il miglior modo di raccontare la Risurrezione è viverla. Possibile che, se ci crediamo, non dovremmo farlo trasparire nel quotidiano?

          Perché la gioia cristiana non è esente da tutte le tragedie che si consumano nel mondo, vicino e lontano: il 6 aprile abbiamo ricordato l'anniversario dell'inizio del genocidio in Ruanda e l'UNICEF ci ha descritto come almeno un milione di bambini rischi di morire per denutrizione (otto i paesi 'gravi' Ciad, Burkina Faso, Mauritania, Mali e Niger e le regioni settentrionali di Nigeria, Camerun e Senegal). Solo un esempio dei tanti drammi di oggi, ma Cristo è risorto per tutti. Non esiste dramma che non possa essere redento.

          'I cristiani sono uomini e donne veramente felici perché sanno di non essere mai soli, ma di essere sorretti sempre dalle mani di Dio', l'ha scritto il papa nel recente Messaggio ai giovani, che vale per tutti. 'Il cristiano autentico non è mai disperato e triste, anche davanti alle prove più dure' e 'la gioia cristiana non è una fuga dalla realtà, ma una forza soprannaturale per affrontare e vivere le difficoltà quotidiane'.

          Forse la gioia che fa la differenza dovremmo farla trasparire nella ricerca dei 'germi' o tracce di Risurrezione, nonostante tutto quanto accade e ci accade, e agire - perché non basta registrare o denunciare - per farli venire alla luce. Che è poi l'impegno che ci è stato affidato dal Convegno ecclesiale di Verona: 'essere testimoni del Cristo risorto, speranza del mondo'.

Perché Pasqua è proprio 'vivere da risorti', nella gioia del Risorto. Ciò che fa la differenza.

 

Maria Teresa Pontara Pederiva

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