La libertà negata ai figli. Se chiama Dio.

«Mai avrei potuto immaginare che esprimere, sia pure solo come desiderio, una personale vocazione alla consacrazione religiosa, potesse procurarmi una sequela di insulti, di irrisioni, di pervicaci incredulità, come quella che io ho incontrato. Ho 29 anni e...».

La libertà negata ai figli. Se chiama Dio.

da Teologo Borèl

del 29 aprile 2007

Caro Direttore,

che oggi, in una società che fa dell'assenza di Dio il proprio orizzonte, sia arduo e impopolare indossare i panni della fede già lo sapevo. Ma mai avrei potuto immaginare che esprimere, sia pure solo come desiderio, una personale vocazione alla consacrazione religiosa, potesse procurarmi una sequela di insulti, di irrisioni, di pervicaci incredulità, come quella che io ho incontrato. Ho 29 anni e solo da poco ho prepotentemente riscoperto il dono della fede. L'amore per Gesù Cristo sta lentamente ma inesorabilmente mutando la mia vita, tanto da fermentare come desiderio di una vocazione al dono totale. Eppure, i commenti che mi inseguono tradiscono una clamorosa mancanza di rispetto, non tanto a me (certo anche a me), quanto a tutti coloro che riconoscono nel Vangelo l'unica bussola della propria esistenza. In alcuni affiora persino il disprezzo e il biasimo per una scelta di vita che ritengono 'perdente', 'piena di rinunce'. Ebbene, con queste righe voglio gridare al mondo che non mi arrendo, che resisterò alle tentazioni che il mondo mi propina con l'obiettivo di neutralizzare e ancor più estirpare per sempre la mia volontà di seguire il Signore. Lui mi darà la forza.

Firmato: C. Dentello.

 

Un incipit singolare, questo, per un fondo di giornale. Ma ho preferito riportare per intero, e non solo citare, il testo di questa lettera ricevuta nei giorni scorsi, perché la denuncia che essa imprigiona possa deflagrare meglio.

Il dramma che ci racconta non è quello di un giovane soltanto. Sappiamo da varie parti che oggi c'è un'emergenza sul fronte dei diritti umani di cui nessuno parla, quella della vocazione religiosa ostinatamente (violentemente) impedita. E che pure sarebbe una declinazione immancabile di quella libertà che si pensa non negata ad alcuno. Invece.

Il fenomeno non è del tutto nuovo. Oggi però questa forma di violenza, anche se appare incredibile per i non addetti ai lavori, è sempre più diffusa, ed è causa di disagi profondi, lancinanti, in chi la vive in prima persona. Avvertire una chiamata interiore, una fascinazione piena, un trasporto insoffocabile e non poter, ad un tempo, esprimere e verificare quel che si sente: ecco il dramma. Percentualmente è un numero significativo quello dei seminaristi che hanno dovuto affrontare una vera e propria battaglia dentro le mura domestiche per dar corso al proprio progetto di vita. La controprova evidentemente non c'è: chi può sapere quante sono le persone che infine rinunciano? Che, per non creare troppe lacerazioni attorno a sé, chinano il capo e lasciano perdere?

Ragionando dunque sui casi noti, sappiamo che non raramente si raggiunge in famiglia un armistizio appena: questi giovani sono magari già al terzo o quarto anno di teologia ma la cosa non si è ancora appianata. Quando tornano a casa, è tutto un guardare di sottecchi, per catturare una qualche incertezza e poter sopraffare. Per intanto, non si accetta neppure di conoscere gli educatori del seminario, ritenuti per lo più gli ammaliatori del figlio.

Perché succede tutto ciò? Non si vuole che il figlio tradisca le aspettative per anni cullate dai genitori? Ma quanti sono i giovani che, alla prova pratica, non assecondano papà e mamma? E quindi? Si ritiene forse che quello del prete sia un 'mestiere' da infelici, se non da falliti, tale da non garantire il giusto consenso sociale? Oppure, saltati gli schemi, si ha paura che Dio si insedii nella vita del figlio ma anche nella propria? I motivi veri - riconosciamolo - sono serrati nel cuore dei genitori, a volte così bene che neppure gli stessi genitori trovano più la chiave. Ma a quel cuore non è possibile, in questa giornata delle vocazioni, non andare tutti idealmente a bussare.

Lasciate che Dio compia i suoi miracoli, inattesi e sorprendenti. Che squarci come una saetta anche il sereno cielo d'estate. Se egli c'è - e noi crediamo che ci sia, e riteniamo altresì che l'ipotesi della sua esistenza sia la più r azionale e convincente - se c'è, egli non può non chiamare. Anzi, è il-Sempre-Chiamante.

Tappargli la bocca nella vita dei nostri figli, è una doppia, inaudita violenza.

Toc, toc: a bussare è un popolo intero.

Dino Boffo

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