La libertà religiosa fa bene all'economia

Le religioni che rappresentano la maggioranza dei credenti in altre nazioni dovrebbero imparare dal caso brasiliano, perché la diversità religiosa...

La libertà religiosa fa bene all’economia

 

Le gravi limitazioni alla libertà religiosa che si registrano in molti paesi del mondo sono ormai ampiamente conosciute. Meno note sono invece le implicazioni positive che questo fondamentale diritto ha sulla crescita e la ripresa economica. Le illustra uno studio realizzato nel 2014 dalle università statunitensi di Georgetown e Brigham Young, secondo il quale esiste un evidente legame tra libertà religiosa e molti dei pilastri che compongono l’indice della competitività globale del World Economic Forum. Minori restrizioni all’esercizio della fede favorirebbero infatti lo sviluppo di fattori quali il benessere e l’educazione di base, l’efficienza del mercato del lavoro e l’innovazione tecnologica. Tra gli autori della ricerca vi è Brian Grim, che il prossimo 12 febbraio terrà sul tema una lectio magistralis all’Università Urbaniana. Noto esperto di libertà religiosa, membro del Consiglio sul ruolo della fede del World Economic Forum e già ricercatore del Pew Research Center, Grim è presidente della Religious Freedom & Business Foundation, nata lo scorso anno per studiare e mettere in pratica le ricadute positive della libertà religiosa in economia.

 

Dott. Grim, quando ha scoperto la correlazione positiva tra business e libertà religiosa?

«Durante le ricerche per Il Prezzo della libertà negata, libro che ho scritto nel 2011 assieme a Roger Finke, mi sembrò evidente che la libertà religiosa costituisse un fattore chiave per la stabilità nazionale. Un requisito fondamentale soprattutto per i paesi emergenti, giacché rassicura gli investitori esteri e agevola il normale svolgimento delle attività economiche. Peraltro avevo già sperimentato i benefici della libertà religiosa negli anni trascorsi in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti. Se negli Emirati la libertà di culto mi spronava a partecipare attivamente alla vita pubblica, nel regno saudita il divieto di esercitare la mia fede cattolica influiva negativamente perfino sul lavoro. Credo che la mia esperienza possa parzialmente spiegare perché l’indice di prosperità degli Emirati Arabi Uniti è tre volte superiore a quello dell’Arabia Saudita».


Come può in concreto la libertà religiosa favorire l’economia?

«Dove vi è libertà religiosa, credenti di ogni fede e non credenti sono tutelati dalla legge e liberi di contribuire allo sviluppo della società. Al contrario restrizioni governative e ostilità sociali in ambito religioso scoraggiano gli investitori stranieri e minano lo sviluppo sostenibile, con conseguenze negative su ampi settori dell’economia.  È quanto accaduto in Egitto, dove ostilità e restrizioni alla libertà di religione hanno danneggiato molti settori, in primis quello turistico. L’instabilità ha inoltre indotto molti giovani imprenditori egiziani ad emigrare: una grave perdita per il futuro del paese».

 

Lei sostiene anche che la libertà religiosa contribuisce a ridurre la corruzione. Come è possibile?

«La libertà religiosa consente alle persone di vivere in sintonia con i propri valori morali in ogni campo della vita, incluso l’ambito economico. Tra le principali lezioni della crisi finanziaria scoppiata nel 2008 vi è la necessaria riscoperta del ruolo che debbano avere i valori sociali ed morali, spesso richiamati da Papa Francesco, nelle decisioni delle compagnie economiche. La recente crisi rivela invece gravi mancanze in tal senso».

 

Vi è un paese in cui la correlazione tra libertà religiosa ed economia è più evidente?

«Un ottimo esempio è il Brasile, dove nel corso di pochi decenni circa un terzo della popolazione ha abbandonato il cattolicesimo senza provocare alcuna ostilità. La non violenza del fenomeno è dovuta principalmente al grande rispetto della Chiesa cattolica per la libertà religiosa. Le religioni che rappresentano la maggioranza dei credenti in altre nazioni dovrebbero imparare dal caso brasiliano, soprattutto perché la diversità religiosa occuperà un ruolo sempre maggiore nella vita pubblica di tutto il mondo».

 

Quale incidenza negativa hanno invece le restrizioni religiose sull’economia dei paesi a maggioranza islamica?

«Oltre ad alimentare tensioni e violenze, leggi come quella anti-blasfemia in Pakistan hanno un notevole impatto negativo sulle economie locali. Spesso tali norme sono usate impropriamente per colpire i rivali in affari e creano un clima in cui è difficile sostenere una attività di tipo commerciale, specie se la principale preoccupazione del proprietario è quella di aver salva la vita. In alcune società islamiche le attività finanziarie sono inoltre regolate dai consigli shariatici che possono autorizzare o vietare uno stesso strumento finanziario semplicemente sulla base di una diversa interpretazione della legge coranica».

 

In alcuni dei paesi con una maggiore crescita economica, la libertà religiosa è tuttavia soggetta a gravi limitazioni. Un caso significativo è quello della Cina. Come può influire la mancanza di libertà sull’economia cinese?

«Uno studio della Purdue University prevede che nel 2030 la comunità cristiana cinese sarà la più popolosa al mondo, mentre un’altra ricerca recentemente pubblicata dalla China Economic Review ha riscontrato una considerevole crescita economica nelle aree del paese a forte presenza cristiana. È evidente che il governo dovrà presto riconsiderare le politiche restrittive in materia religiosa, incluse le interferenze tra Roma e la comunità cattolica. Queste limitazioni possono frenare uno dei segmenti demografici più attivi del paese. Allentare il controllo sulla religione, così come avvenuto in campo economico, potrebbe invece permettere al miracolo cinese di proseguire nei prossimi decenni».    

 

 

 

Marta Petrosillo

http://vaticaninsider.lastampa.it

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