Francesco Niglio, chirurgo e pediatra di fama, nel 2002 sperimenta la malattia e il trapianto...
del 14 luglio 2016
Famoso chirurgo pediatrico, brillante professore universitario, uomo di successo, una sensazione di onnipotenza e la convinzione di avere il mondo in mano. Una vita di apparenza e superficialità che un giorno viene stravolta dalla malattia, costringendo il protagonista di questa storia a rivedere come in un film ogni scena della sua esistenza alla ricerca di un senso profondo, del significato smarrito.
La dialisi prima e un trapianto poi scavano nel cuore e nell’anima di Francesco Niglio, aprendo un varco profondissimo e rigenerante per l’amore di Dio. È a quel punto, nella sofferenza che lo strattona per vari anni, che scatta la scintilla, la vita riacquista valore e pienezza, alla luce di Gesù emerge il vero significato dell’esistenza. Francesco, chirurgo degli Ospedali riuniti di Foggia e docente nell’ateneo foggiano, è ormai conosciuto come il “medico dei poveri”. Un titolo particolare rilasciato dall’università della carità, della fede e del ritrovato amore in Cristo.
«Vivevo una realtà fatta di illusione, la mia vita era vuota», racconta. «Avevo tutto ma non quello che è realmente essenziale per essere felici. Ero credente ma la mia fede era molto fragile e superficiale: un credente di comodo. Il 22 novembre del 2002 all’improvviso tutto è cambiato, ho saltato lo steccato e da medico sono diventato paziente. Sono entrato in dialisi, per sopravvivere dipendevo totalmente dalla macchina per dieci ore al giorno. A quel punto il mio mondo è crollato, la mia vita è cambiata; dovevo trovare qualcosa che mi desse la forza di affrontare e superare quel momento difficile».
LA GUARIGIONE DEL CUORE
«Proprio in quelle lunghe ore in dialisi ha fatto capolino Gesù nella mia anima e ha bussato con forza alla porta del mio cuore», racconta Francesco, che incontriamo per Credere a Foggia, nel reparto di chirurgia pediatrica degli Ospedali riuniti, circondato da piccoli pazienti, genitori e disegni colorati.
«Il 29 aprile del 2005 sono stato trapiantato, mia madre mi ha donato un rene. Se oggi sono qui e posso continuare a svolgere la mia professione di medico è soltanto grazie all’amore di Dio e allo straordinario dono di vita che ho ricevuto: sono rinato alla vita e da quel momento ho sentito che avrei dovuto ripagare questo debito con il Signore dedicando la mia esistenza ai poveri o meglio ai miei fratelli più sfortunati. Grazie alla Caritas diocesana e a don Francesco Catalano ho potuto trasfondere la mia fede in opere concrete di carità».
La malattia è diventata per questo medico il banco di prova per testare una fede più matura e per tornare a una vita autentica e a una professione che può essere esercitata come una missione, secondo il Vangelo.
IL CAMMINO DELLA CONVERSIONE
«Quando quel giorno mi sono ritrovato dall’altra parte a vivere un ruolo nuovo ho capito che il vero medico non è quello con il camice addosso, ma chi è in grado di far stare bene una persona, con una parola di conforto, magari una pacca sulla spalla, con un sorriso che rinfranca e rasserena, anche quando per i limiti umani e scientifici non riusciamo a curare una malattia. Ho capito che il vero significato della vita è da ricercare in quelle piccole cose che spesso non riusciamo ad apprezzare. Per mia fortuna ho colto il messaggio che Dio mi ha inviato: la malattia non è una punizione, ma una prova da superare per arrivare alla vera guarigione, quella del cuore».
UN CAMBIAMENTO RADICALE
A essere radicalmente cambiato, spiega Francesco, è «il mio essere uomo, il mio approccio con le persone, depurato dall’arroganza. Ho compreso la grande forza del perdono e l’importanza di ringraziare il Signore ogni giorno. È iniziato quindi il mio percorso di conversione con la consapevolezza di essere uno strumento nelle mani di Gesù e che avrei potuto fare di questo bellissimo lavoro una missione».
La nuova vita di Francesco da “medico dei poveri” scorre tra l’ospedale, le lezioni all’università, la campagna di sensibilizzazione a favore dei trapianti e soprattutto l’ambulatorio allestito presso la Caritas diocesana, aperto a chiunque sia in difficoltà. Qui lo scorso 8 gennaio il dottor Niglio ha portato Nonno Libero, un senza fissa dimora. «Ho soccorso Nonno Libero nella centralissima via Bari, era accasciato in un angolo, scansato da tutti a causa del cattivo odore», ricorda Francesco. «È come se in quel momento Gesù mi avesse detto di non aver paura e di avvicinarmi a quell’uomo, perché proprio lì, tra piaghe e buste maleodoranti c’era lui ad attendermi. Nonno Libero è stato accompagnato in ospedale e operato a causa della rottura del femore. Oggi è ospitato nel centro di accoglienza della Caritas, dove ha ritrovato la serenità di un pasto caldo e di un tetto sopra la testa».
Di Flavio Squarcio
Tratto da http://credere.it
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