«La mamma? È in Italia...»

Il paese degli “orfani”. Dalla Moldavia le donne se ne vanno. Molte verso la penisola, a fare le badanti: dietro si lasciano famiglie lacerate. Nel paese più povero d'Europa, un terzo dei bambini ha un genitore o entrambi all'estero. E finiscono negli internat...

«La mamma? È in Italia…»

da Attualità

del 19 agosto 2009

 

A Rosu, le case hanno il tetto di paglia, l’acqua la si prende al pozzo e le stufe a legna sono l’unico impianto di riscaldamento disponibile per sopravvivere all’inverno, che in questa regione semi-denubiana, nel sud della Moldavia, può essere molto rigido, nonostante le spiagge del Mar Nero distino meno di 100 chilometri. La gente del villaggio racconta che a gennaio la temperatura scende 30 gradi sotto zero e la neve rimane fino ad aprile; quando si scioglie, trasforma le strade in fiumi di fango. Poco asfalto, pochi edifici in mattoni, scarsa illuminazione pubblica. L’Europa comincia a meno di due ore di carretto – il mezzo di trasporto più usato da queste parti – oltre il fiume Prut, che segna il confine con la neocomunitaria Romania. Ma la distanza dagli standard di vita dei cugini oltre confine, pure considerati i più arretrati nell’Unione, è decisamente superiore.

Rosu è il paese delle badanti. Dall’inizio degli anni Novanta, una alla volta le donne ne sono andate via tutte. La stragrande maggioranza è venuta in Italia, secondo paese dopo la Russia fra le destinazioni dei flussi migratori, ma primo tra gli stati occidentali, stando all’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Da noi le donne di Rosu vengono per prendersi cura degli anziani. E a casa loro lasciano famiglie distrutte.

Donna Natalia, 58 anni, mani ruvide da contadina, il capo sempre coperto da un fazzoletto a fiori come si usa in campagna, vive con i suoi cinque nipoti. Le figlie, Micaela e Nadia, sono a Verona. La più piccola, Nadia, è partita un anno fa. Ma dopo qualche mese la persona di cui si occupava è morta, lasciandola senza lavoro e senza casa. Da allora Donna Natalia non può più contare sul suo stipendio. Né può fare affidamento sugli uomini di famiglia. Il marito non c’è più da tempo. I generi, entrambi muratori stagionali a Mosca, quando le mogli sono venute in Italia non sono più tornati. «Lo stato mi passa una pensione di 450 lei (equivalenti a 35 euro, ndr), ma questo mese 300 ne ho già spesi per la bombola del gas – racconta –. E siccome Micaela ora deve pensare alla sorella, a me non arriva più un euro. Questo inverno per comprare la legna ho dovuto vendere la vacca. Che altro dovevo fare? Senza accendere la stufa, qui si muore di freddo».  

 

 

Solo il 15% orfani “reali”  

 

Secondo le stime delle organizzazioni non governative, in Moldavia un bambino su tre ha un genitore o entrambi all’estero. Ma nelle regioni meridionali la percentuale è ancora più alta. «Per avere un’idea di questo esodo basta contare le auto con le targhe straniere parcheggiate per strada ad agosto, quando i migranti tornano a casa», osserva Valeriu Beril, presidente della regione di Stafan Voda, una distesa di dolci colline che degradano verso le pianure dell’Ucraina, vigneti e meleti a perdita d’occhio, che nessuno coltiva più. «Le rimesse dall’estero rappresentano un terzo del prodotto interno lordo del paese (stime della Banca Mondiale dicono addirittura il 38%, ndr). Ma è come se ci stessimo indebitando con il futuro. Perché la ricchezza relativa di oggi la stiamo facendo pagare alle generazioni di domani».

Chi parte lascia i figli a parenti o amici. E coloro che non hanno una rete familiare alle spalle ricorrono agli internat. I 39 istituti del paese ospitano 11 mila minori tra i 7 e i 16 anni. Di questi, solo il 15% sono orfani reali. Gli altri sono gli “orfani dell’emigrazione”, come li chiama la Caritas, figli di contadini troppo poveri per occuparsi di loro, di badanti e manovali che vanno e vengono dalla Russia, dall’Italia, da altri paesi. Bambini che non hanno avuto la fortuna di trovare una Donna Natalia che provveda a loro.

Eredità del sistema scolastico sovietico, gli internat servivano per garantire un’istruzione di base alle fasce più disagiate. Sono diventati oggi la sola risposta che le autorità pubbliche offrono all’abbandono dei bambini da parte di adulti in fuga dalla miseria. Ma è un’alternativa che costringe spesso a compromessi inaccettabili. «Negli orfanotrofi i bambini subiscono abusi e sopraffazioni – denuncia Cezar Gavriliuc, direttore esecutivo del Child Right Information Center, organizzazione non governativa moldava impegnata nella promozione dei diritti dell’infanzia –. Dopo le lezioni sono tenuti sottochiave nelle camerate, molti sono costretti dai professori a lavorare nei campi attorno agli istituti». A volte su questo sistema scolastico degradato e allo sbando si allungano ombre persino più sinistre. «Qualche tempo fa – continua Gavriliuc – si è scoperto che i direttori di due internat avevano legami con i trafficanti di prostitute in Turchia. Lo scandalo fu messo sotto silenzio e i due direttori vennero semplicemente spostati da una funzione all’altra». Sotto la pressione dell’Unione europea, il governo di Chisinau ha avviato un programma per il superamento del sistema degli orfanotrofi, in collaborazione con l’Unicef. «Con risultati finora deludenti – commenta Gavriliuc –. Dopo tre anni se n’è chiuso solo uno, ma i bambini sono stati trasferiti in un altro». 

Francesco Chiavarini

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