La nostra epoca

La nostra epoca è in procinto di passare dall'accentuazione dell'elemento individuale e soggettivo a quella dell'elemento comunitario e oggettivo. E sulla Chiesa quindi che cadrà più forte l'accento.

del 27 aprile 2013

Le "Lezioni sulla Chiesa", tenute da Guardini all'università di Bonn nel 1921 e pubblicate nel 1922 con il titolo Il senso della Chiesa, avevano entusiasmato il suo uditorio e i suoi lettori, che le avvertivano "come un colpo d'ala, un soffio di cristianesimo originario, pentecostale", in quanto additavano "nuove vie verso un rapporto vivo tra Chiesa e personalità, verso una crescita umana autentica fondata sulla libertà interiore, che sfocia in una comunità di grazia" (Rosino Gibellini, La teologia del XX secolo).

 

La nostra epoca è in procinto di passare dall'accentuazione dell'elemento individuale e soggettivo a quella dell’elemento comunitario e oggettivo. E sulla Chiesa quindi che cadrà più forte l'accento. Dobbiamo sentirlo anche in queste lezioni che si pongono la domanda come, attraverso la dedizione alla Chiesa, la personalità diventi tale quale deve essere…

 

Cerchiamo di giungere alla consapevolezza di quanto profondamente siamo imprigionati nel relativismo, cioè in quella mentalità che nega l'Assoluto o almeno cerca di respingerlo il più possibile addietro.

 

Abbiamo vissuto il crollo di ciò che ritenevamo edificato per durare un tempo incalcolabile: la nostra organizzazione statale con la sua potenza, l'ordinamento sociale ed economico ed altre cose ancora. Vediamo come muti il senso della comunità, e così pure la nostra posizione interiore verso le cose, verso la vita. Questi processi sono troppo profondi per poterne trattare in poche parole. La sensibilità artistica è cambiata; anzi il mondo spirituale espressionistico che un poco per volta ci era divenuto più familiare va declinando e sorge l'esigenza di un nuovo classicismo. Si sta formando un mondo scientifico e filosofico, che cerca di comprendere le cose con maggiore grandezza d'animo, più essenzialmente e liberamente.

 

Davanti a queste profonde trasformazioni acquistiamo una consapevolezza un po' più intensa di quello che in verità si svolge continuamente: la posizione spirituale verso noi stessi, verso il mondo che ci sta intorno e verso gli ultimi principi dell'esistenza si sposta senza interruzione. Le forme della vita umana, del suo contenuto economico, sociale, tecnico, artistico, speculativo sono in continua, anche se insensibile trasformazione.

 

Noi stiamo in un perenne fluire. Finché ciò non penetra con sufficiente chiarezza nella coscienza, finché un solido sottofondo di vita rimane protetto da un'ingenua sicurezza, oppure finché opinioni religiose profondamente radicate fanno opposizione al sapere riflesso che aumenta, la vita resiste e s'adatta a questo fatto. Ma nelle epoche di transizione e quando anni di critica hanno corroso ogni salda fede, allora esso si fa strada nella coscienza con ineluttabile evidenza e si forma quindi quello stato d'animo che regnava ancora dieci anni or sono [1910 circa] e in gran parte anche oggi: la sensazione della caducità e della relatività acquista potere sull'anima, che vede con terrore come tutto scorra e passi. Niente più sta saldo. Tutto può essere considerato da mille diversi punti di vista. Quello che sembrava sicuro si disgrega, se lo si guarda più da vicino, in tutta una serie di probabilità. Accanto ad ogni creazione ve ne sono ancora molte altre di possibili. Ogni istituzione avrebbe potuto essere regolata anche in altro modo proprio altrettanto bene. Ogni valutazione si regge fino a prova contraria.

 

Allora l'uomo si sente incerto, non riesce più a giudicare con sicurezza, a valutare con decisione, non è più capace di un'azione convinta e sicura del proprio significato. Egli è in balia delle mode dell'ambiente, delle fluttuazioni dell'opinione pubblica, dei vari umori del suo stesso temperamento.

 

La sua vita perde la chiara direttiva. Quello che si chiama “carattere” si rilascia. Una tale persona non supera più l'errore per mezzo della verità, non la cattiveria e la fragilità con la forza morale, non l'ottusità e l'instabilità della massa con i grandi pensieri e con una capacità di condotta conscia della propria responsabilità, non il tempo con opere nate dalla pura volontà e destinate ad un valore eterno.

 

Accanto a questa meschinità vi è una spaventosa presunzione. L’uomo diventa morbosamente malsicuro e morbosamente arrogante. I popoli impazziscono di orgoglio, i partiti divengono ciechi per l'egoismo; proprietari e proletari ignobilmente avidi. Ogni classe sociale si deifica. Arte, scienza, tecnica, tutti i singoli campi della vita ritengono ciascuno se stesso l'unico e il tutto. Disperata impotenza, sfiduciata caducità, la tristezza di essere in balia di una potenza cieca e insensata, e con ciò una spaventosa e ridicola presunzione del denaro, del sapere, della potenza, della capacità.

 

Debolezza e spavalderia, miseria e pretenziosità, fiacchezza e violenza, non si avverte come in questo miscuglio vada perduto quello che veramente è l'uomo? E la caricatura dell'umanità. Che cosa vuoi dire essere “uomo”, nel suo senso più profondo? Vuol dire riconoscere le proprie debolezze, ma nutrire fiducia che possano essere superate, vuoi dire essere insieme umili e fiduciosi. Vuoi dire sentirsi perituri, eppure tendere verso l'eterno, essere legati al tempo, ma vicini all'eternità; limitati di forze, ma pure pronti ad opere di valore eterno.

 


di Romano Guardini

Tratto da Romano Guardini, Il senso della Chiesa, Morcelliana, Brescia 2007, pp. 55-58.

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