Quando un leader spirituale e politico, pensando a una svolta nella storia, afferma «Io ho un sogno», tutti lo guardano con speranza o con scetticismo. Molti però non sospettano che la loro esistenza sia implicata in modo essenziale proprio con una visione, una trama, un desiderio che sono quelli tipici dei sogni.
del 08 ottobre 2008
Quando un leader spirituale e politico, pensando a una svolta nella storia, afferma «Io ho un sogno», tutti lo guardano con speranza o con scetticismo. Molti però non sospettano che la loro esistenza sia implicata in modo essenziale proprio con una visione, una trama, un desiderio che sono quelli tipici dei sogni.
 
L’interpretazione delle scene oniriche ricorre in tutte le culture. Spesso nelle Scritture delle grandi religioni la rivelazione passa per l’incontro con il sogno. Per averne conferma basta rileggere i primi capitoli dell’Evangelo di Matteo. Freud ha mostrato che esiste, rivissuta nei sogni, una verità su noi stessi che ci invita a superare le certezze dell’evidenza immediata. Una verità radicata nel desiderio e nella sua dolorosa dialettica con la realtà. Tutto ciò vale ancor più, secondo Ernst Bloch, per il sogno a occhi aperti, fatto da svegli. C’è in noi un insopprimibile dinamismo che, secondo lui, ha a che fare non con Dio, ma con la nostra identità incompiuta. Essa, paradossalmente, ci attira dal futuro. Il modo d’essere tipico dell’umanità è, per Bloch, un non- essere- ancora che tende al suo traguardo: la storia divenuta così libera da ogni male da aver sconfitto anche la morte. Per Freud proveniamo dalle esperienze fondamentali che il sogno narra in modo cifrato e che restano il nostro destino individuale; per Bloch invece possiamo giungere alla realtà nuova che il sogno prefigura. Entrambe le letture dicono comunque che i sogni vanno compresi e svolti, non dimenticati. María Zambrano ha impresso a tale consapevolezza una svolta radicale. Per lei il sogno non è una mera rappresentazione, né del passato né del futuro. È la relazione con l’origine della vita.
 
Dio stesso ci ha voluti, desiderati, amati. Ci ha sognati. Un’entità onnipotente produrrebbe magicamente quello che vuole. Il Dio vero, innamorato della creazione, sogna le sue creature. Come una madre. Se siamo un sogno, esso va svolto come una misteriosa vocazione che nell’esistenza prende forma. Colei che assiste, inizialmente confusa e passiva, a questo trovarci a essere sogno è la libertà umana.
 
Nel sonno assistiamo alle scene oniriche senza poterle modificare. La libertà sembra legata. È la traccia di come ognuno si trovi nella vita provenendo da questo desiderio divino e sperimentando una passività che però chiede una risposta nuova. Ecco la nascita della libertà. Solo grazie a un desiderio che risponde al desiderio di Dio impariamo a diventare liberi. «Sognare è già svegliarsi», scrive Zambrano. Il vero risveglio non sta nell’oblio del sogno, ma nel suo svolgimento tramite la fragile forza della libertà. Essa inizia il suo cammino uscendo dalla passività del sogno, ma senza tale esperienza non potrebbe nascere. Ogni adattamento alla miseria di una realtà iniqua e ogni mortificazione della speranza sono un tradimento di se stessi e del sogno di Dio. Come dice Borges in questi versi: «I miei mi generarono per il gioco rischioso e stupendo della vita. Per la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco. Li defraudai. Non fui felice».
 
Colui che si rivela qui è un Dio che vuole non semplicemente dei figli obbedienti, ma dei figli felici. In questa prospettiva si comprende, finalmente, che tutte le nostre identità (religiose, etniche, politiche) sono provvisorie, parziali, di servizio. Perciò non possiamo considerarle concluse e superiori a quelle altrui. Né possiamo farne un idolo per combattere gli altri, negandoci al dialogo e alla corresponsabilità per la vita comune.
 
Roberto Mancini
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