La Chiesa esiste per portare in ogni tempo il Vangelo a ogni persona, dovunque si trovi. L'annuncio deve coniugarsi con uno stile di vita che permette di riconoscere i discepoli del Signore dovunque si trovino.
del 21 gennaio 2011
 Riflessioni su «Ubicumque et semper»          La Chiesa esiste per portare in ogni tempo il Vangelo a ogni persona, dovunque si trovi. Il comando di Gesù è talmente cristallino da non consentire fraintendimenti di sorta né alibi alcuno. Quanti credono nella sua parola sono inviati nelle strade del mondo per annunciare che la salvezza promessa ora è divenuta realtà.            L’annuncio deve coniugarsi con uno stile di vita che permette di riconoscere i discepoli del Signore dovunque si trovino. Per alcuni versi, l’evangelizzazione si riassume in questo stile che contraddistingue quanti si pongono alla sequela di Cristo. La carità come norma di vita non è altro che la scoperta di ciò che dà senso all’esistenza perché la permea fin nei suoi meandri più intimi di quanto il Figlio di Dio fatto uomo ha vissuto in prima persona.          Si potrà discutere a lungo sul senso dell’espressione «nuova evangelizzazione». Chiedersi se l’aggettivo determini il sostantivo ha una sua ragionevolezza, ma non intacca la realtà. Il fatto che la si chiami «nuova» non intende qualificare i contenuti dell’evangelizzazione, ma la condizione e le modalità in cui essa viene fatta. Benedetto XVI nella lettera apostolica Ubicumque et semper sottolinea con ragione che ritiene opportuno «offrire delle risposte adeguate perché la Chiesa intera si presenti al mondo contemporaneo con uno slancio missionario in grado di promuovere una nuova evangelizzazione».          Qualcuno potrebbe insinuare che decidersi per una nuova evangelizzazione equivale a giudicare l’azione pastorale svolta in precedenza dalla Chiesa come fallimentare per la negligenza posta o per la scarsa credibilità offerta dai suoi uomini. Anche questa considerazione non è priva di una sua plausibilità, ma si ferma al fenomeno sociologico preso nella sua frammentarietà, senza considerare che la Chiesa nel mondo presenta tratti di santità costante e di testimonianze credibili che ancora ai nostri giorni sono segnate con il dono della vita. Il martirio di molti cristiani non è diverso da quello offerto nel corso dei secoli della nostra storia, eppure è veramente nuovo perché provoca gli uomini del nostro tempo spesso indifferenti a riflettere sul senso della vita e sul dono della fede.          Quando si smarrisce la ricerca del genuino senso dell’esistenza, inoltrandosi per sentieri che immettono in una selva di proposte effimere, senza che si comprenda il pericolo in agguato, allora è giusto parlare di nuova evangelizzazione. Essa si pone come vera provocazione a prendere sul serio la vita per orientarla verso un senso compiuto e definitivo che trova unico riscontro nella persona di Gesù di Nazareth. Lui, il rivelatore del Padre e sua rivelazione storica, è il Vangelo che ancora oggi annunciamo come risposta all’interrogativo che inquieta gli uomini da sempre.           Mettersi al servizio dell’uomo per comprendere l’ansia che lo muove e proporre una via d’uscita che gli dia serenità e gioia è quanto si raccoglie nella bella notizia che la Chiesa annuncia.          Una nuova evangelizzazione, quindi, perché nuovo è il contesto in cui vive il nostro contemporaneo sballottato spesso qua e là da teorie e ideologie datate. Per quanto paradossale possa sembrare, si preferisce imporre l’opinione piuttosto che indirizzare verso la ricerca della verità.          L’esigenza di un linguaggio nuovo, in grado di farsi comprendere dagli uomini di oggi, è un’esigenza da cui non si può prescindere, soprattutto per il linguaggio religioso così improntato a una specificità tale da risultare spesso incomprensibile. Aprire la «gabbia del linguaggio» per favorire una comunicazione più efficace e feconda è un impegno concreto perché l’evangelizzazione sia realmente nuova.          Un’icona a cui il nuovo dicastero intende dedicarsi, trova riscontro nella Sagrada Familia di Gaudí. Chi la osserva nella sua pregnanza architettonica trova la voce di ieri e quella di oggi. A nessuno sfugge che è una chiesa, spazio sacro che non può essere confuso con nessun’altra costruzione. Le sue guglie si stagliano verso l’alto, obbligando a guardare il cielo. I suoi pilastri non hanno capitelli ionici o corinzi e, tuttavia, li richiamano anche se consentono di andare oltre per rincorrere un intreccio di archi tale da far pensare a una foresta dove il mistero ti invade e, senza sopprimerti, ti offre serenità.          La bellezza della Sagrada Familia sa parlare all’uomo di oggi pur conservando i tratti fondamentali dell’arte antica. La sua presenza sembra contrastare con la città fatta di palazzi e strade che si rincorrono mostrando la modernità a cui siamo inviati. Le due realtà convivono e non stonano, anzi, sembrano fatte l’una per l’altra; la chiesa per la città e viceversa. Appare evidente, comunque, che la città senza quella chiesa sarebbe priva di qualcosa di sostanziale, evidenzierebbe un vuoto che non può essere colmato da altro cemento, ma da qualcosa di più vitale che spinge a guardare in alto senza fretta e nel silenzio della contemplazione.Rino Fisichella
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