E' dunque la cornice, il luogo fisico, una reale possibilità profonda di un Incontro con Dio, con l'altro, ma soprattutto con la parte più profonda di se stessi?
del 10 novembre 2017
E' dunque la cornice, il luogo fisico, una reale possibilità profonda di un Incontro con Dio, con l'altro, ma soprattutto con la parte più profonda di se stessi?
Sabato scorso con un gruppo di amici della mia fraternità O.f.s (Ordine Francescano Secolare) siamo stati invitati a Camerino nelle Marche dove, in occasione del primo anniversario del forte terremoto dell'anno scorso, si ricominciavano le attività della fraternità locale con una messa in cui si celebravano alcune professioni e alcune ammissioni all'Ordine (inizio cammino di noviziato). A Camerino si riprendeva dunque, con grande commozione, un cammino interrotto per forza proprio a causa del fatto che molti, avendo perso la propria casa divenuta inagibile, si erano trasferiti lontano o in situazioni che non permettevano più di ritrovarsi periodicamente come prima. Ma un'altra sorpresa, per me del tutto inaspettata, è stata il luogo, o meglio il convento, dove la fraternità si ritrova abitualmente e ha la sua sede e nel quale si è celebrata questa messa vespertina del sabato sera. E' il convento di Renacavata, incastonato in uno splendido boschetto di castagni, culla dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che come non tutti forse sapranno, nascono appunto nel Cinquecento per una Riforma dell'Osservanza precedente. Un "certo" frate, Matteo da Bascio, arrivò appunto a Camerino e ricevette da una contessa locale un romitorio già esistente, Renacavata, e lì sorse il primo convento cappuccino. Luogo storico denso di memoria e di significati dunque, luogo di un'incantevole bellezza naturale e artistica, anche se molto ricostruito (e a più riprese) a causa di altri terremoti purtroppo frequenti in quella zona. Luogo insomma estremamente suggestivo, in mattone faccia vista e interni a travi di legno scoperte, soffitti bassissimi e porte altrettanto (per rispettare il principio evangelico di sforzarsi ad entrare per la porta stretta), corridoi angusti e pavimento in cotto, cellette piccolissime con solo un letto, un minuscolo tavolo e una sedia. Insomma, per i miei gusti, un luogo incantevole che, dopo la messa, il padre guardiano ci ha portato a visitare nella sua parte più antica, via via ampliata man mano che il numero dei frati cresceva e forse cambiavano anche nel tempo le stesse esigenze che condizionavano l'architettura stessa e l'organizzazione dei luoghi.
Beh, un lungo preambolo, il mio, per dire come questo luogo mi abbia agganciato con forza e mi abbia fatto avvertire una profonda risonanza interiore... così mi sono posta alcune domande: può un luogo, di per sé, agganciare il fondo di una persona? Per quali vie? E ancora, che cosa è realmente quel nostro "fondo", quella assoluta profondità interiore, che tutti abbiamo, e che si attiva spesso "inspiegabilmente" facendo emergere molte "cose" di noi che non sapevamo di avere? Credo di essermi fatta domande molto complesse, ma di aver usato anche parole semplici che fanno parte di un'esperienza comune a tutti coloro che abbiano un minimo di dimestichezza con la pratica di sapersi ascoltare in profondità.
Certamente uno psicologo o un teologo sarebbero, rispettivamente al proprio ambito, capaci di dare risposte ben più complete di me, perché penso che il tentativo di definire la parola "fondo" afferisca a varie sfere: quella emotiva e anche quella razionale (pensiamo a come certi ambienti ci emozionano e ci attivano un ricordo che si aggancia a un ben preciso fatto, o a una persona che tratteniamo con la mente e sulla quale sappiamo fare un ragionamento logico...), ma anche affettiva (cioè siamo in grado di trasformare l'emozione provata ed evocata in sentimento). Sempre con un esempio un ambiente anche sconosciuto, per ipotesi grazie al particolare di un arredo speciale, mi fa sentire profondamente felice (emozione), mentalmente mi introduce al ricordo della mia nonna (pensiero) e immediatamente all'affetto profondo (sentimento) che provavo e provo ancora per lei. E l'anima? Per noi credenti è il nostro quid immortale e deposito di quel germe divino che ci portiamo dentro, ma qui ci chiediamo come risponda e come si attivi alla "sollecitazione" di un luogo? Citando la definizione tanto chiara del filosofo Florenskij del concetto di "icona" come "cornice di un Incontro", si può estendere anche al luogo sacro quel concetto di delimitazione spaziale. E' dunque la cornice, il luogo fisico, una reale possibilità profonda di un Incontro con Dio, con l'altro, ma soprattutto con la parte più profonda di se stessi? Io credo di sì, e credo che a questo concorrano tutte le componenti dell'uomo, quella emotiva come quella razionale, affettiva e spirituale, perché è davvero difficile distinguerle, se seguiamo la visione più attuale olistica della persona, rispettosa di un tutto che sia più della somma delle parti, per dirla con la nota definizione gestaltica.
Ma ancora, cosa rende un luogo pregno di possibilità di intercettare il nostro fondo? E' un discorso difficile, forse anche pericoloso, che ci potrebbe condurre alla deriva di conferire un'anima alle cose, alle pietre... come oggi tanta filosofia New Age invita a fare. Io non sono qui, parlo solo di luoghi "densi", perché ereditati dallo sforzo e dalla preghiera di altri, dalla loro fatica di vivere un quotidiano degno della propria dimensione umana. Lì infatti, in quel convento tanto ricostruito e ancora tanto "antico", riflettevo sulla potenza di moltissime vite che si erano offerte in un lavoro silenzioso e una preghiera quotidiana, avevano costruito la possibilità, generazione dopo generazione, di creare una tradizione (in questo caso quella di una componente della Famiglia Francescana a cui anch'io sento di appartenere come laica) che arrivava a noi ancora viva e fresca. E quelle mura bianche e mattone, e quelle porticine basse, si agganciavano profondamente ad un'esigenza di sobrietà, purezza di linee e contorni che io mi ritrovavo intimamente dentro. Difficile descrivere davvero questa dinamica interiore che ho sperimentato: insomma un aggancio, che non era solo una riflessione mentale, ad una mia profonda esigenza di pulizia interiore, di eliminazione del superfluo che arrivava dal luogo stesso , non come in altri momenti attraverso un richiamo formale di parole che mi invitavano ad adeguarmi ad un modello di vita cristiana. Ritrovavo un mio intimo bisogno di arrivare all'essenziale come costitutivo della mia identità, che stavo conoscendo un po' meglio attraverso la presenza in quel luogo, esigenza che diventava pensiero e affetto che ritrovavo intatto. Suggestione del luogo? Qualcuno potrebbe pensare di sì e anch'io me lo sono chiesto se fosse solo questo. Beh, certo un po' sicuramente, ma non solo, e controprova ne sia che nei giorni a seguire questa impressione non è sfumata, ma si è sedimentata in qualcosa di prezioso, un dono spirituale oserei dire, che è diventato parte di un mio bagaglio interiore.
E qui concludo e mi aggancio, dando la mia personale definizione di fondo, forse non del tutto corretta, ma certo frutto di personale esperienza di vita.
Per me il "fondo", che anche un luogo significativo può evocare, è proprio quel bagaglio interiore che ci siamo costruiti pian piano, dove ogni figura che emerge ridiviene sfondo, finchè dallo sfondo emerge una nuova figura (sempre per richiamare un concetto caro alla psicologia della Gestalt), un deposito fatto di esperienze sensoriali, affettive, spirituali... che si sono sovrapposte nel tempo come panni piegati nei cassetti dei nostri armadi e che forse abbiamo dimenticato, ma ci sono! E costituiscono la nostra vera ricchezza, quella che permetteva a Etty Hillesum, ad esempio di gridare a se stessa anche nel campo di concentramento: "ci sarà sempre un pezzo di cielo per cui essere felice". E' la "pietra viva" che incontriamo (così si intitolava uno splendido libro di storia medievale che ho studiato e parlava di come le basiliche paleocristiane sorgano spesso su luoghi riconsacrati di templi pagani), ed è viva per mille motivi spesso, perché è dono che ereditiamo da altri bagagli e ricchezze interiori, che dentro a quel luogo hanno parlato, pregato, tossito (non scandalizziamoci di essere anche corpo!...) sono stati svegli la notte con un tormento, hanno pregato lì dentro con cuore grato o sconfortato...
E oggi arriviamo noi, che ne avvertiamo la bellezza ancora colma di vita, non la magica presenza di fantasmi o animismi strani, ma lo sforzo di rimanere al proprio posto con dignità per consegnare qualcosa di bello e "alto" alle generazioni successive. Possiamo anche noi, a ridosso della Festa di Ognissanti, divenire custodi di altri simili luoghi "vivi", pieni di essere e non solo di avere!
Chiara Gatti
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