Parlare di novantesimo giorno significa, implicitamente, riconoscere che ottantanove giorni prima quella era già vita. Per questo anche la Ru486, pillola abortiva non anticoncezionale, è lenta, lentissima, pietrificata. Celentanamente parlando.
del 29 novembre 2009
Per dirla alla 'Celentanese', per alcuni è rock, per altri è lenta. Pochi mesi dopo il referendum sulla procreazione assistita, è scoppiato il caso della pillola abortiva Ru486 che permette di interrompere chimicamente la gravidanza anziché chirurgicamente. Lenta o rock?
 
Proviamo prima a dire come funziona in termini scientificamente rozzi. Il nostro punto di partenza si chiama progesterone, e altro non è che l'ormone indispensabile alla crescita dell'ovulo fecondato. L'aborto chimico si realizza in due fasi. La prima consiste nell'assunzione del farmaco Ru486 che 'placca' il progesterone connettendosi ai suoi ricettori ed impedendo la sua azione. L'embrione si stacca dalle pareti dell'utero e, non potendo ricevere ossigeno e sostanze nutritive, muore.
 
Due giorni dopo, la donna assume due dosi di prostaglandine, la quale provoca contrazioni dell'utero e la conseguente espulsione dell'embrione. Se l'aborto chimico viene effettuato prima della settima settimana di gravidanza, l'efficacia risulta essere del 95%.
 
A grandi linee, chi dice 'rock' sostiene che, siccome l'aborto è legale, ben venga un trattamento più semplice di quello chirurgico. Un tempo l'ulcera era curata chirurgicamente, oggi anche chimicamente. Così sarà anche per l'aborto.
 
Chi dice 'lento' vuole mettere in guardia dai rischi della pillola sulla salute fisica e psicologica della donna, il cui corpo è costretto a contenere per tre giorni una vita morta. Ma soprattutto, chi dice lento, si scaglia contro la leggerezza con cui si parla di vita umana. L'analogia con la fecondazione assistita è evidente: in entrambi i casi vi sono embrioni umani viventi che vengono distrutti; nell'aborto è l'obiettivo, nella fecondazione assistita vi sono embrioni che muoiono nelle celle frigorifere, e altri che vengono 'scartati'.
 
Così, la domanda è sempre quella: è persona o no, l'embrione? Un interrogativo che più volte ha visto risposte contrastanti, e a volte ambigue e contraddittorie. La legge 194/78 inizia affermando che 'lo Stato (…) tutela la vita umana dal suo inizio'. Ma è la stessa legge a permettere la soppressione di embrioni e feti: e nessuno – neppure la 194 – si sogna di pensare che l'embrione umano non è vita umana.
 
E così si ha che dal novantesimo giorno in poi il feto si veda riconosciuti maggiori diritti, in tal caso l'aborto è limitato a uno dei due casi in cui la salute fisica o psichica della donna sia in grave pericolo. Eppure, in quell'attimo che separa l'ottantanovesimo dal novantesimo giorno non succede niente di incredibile nel feto: il terzo mese è stato scelto come pura e semplice convenzione. Convenzioni, necessarie per il codice stradale (quel segnale significa 'divieto di sosta', quell'altro 'lavori in corso'), o per un sistema di valutazioni (10 in pagella è il massimo, 9 è un po' meno…). Ma scegliere una convenzione per stabilire quando si è esseri umani portatori di diritti e quando si è esseri umani ma facilmente sopprimibili ha un suono molto tremendo. Non si scherza con il fuoco, figuriamoci con i diritti dell'uomo. E se tale convenzione non trova una giustificazione razionale, appellarsi esclusivamente alla convinzione risulta debole.
 
Parlare di novantesimo giorno significa, implicitamente, riconoscere che ottantanove giorni prima quella era già vita. La prima cellula, vivente e umana, non è solo potenza ma anche atto (altrimenti si parlerebbe di un'idea di persona, di una teoria. Invece no, si parla di materia).
 
Frase fatta, ma ogni tanto occorre ricordarlo: tutte le persone – compresi quelle pro aborto – sono state embrioni, e all'inizio della loro vita erano una cellula diploide, qualcosa più di una semplice somma di spermatozoo e ovulo. Per questo anche la Ru486, pillola abortiva non anticoncezionale, è lenta, lentissima, pietrificata. Celentanamente parlando.
Lorenzo Galliani
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