Proprio quello che mi fa soffrire, quello che mi porta a credere di essere una persona peggiore di quello che sono, è la porta di ingresso al cuore di Dio
del 27 luglio 2017
Proprio quello che mi fa soffrire, quello che mi porta a credere di essere una persona peggiore di quello che sono, è la porta di ingresso al cuore di Dio
Questa domenica Gesù mi ha detto di lasciar crescere il grano accanto alla zizzania: “Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio””.
Voglio eliminare la zizzania ogni volta che la vedo, e lasciare che si veda solo la purezza del regno. Non mi abituo a vederla crescere con il grano. Ciò che è cattivo insieme a ciò che è buono. Il peccato con la grazia. Quello che è luminoso con quello che è oscuro. Non so. Mi spaventa pensare che la zizzania possa essere più forte del grano. Mi fa paura che vinca e alla fine resti solo la zizzania.
Gesù parla del male, ma mi dice che il bene vince. Parla del nemico che semina di notte. Il nemico che Egli sconfigge. Parla del peccato e delle cattive intenzioni. E della misericordia di Dio che guarisce tutto. Parla dell’odio, dell’ira, dell’inganno, del tradimento, dell’avidità, dell’egoismo. Parla di tante cose che a volte ci sono nel mio cuore. E alla fine vince sempre il suo regno.
Nel mio cuore la zizzania cresce con il grano. E voglio strappare dalla mia vita quello che mi fa peccare e allontanarmi da Dio. Voglio tirar via dalla mia anima il male e i cattivi pensieri. Quelle idee negative che mi tolgono la vita e non mi permettono di essere felice. Voglio estirpare il mio peccato. E a volte desidero non dover più confessare gli stessi peccati.
La zizzania è cresciuta un’altra volta. Mi fa paura che il suo potere affoghi il buon seme che Dio getta nella mia anima. La zizzania arriva come per magia. Mi ribello contro me stesso. Voglio vincere con la forza di volontà. Vincere il male in me. Ma non ci riesco. La zizzania spezza il paesaggio perfetto della virtù. Rifiuto di accettare quelle debolezze che mi tradiscono.
Gesù mi dice di lasciarla. Di non volere che scompaia del tutto. Perché? Forse per non credermi migliore di nessuno. Ho la mia quota di zizzania. Non sono grano pulito. Dentro di me c’è un miscuglio di tradimenti e passioni. Quella radice imputridita che non mi permette di essere bianco e puro. Mi spavento di me stesso.
Quando mi immergo nelle acque profonde della mia anima mi fa paura quello che trovo. Non tutto è perfetto, non tutto è buono, non tutto è di Dio. Voglio strappare la zizzania, ma Gesù mi dice che facendo questo potrei strappare anche il grano buono. Perché quasi si confondono. Dovrei fare talmente tanta attenzione che non ne vale la pena.
E mi dice qualcosa di sorprendente. La zizzania non contamina il grano. È una cosa curiosa. Non lo affoga, non lo uccide. Il grano può crescere accanto alla zizzania senza trasformarsi in essa, senza perdere la sua essenza. Questo mi dà tanta pace. Il mio grano continua ad essere grano. Non smetto di essere buono anche se nel mio cuore ci sono sentimenti negativi.
Possono annidarsi in me e non per questo smetto di essere buono. Possono esserci menzogne nel mio cuore, ma non per questo divento un bugiardo. Può esserci ira, ma non per questo smetto di essere pacifico. C’è della zizzania, lo riconosco. La mano del maligno dentro di me.
A volte non mi conosco. Scoppio per l’ira. O mi mostro sproporzionato nelle mie reazioni e nei miei giudizi. La zizzania sta vincendo. Ma il grano continua a crescere. Non voglio eliminare la zizzania, ma non voglio nemmeno che cresca più del mio grano. Sono molto più della mia zizzania. Sono migliore del mio peccato, anche se a volte credo che non sarò capace di lasciarmi indietro le mie debolezze.
Non sarò mai capace di vivere senza debolezze. La mia zizzania, il mio peccato, mi ricorda a chi appartengo. Sono di Dio, e solo Lui può salvarmi e tirarmi fuori dal mio abisso. Solo Dio può sollevarmi quando cado. Ma ho bisogno di vedermi debole e bisognoso per supplicare la sua salvezza. Devo guardarlo dalla mia debolezza perché Egli venga a me. La mia miseria è la mia zizzania.
Diceva padre Josef Kentenich: “Dobbiamo solo rispettare una condizione: riconoscerlo davanti a Dio. Riconoscere cosa? Non ho fatto la tua volontà, per questo non sono degno della tua compiacenza, del tuo amore. E allora questo atto di autoconoscenza, di autoaccusa, unito alla mia debolezza e alla mia miseria diventa il grande titolo che attira in forma speciale la compiacenza di Dio nei miei confronti. Per questo posso sempre nuotare nella corrente della vita e dell’amore di Dio. Due elementi, quindi: da un lato la misericordia di Dio, dall’altro la mia miseria personale. L’accettazione della propria debolezza davanti al Padre. Cosa significa? L’amore misericordioso risvegliato dal riconoscere con gioia le mie debolezze. Mi glorio della mia debolezza, della mancanza di certi talenti. Mi glorio delle imperfezioni, dei peccati gravi e gravissimi. Dietro di questi c’è in genere una debolezza speciale”.
La mia miseria, la mia fragilità, la mia zizzania. Proprio quello che mi fa soffrire, che mi porta a credere di essere una persona peggiore di quello che sono, è la porta d’ingresso al cuore di Dio. La porta aperta per la sua misericordia. Che come un fiume fluisce nella mia anima.
Quando sono debole sono forte. Perché arriva a me la forza di Dio per rendere più forte la radice del mio grano. Non elimino la zizzania, perché se la elimino corro il rischio di cadere nella vanità, nell’orgoglio, nel credermi migliore degli altri. La mia zizzania fa sì che il mio grano non sembri tanto pulito. E così posso essere sempre in cammino. Posso crescere sempre. Posso essere sempre bisognoso.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
Padre Carlos Padilla
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