All'Udienza Generale, Benedetto XVI è tornato a meditare sul libro dell'Apocalisse, proseguendo nella sua ‚Äòscuola di preghiera'. “Dio non è insensibile alle nostre suppliche” ha rassicurato, ricordando che “il male non vince il bene” e che il potere Dio sconvolge i piani del Maligno.
Udienza generale di mercoledì 12 settembre 2012
La preghiera nella seconda parte dell'Apocalisse (Ap 4,1-22,21)
Cari fratelli e sorelle,
mercoledì scorso ho parlato sulla preghiera nella prima parte dell'Apocalisse, oggi passiamo alla seconda parte del libro, e mentre nella prima parte la preghiera è orientata verso l’interno della vita ecclesiale, l'attenzione nella seconda è rivolta al mondo intero; la Chiesa, infatti, cammina nella storia, ne è parte secondo il progetto di Dio. L’assemblea che, ascoltando il messaggio di Giovanni presentato dal lettore, ha riscoperto il proprio compito di collaborare allo sviluppo del Regno di Dio come «sacerdoti di Dio e di Cristo» (Ap 20,6; cfr 1,5; 5,10), e si apre sul mondo degli uomini. E qui emergono due modi di vivere in rapporto dialettico tra loro: il primo lo potremmo definire il «sistema di Cristo», a cui l’assemblea è felice di appartenere, e il secondo il «sistema terrestre anti-Regno e anti-alleanza messo in atto dall’influsso del Maligno», il quale, ingannando gli uomini, vuole realizzare un mondo opposto a quello voluto da Cristo e da Dio (cfr Pontificia Commissione Biblica, Bibbia e Morale. Radici bibliche dell’agire cristiano, 70). L’assemblea deve allora saper leggere in profondità la storia che sta vivendo, imparando a discernere con la fede gli avvenimenti per collaborare, con la sua azione, allo sviluppo del Regno di Dio. E questa opera di lettura e di discernimento, come pure di azione, è legata alla preghiera.
Anzitutto, dopo l’appello insistente di Cristo che, nella prima parte dell’Apocalisse, ben sette volte ha detto: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alla Chiesa» (cfr Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13.22), l’assemblea viene invitata a salire in Cielo per guardare la realtà con gli occhi di Dio; e qui ritroviamo tre simboli, punti di riferimento da cui partire per leggere la storia: il trono di Dio, l’Agnello e il libro (cfr Ap 4,1 – 5,14).
Primo simbolo è il trono, sul quale sta seduto un personaggio che Giovanni non descrive, perché supera qualsiasi rappresentazione umana; può solo accennare al senso di bellezza e gioia che prova trovandosi davanti a Lui. Questo personaggio misterioso è Dio, Dio onnipotente che non è rimasto chiuso nel suo Cielo, ma si è fatto vicino all’uomo, entrando in alleanza con lui; Dio che fa sentire nella storia, in modo misterioso ma reale, la sua voce simboleggiata dai lampi e dai tuoni. Vi sono vari elementi che appaiono attorno al trono di Dio, come i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi, che rendono lode incessantemente all’unico Signore della storia.
Primo simbolo, quindi, il trono. Secondo simbolo è il libro, che contiene il piano di Dio sugli avvenimenti e sugli uomini; è chiuso ermeticamente da sette sigilli e nessuno è in grado di leggerlo. Di fronte a questa incapacità dell’uomo di scrutare il progetto di Dio, Giovanni sente una profonda tristezza che lo porta al pianto. Ma c’è un rimedio allo smarrimento dell’uomo di fronte al mistero della storia: qualcuno è in grado di aprire il libro e di illuminarlo.
E qui appare il terzo simbolo: Cristo, l’Agnello immolato nel Sacrificio della Croce, ma che è in piedi, segno della sua Risurrezione. Ed è proprio l’Agnello, il Cristo morto e risorto, che progressivamente apre i sigilli e svela il piano di Dio, il senso profondo della storia.
Che cosa dicono questi simboli? Essi ci ricordano qual è la strada per saper leggere i fatti della storia e della nostra stessa vita. Alzando lo sguardo al Cielo di Dio, nel rapporto costante con Cristo, aprendo a Lui il nostro cuore e la nostra mente nella preghiera personale e comunitaria, noi impariamo a vedere le cose in modo nuovo e a coglierne il senso più vero. La preghiera è come una finestra aperta che ci permette di tenere lo sguardo rivolto verso Dio, non solo per ricordarci la meta verso cui siamo diretti, ma anche per lasciare che la volontà di Dio illumini il nostro cammino terreno e ci aiuti a viverlo con intensità e impegno.
In che modo il Signore guida la comunità cristiana ad una lettura più profonda della storia? Anzitutto invitandola a considerare con realismo il presente che stiamo vivendo. L’Agnello apre allora i primi quattro sigilli del libro e la Chiesa vede il mondo in cui è inserita, un mondo in cui vi sono vari elementi negativi. Vi sono i mali che l’uomo compie, come la violenza, che nasce dal desiderio di possedere, di prevalere gli uni sugli altri, tanto da giungere ad uccidersi (secondo sigillo); oppure l’ingiustizia, perché gli uomini non rispettano le leggi che si sono date (terzo sigillo). A questi si aggiungono i mali che l’uomo deve subire, come la morte, la fame, la malattia (quarto sigillo). Davanti a queste realtà, spesso drammatiche, la comunità ecclesiale è invitata a non perdere mai la speranza, a credere fermamente che l’apparente onnipotenza del Maligno si scontra con la vera onnipotenza che è quella di Dio. E il primo sigillo che scioglie l’Agnello contiene proprio questo messaggio. Narra Giovanni: «E vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso per vincere ancora» (Ap 6,2). Nella storia dell’uomo è entrata la forza di Dio, che non solo è in grado di bilanciare il male, ma addirittura di vincerlo; il colore bianco richiama la Risurrezione: Dio si è fatto così vicino da scendere nell’oscurità della morte per illuminarla con lo splendore della sua vita divina; ha preso su di sé il male del mondo per purificarlo col fuoco del suo amore.
Come crescere in questa lettura cristiana della realtà? L’Apocalisse ci dice che la preghiera alimenta in ciascuno di noi e nelle nostre comunità questa visione di luce e di profonda speranza: ci invita a non lasciarci vincere dal male, ma a vincere il male con il bene, a guardare al Cristo Crocifisso e Risorto che ci associa alla sua vittoria. La Chiesa vive nella storia, non si chiude in se stessa, ma affronta con coraggio il suo cammino in mezzo a difficoltà e sofferenze, affermando con forza che il male in definitiva non vince il bene, il buio non offusca lo splendore di Dio. Questo è un punto importante per noi; come cristiani non possiamo mai essere pessimisti; sappiamo bene che nel cammino della nostra vita incontriamo spesso violenza, menzogna, odio, persecuzione, ma questo non ci scoraggia. Soprattutto la preghiera ci educa a vedere i segni di Dio, la sua presenza e azione, anzi ad essere noi stessi luci di bene, che diffondono speranza e indicano che la vittoria è di Dio.
Questa prospettiva porta ad elevare a Dio e all’Agnello il ringraziamento e la lode: i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi cantano insieme il «cantico nuovo» che celebra l’opera di Cristo Agnello, il quale renderà «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Ma questo rinnovamento è anzitutto un dono da chiedere. E qui troviamo un altro elemento che deve caratterizzare la preghiera: invocare dal Signore con insistenza che il suo Regno venga, che l’uomo abbia il cuore docile alla signoria di Dio, che sia la sua volontà ad orientare la nostra vita e quella del mondo. Nella visione dell’Apocalisse questa preghiera di domanda è rappresentata da un particolare importante: «i ventiquattro anziani» e «i quattro esseri viventi» tengono in mano, insieme alla cetra che accompagna il loro canto, «delle coppe d’oro piene di incenso» (5,8a) che, come viene spiegato, «sono le preghiere dei santi» (5,8b), di coloro, cioè, che hanno già raggiunto Dio, ma anche di tutti noi che ci troviamo in cammino. E vediamo che davanti al trono di Dio, un angelo tiene in mano un turibolo d’oro in cui mette continuamente i grani di incenso, cioè nostre preghiere, il cui soave odore viene offerto insieme alle preghiere che salgono al cospetto di Dio (cfr Ap 8,1-4). E’ un simbolismo che ci dice come tutte le nostre preghiere - con tutti i limiti, la fatica, la povertà, l’aridità, le imperfezioni che possono avere - vengono quasi purificate e raggiungono il cuore di Dio. Dobbiamo essere certi, cioè, che non esistono preghiere superflue, inutili; nessuna va perduta. Ed esse trovano risposta, anche se a volte misteriosa, perché Dio è Amore e Misericordia infinita. L’angelo – scrive Giovanni - «prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono tuoni, rumori, fulmini e scosse di terremoto» (Ap 8,5). Questa immagine significa che Dio non è insensibile alle nostre suppliche, interviene e fa sentire la sua potenza e la sua voce sulla terra, fa tremare e sconvolge il sistema del Maligno. Spesso, di fronte al male si ha la sensazione di non poter fare nulla, ma è proprio la nostra preghiera la risposta prima e più efficace che possiamo dare e che rende più forte il nostro quotidiano impegno nel diffondere il bene. La potenza di Dio rende feconda la nostra debolezza (cfr Rm 8,26-27).
Vorrei concludere con qualche cenno al dialogo finale (cfr Ap 22,6-21). Gesù ripete varie volte: «Ecco, io vengo presto» (Ap 22,7.12). Questa affermazione non indica solo la prospettiva futura alla fine dei tempi, ma anche quella presente: Gesù viene, pone la sua dimora in chi crede in Lui e lo accoglie. L’assemblea, allora, guidata dallo Spirito Santo, ripete a Gesù l’invito pressante a rendersi sempre più vicino: «Vieni» (Ap 22,17a). E’ come la «sposa» (22,17) che aspira ardentemente alla pienezza della nuzialità. Per la terza volta ricorre l’invocazione: «Amen. Vieni, Signore Gesù» (22,20b); e il lettore conclude con un’espressione che manifesta il senso di questa presenza: «La grazia del Signore Gesù sia con tutti» (22,21).
L’Apocalisse, pur nella complessità dei simboli, ci coinvolge in una preghiera molto ricca, per cui anche noi ascoltiamo, lodiamo, ringraziamo, contempliamo il Signore, gli chiediamo perdono. La sua struttura di grande preghiera liturgica comunitaria è anche un forte richiamo a riscoprire la carica straordinaria e trasformante che ha l’Eucaristia; in particolare vorrei invitare con forza ad essere fedeli alla Santa Messa domenicale nel Giorno del Signore, la Domenica, vero centro della settimana! La ricchezza della preghiera nell’Apocalisse ci fa pensare a un diamante, che ha una serie affascinante di sfaccettature, ma la cui preziosità risiede nella purezza dell’unico nucleo centrale. Le suggestive forme di preghiera che incontriamo nell’Apocalisse fanno brillare allora la preziosità unica e indicibile di Gesù Cristo. Grazie.
Benedetto XVI
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