Benedetto XVI nella consueta udienza del mercoledì ha parlato della potenza dello Spirito Santo: «che orienta il nostro cuore verso Gesù Cristo, così non siamo più noi a vivere, ma è Cristo che vive in noi».
del 17 maggio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          Proseguono le catechesi del Papa sull’insegnamento alla preghiera. In occasione dell’udienza di oggi, Benedetto XVI ha usato le lettere di San Paolo alle prime comunità cristiane, ricordando che non è «un caso che le sue Lettere siano introdotte e si chiudano con espressioni di preghiera». Sono sempre aperte da «ringraziamento e lode» e si chiudono con l’«augurio affinché la grazia di Dio guidi il cammino delle comunità». Di più, la preghiera di san Paolo va «dal ringraziamento alla benedizione, dalla lode alla richiesta e all’intercessione», dimostrando come «la preghiera coinvolga e penetri tutte le situazioni della vita» sia personali, sia delle comunità.
          Il santo, ha sottolineato il Papa, ci ricorda anche che «la preghiera non deve essere vista come una semplice opera buona compiuta da noi verso Dio, una nostra azione». Essa è «frutto della presenza viva, vivificante del Padre e di Gesù Cristo in noi. Nella Lettera ai Romani scrive: “Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza: non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili”». Questa è la nostra esperienza, ha continuato il pontefice: «Vogliamo pregare, ma Dio è lontano, non abbiamo le parole». Allora bisogna «aspettare che Lui ci aiuti a entrare nel vero dialogo». È proprio questa «nostra debolezza» che «diventa, tramite lo Spirito Santo, vera preghiera, vero contatto con Dio». Ma la preghiera ci fa sperimentare «più che in altre dimensioni dell’esistenza, la nostra debolezza» anche perché ci pone «di fronte all’onnipotenza e alla trascendenza di Dio». E anche qui occorre non cadere nella tentazione di uscirne da sé. «È lo Spirito Santo che aiuta la nostra incapacità (…) la preghiera è soprattutto operare dello Spirito nella nostra umanità, per farsi carico della nostra debolezza». Con la sua presenza, ha sottolineato il Papa, lo Spirito Santo «realizza la nostra unione a Cristo». Per questo l’Apostolo ricorda che «nessuno può dire “Gesù è Signore”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo». È quindi lo Spirito che «orienta il nostro cuore verso Gesù Cristo, in modo che “non siamo più noi a vivere, ma Cristo vive in noi”».
          Benedetto XVI ha poi evidenziato «tre conseguenze nella nostra vita cristiana quando lasciamo operare in noi non lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Cristo». Innanzitutto «siamo messi in condizione di abbandonare e superare ogni forma di paura o di schiavitù». Al contrario, ha ricordato il Pontefice «senza la preghiera che alimenta ogni giorno il nostro essere in Cristo, in una intimità che cresce progressivamente, ci troviamo nella condizione descritta da san Paolo nella Lettera ai Romani: non facciamo il bene che vogliamo, bensì il male che non vogliamo». Con questa espressione l’Apostolo vuole far capire ancora una volta «che non è anzitutto la nostra volontà a liberarci da queste condizioni e neppure la Legge, bensì lo Spirito Santo» sottolineando che «la libertà dello Spirito non s’identifica mai né con il libertinaggio, né con la possibilità di fare la scelta del male». Perché la vera libertà è quella di «poter realmente seguire il desiderio del bene, della vera gioia, della comunione con Dio e non essere oppresso dalle circostanze che ci chiedono altre direzioni». Una seconda conseguenza «è che il rapporto stesso con Dio diventa talmente profondo da non essere intaccato da alcuna realtà o situazione. Comprendiamo allora che con la preghiera non siamo liberati dalle prove o dalle sofferenze, ma possiamo viverle in unione con Cristo, con le sue sofferenze, nella prospettiva di partecipare anche della sua gloria». Il Papa ha così interpretato l’obiezione di tanti: «Molte volte, nella nostra preghiera, chiediamo a Dio di essere liberati dal male fisico e spirituale (…) spesso abbiamo l’impressione di non essere ascoltati e allora rischiamo di scoraggiarci e di non perseverare. In realtà non c’è grido umano che non sia ascoltato da Dio». Infatti, «la preghiera non ci esenta dalla prova e dalle sofferenze, anzi – dice san Paolo – noi “gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”; egli dice che la preghiera non ci esenta dalla sofferenza ma la preghiera ci permette di viverla e affrontarla con una forza nuova». Dio, poi, supera la nostra richiesta: «La risposta di Dio Padre al Figlio, alle sue forti grida e lacrime, non è stata la liberazione dalle sofferenze, dalla croce, dalla morte, ma è stata un esaudimento molto più grande (…) Dio ha risposto con la risurrezione del Figlio, con la nuova vita».
          La terza conseguenza è che «il credente si apre anche alle dimensioni dell’umanità e dell’intero creato, facendosi carico «dell’ardente aspettativa della creazione, protesa verso la rivelazione dei figli di Dio». Questo significa che la preghiera «non è mai solo preghiera per me, ma si apre alla condivisione delle sofferenze del nostro tempo, degli altri». Diventando «espressione di quell’amore di Dio che è riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito (…) E proprio questo è un segno di una vera preghiera, che non finisce in noi stessi, ma si apre per gli altri (…) aprendoci agli orizzonti dell’umanità e della creazione che geme e soffre le doglie del parto».
Benedetta Frigerio
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