L'ira o la rabbia richiama sempre la dimensione della relazione sia verso se stessi che nei confronti degli altri. Non solo: l'ira chiama in causa la fraternità o la sua assenza. Ecco perché Gesù precisa: “chi si adira contro il proprio fratello”, confermando con ciò che il sentimento della rabbia ha sempre e comunque dei risvolti fraterni.
del 20 aprile 2011
 
 
          Proprio perché umano, in carne ed ossa, anche Gesù si è arrabbiato. Non è stata una rabbia frutto di un mancato autocontrollo, ma un denunciare le ingiustizie, le cattiverie, le falsità che vedeva e toccava con mano, specie nei confronti dei deboli, ultimi, indifesi, emarginati.
          Esemplare è il brano di Gv 2,13-16. “Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”.
          Ma come avviene per diversi sentimenti di Gesù non solo, lui, li ha vissuti in prima persona, ma ha indicato strade e percorsi per migliorarsi. È interessante, a tal proposito, analizzare i vari significati e le diverse interpretazioni che il termine ira, più che rabbia, ricopre nei Vangeli: ira di Dio, l’ira di Gesù, l’irritarsi, l’essere in collera, il fremere di rabbia, l’indignazione.
 
Una potenza attiva alla ricerca del suo fiume
          Ma che cos’è la rabbia? Domanda complessa che richiede una risposta ampia e analitica. In questo spazio ci limitiamo a dire che la rabbia, specie nell’intenzione di Gesù e di come la raccontano i Vangeli nelle varie sfaccettature sopra riportate, è una relazione monca, zoppa, miope che trova compimento nel confronto e nella condivisione. Per approfondire questo concetto prendiamo in esame alcuni brani del Vangelo. Iniziamo con Mt 5,22-24: “Chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono”.
          L’ira o la rabbia richiama sempre la dimensione della relazione sia verso se stessi che nei confronti degli altri. Non solo: l’ira chiama in causa la fraternità o la sua assenza. Ecco perché Gesù precisa: “chi si adira contro il proprio fratello”, confermando con ciò che il sentimento della rabbia ha sempre e comunque dei risvolti fraterni. Non esiste una rabbia che ha per soggetto l’uomo in sé, ma l’uomo in relazione al suo simile. Anche nell’espressione comune “sono arrabbiato con il mondo intero” il rimando è sempre all’umanità in quanto persona. Di diversa natura è la rabbia di se stessi e/con se stessi e che assume altre forme e, se non curate, patologie. Ma è illuminante l’accostamento di Gesù dell’ira con l’offerta all’altare. Perché questo binomio? Perché fondamentalmente la rabbia è una forma di potenza attiva che viene veicolata, nel peggiore dei casi, in violenza o atteggiamenti verbali e fisici forti, estremi, visibilmente eclatanti.
 
Figlio della rabbia è l’orgoglio
          Di qui l’insegnamento di Gesù: è il perdono la via del fiume dove far scorrere l’acqua della rabbia che si trasforma in riconciliazione. Più trattengo e contengo più forte sarà il danno quando gli argini del controllo si spezzano e rompono. La soluzione a tanti conflitti e contrasti è il confronto, lo scambio, il dialogo, la partecipazione di sé. L’altro è la via di uscita per il bene (e il male) che abita in noi. Di qui il punto di non ritorno di Gesù: “Lascia lì il tuo dono, va prima a riconciliarti, poi torna”. Un bel progetto di vita relazionale con passi concreti: lasciare le cose per ricercare la persona, anteporre l’umiltà all’orgoglio, donare il frutto del perdono ricevuto. È da questo quadro, allora, che la persona può essere aiutata a dare senso anche alla rabbia e all’ira, trovando un riferimento con la propria storia vita.
          È il passato della nostra esistenza il terreno dove affondano il sentimento dell’ira e della rabbia, come degli altri sentimenti. I sentimenti crescono con l’uomo, non senza di esso. Essi nascono come scolpiti nel Dna della persona si animano e prendono vita nel normale flusso delle relazioni interpersonali e sociali. La storia della nostra vita, ovviamente, risente degli influssi ricevuti nella fase della crescita: fanciullezza, adolescenza, maturità adulta. I testimoni che hanno concretizzato con la loro vita scelte qualitativamente belle, hanno dato un volto ai sentimenti presenti nella loro personalità.
          La testimonianza, dunque, è una delle vie privilegiate per il riflesso dei sentimenti e nel procedere della vita portano le persone a scelte stabili, grazie a quel particolare sentimento coltivato, condiviso, esternato, donato. Come si coltiva il bene, si coltiva anche l’odio, l’ira.
 
Il fuoco della rabbia? Può accendere tanta vita
          Una variante dell’ira e della rabbia è l’indignazione. È un sentimento molto diffuso nell’opinione pubblica; indignarsi può divenire (come mostrato in un alcuni programmi in Tv) quasi una moda, un modo di fare (anche audience). Ma l’indignazione presentata dai Vangeli è, in questo caso, rivolta dai discepoli verso Gesù. Due sono i brani più vicini a tale atteggiamento: Mt 20,24 e Mt 26,8.
          Scegliamo Mt 20,20-28: “Si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato. Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.
          Indignazione e sdegno al pari della gelosia. I discepoli hanno visto nei due fratelli Giacomo e Giovanni l’avanzamento di potere. Ma Gesù richiama e rimanda tutti al servizio. Di qui l’insegnamento: è nel servire che trova pace un cuore iroso, rabbioso. È nel porsi a servizio degli anziani e dei malati, degli emarginati e degli abbruttiti dalla vita che si vomita il male che ci si porta nell’anima. Sono queste le persone che ci guariscono, che permettono che il male si trasformi in bene, l’odio in perdono, il cattivo nel pacificato. Nell’esperienza della condivisione con la debolezza e la fragilità anche la rabbia più incallita e l’ira più accesa da fuoco che distrugge si può trasformare in fuoco che riscalda e ridona vita.
 
Giacomo Ruggeri
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