La rete di Andrea

Vite che sono testimonianza ed esempio, e insegnano spesso senza dire niente; sbeffeggiati, criticati, giudicati come perdenti, poveracci, folli, additati come disonesti e manipolatori del pensiero libero, bugiardi e ipocriti. Penso a questi sacerdoti, e non posso che ringraziare per il dono della loro vita e della loro vocazione...

La rete di Andrea

 

          Questa è una storia che non so raccontare. Una storia di avventura, ed eroismo, di azione e difficoltà, che ha come protagonista…..un sacerdote

          La storia di don Andrea Santoro parla di sacrificio, dedizione, pazienza e cura, abbandono nelle mani di Dio e nella sua volontà. E’ la storia di un sacerdote che getta la rete sulla Parola, che parte da Roma per diventare pastore di una comunità di 8 o 9 cristiani, in una zona remota della Turchia, e che qui trova la morte, all’improvviso, nella stessa chiesa che gli era stata affidata.

          La biografia ufficiale di don Andrea racconta una vita semplice: una famiglia normale,  l’ingresso al seminario minore, il passaggio al seminario maggiore, l’ordinazione presbiterale, i primi incarichi nelle parrocchie di Roma, negli anni di fermento e riforma del post-concilio. Una vita da parroco di città. Fino al 2000, anno in cui don Andrea parte per la Turchia,come missionario “fidei donum”: prima Urfa, la vecchia Edessa, poi Trabzon, (Trebisonda) e la parrocchia di Santa Maria. Anni difficili, in cui la regola è tenere la porta aperta, a tutti, per favorire il dialogo, per cercare la collaborazione, per  creare una rete di contatto tra cristiani e musulmani.

          Il 5 febbraio del 2006 don Andrea viene ucciso, nella sua chiesa, mentre è raccolto in preghiera. Due colpi di pistola, sparati alle spalle al grido “Allah è grande!” da un giovane di 16 anni, un terzo sparato in aria. Uno dei proiettili si incastona nella Bibbia turca che don Andrea stava leggendo.

          Cosa rimane dopo sette anni? La testimonianza di amore per Cristo e la sua chiesa, per i fedeli, per la gente, per chi è lontano e distante, e il desiderio di essere Parola vivente, portatori di Cristo e testimoni del suo amore fino alla fine.

          La storia di don Andrea  mi è venuta incontro per lavoro qualche giorno fa, durante le messa per l’anniversario della sua morte. Leggere alcuni dei suoi scritti, e ascoltare le testimonianze di chi lo ha conosciuto, mi ha fatto tornare alla mente una serie di ricordi legati a quel febbraio del 2006, ad un veglia di preghiera per lui, e ai visi sconvolti dalla lacrime di tanti sacerdoti al suo funerale. E mi ha permesso di pensare al senso del sacrificio della propria vita per il Vangelo.

          Perché il sacrificio di don Andrea ci ricorda che ancora oggi si muore per il Vangelo. Che in questa Chiesa così sgangherata, così scomoda, così criticabile agli occhi del mondo, non c’è solo chi da’ scandalo, chi oltraggia, chi tradisce, ma  c’è ancora chi si sacrifica, chi dona la vita per portare frutto, e perché il frutto rimanga. Come don Santoro, come monsignor Luigi Padovese (ucciso anche lui, in Turchia nel 2010), e come i tanti martiri moderni nelle terre di frontiera, protagonisti di tutte le storie che non conosco e che non saprei raccontare.

          “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”,  scrive San Paolo: io rimugino le parole di questo programma di vita così difficile, e penso a loro, ma anche  a tanti amici sacerdoti, che si spendono ogni giorno  a pochi passi da me per portare Cristo,  per celebrare ogni giorno il Suo sacrificio, per testimoniarlo con la vita, per accettare di morire, poco alla volta o tutto insieme, e lasciare passare Lui, il Suo Amore, il Suo perdono.  Vite  vissute nella richiesta continua di Grazia, per essere testimoni  di Verità e Bellezza in ogni luogo, in confessionale, nelle aule di catechismo, ai campi scout, nelle strade e nelle case, e nei tempi passati in preghiera davanti al tabernacolo, o magari nell’intimità della propria stanza, nei momenti di silenzio, di riposo, di riflessione.

          Vite che sono testimonianza ed esempio, e insegnano spesso senza dire niente; sbeffeggiati, criticati, giudicati come perdenti, poveracci, folli, additati come disonesti e manipolatori del pensiero libero, bugiardi e ipocriti. Penso a questi sacerdoti, e  non posso che ringraziare per il dono della loro vita e della loro vocazione, per la loro testimonianza, per la speranza che possono dare alla Chiesa, e al mondo. Con gesti semplici e consueti, quelli che la chiesa tramanda da secoli: benedire, celebrare le messa, spezzare il pane e la Parola, pregare ed accogliere. Pronti a gettare la rete sulla parola del Maestro, per essere pescatori di uomini. Come ci ricordano le parole di don Andrea.

          “Che io possa per tua grazia, Signore, cominciare ad essere pescatore di uomini, seguendo te. Saper soffrire, non più per i miei peccati, ma per il gregge, per gli uomini, per la gente. Essere non più il signore trionfante, ma il Servo Sofferente.”

          “Ho tanta paura. Tu ammaestrami, dammi luce, dammi animo, dammi forza, perché io regga la tentazione, perché io non mi sottragga alla croce. Senza di te, Signore, non ce la farò mai.”

          “Imprimimi, Signore, la tua Parola, scolpiscila nella mia mente, nella mia carne, falla scorrere nel mio sangue, mettila sotto la mia lingua, fanne cellula nel mio cervello, perché ne giosca sempre, e sempre mi sia presente, e si riposi in essa la mia anima”.

 

 

Maria Elena Rosati

 

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