LA RICERCA DELLA VERITÀ di Jean Guitton da Giovani per i Giovani

Credo che l'assimilazione moderna della verità alla sincerità sia profondamente sbagliata.La sincerità è la verità per il singolo soggetto. È certo che ogni uomo crede di essere nel vero, e, se si confondessero vero e sincero, ci sarebbero tante verità quante sono le persone, il che significa che non ce ne sarebbe nessuna...

LA RICERCA DELLA VERITÀ di Jean Guitton da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 19 marzo 2008

Una crisi profonda

Il mondo in cui viviamo conosce una crisi che è tanto più subdola e tanto più profonda quanto più l'immenso successo della scienza dà all'umanità l'impressione di possedere finalmente la verità.

E tuttavia, quest'ultima non viene più ricercata come fine a se stessa. Sembra che si ammetta che essa sia modificabile, mutevole, sempre intenta a diventare diversa da quello che è, a contraddirsi per sorpassarsi - in modo che quello che oggi è considerato giusto, vero, morale, onorevole, che funge da roccia e da base, verrà domani messo in dubbio e probabilmente rifiutato.

È vero che in Francia, almeno in campo politico, abbiamo assistito, a partire dal 1789, al succedersi di tante promesse e di leader per i quali la differenza tra la vergogna e l'onore, tra il potere e la cella si è dimostrata quasi inesistente. Sappiamo che basta lo spazio di una generazione, ovvero di trent'anni di scuola, di indottrinamento e di propaganda, per cambiare gli ideali di un popolo, e forse domani di tutta una specie pensante. La scienza stessa, che sembra così certa, non sfugge a questi mutamenti che subisce la certezza. Si legge spesso che la scienza moderna è nata con Einstein, Dirac e Heisenberg verso il 1920. Se questo è vero, perché non dovrebbe vedere una nuova rinascita? Ciò che è cambiato una volta annuncia già quello che, a sua volta, potrebbe cambiare di nuovo.

Quando sento contestare la monogamia, la famiglia e tutto il sistema dei rapporti sessuali, come anche l'intera concezione che l'umanità aveva del rispetto della vita, ne traggo la conclusione che non esistono né una natura umana, né bisogni costanti, né principi immutabili.

Sono queste le ragioni, molto valide, che ha la gioventù moderna di non credere più alla verità.

 

 

Quando scompare la verità

Ma che cosa sostituirà l'ideale di verità, e cioè l'immutabilità della convinzione che fino ad oggi aveva costituito il fondamento della cultura? Non appena il vero sparisce, viene subito sostituito da quello che apparentemente gli assomiglia ma in realtà è il suo opposto: lo status quo, la forza, l'attualità, la materia, il corpo, la politica, il momento presente. È per questo che ogni crisi del vero ha come conseguenza immediata uno sviluppo della potenza, un'adorazione della forza e della realtà di fatto.

Questo fa sì che nel nostro mondo, alla fine del secondo millennio, l'idea che ci facciamo della ragione e della verità vacilli, mentre cresce il trionfo della forza. E in questa atmosfera diventa sempre più difficile ammettere che esiste una verità immutabile, eterna e necessaria, che costituisce il nucleo di tutte le religioni e soprattutto di quella dei profeti, e a maggior ragione di colui tra i profeti che ha detto: 'Io sono la Verità, io sono la Vita.'

Quando ero professore alla Sorbona, mi capitava di far fare agli studenti una 'lezione di concorso' su un argomento di filosofia. Quando lo studente aveva finito, prima di fargli i complimenti di circostanza, gli dicevo: 'Mi permetta di farle un'ultima breve domanda: crede che quello che ha esposto e proposto sia vero?' Il mio interlocutore si scandalizzava e trovava inopportuno che gli venisse fatta quest'ultima domanda. E tuttavia, almeno in filosofia, questa è la sola domanda che ci si deve porre a proposito di quello che si è letto, sentito e pensato: è vero?

 

Il lavoro che ho fatto mi ha obbligato a distinguere tra ciò che può essere accettato da tutti e ciò che può essere proposto solo a pochi. Socrate faceva già questa distinzione, quando cercava quelli che chiamò gli 'homologoumena', e cioè le proposizioni che potevano essere accettate da tutti gli uomini, e che in fondo definivano il suo metodo. Egli cercava il Vero universale, che si impone alla mente di ciascuno.

 

 

La ricerca del Vero

Il filosofo è essenzialmente una persona alla ricerca del Vero. Egli ritiene, quando lo abbia trovato, di possedere un elemento che non subirà alcuna variazione. Certo, questo può essere continuamente precisato, completato e corretto nelle modalità della sua espressione. Con il progredire della conoscenza, le formule precedenti verranno liberate dalle loro imperfezioni, la Verità verrà adattata in maniera più precisa alla realtà, ma il Vero sussisterà. Prendiamo, per esempio, la proposizione socratica 'è meglio subire l'ingiustizia che commetterla', oppure 'bisogna aiutarsi l'un l'altro', o ancora 'i contratti presuppongono la buona fede': queste proposizioni non possono cessare di essere vere, anche se si trovano delle applicazioni più perfette dell'idea di giustizia.

Quando siamo in possesso di qualche cosa che crediamo essere vero, siamo necessariamente tentati di condividerlo, dato che il Vero è il pane che bisogna spezzare in comune. Sento dentro di me un desiderio, un bisogno (che mi ha portato a scegliere il mestiere di insegnante) che esiste in tutti gli uomini: quello di convincere. Quando sono seduto in un autobus vicino a uno sconosciuto in silenzio, soffro di non potergli parlare per convincerlo o per riceverne degli insegnamenti. E, se preferisco il taxí a ogni altro mezzo di trasporto, è perché mi dà l'occasione di parlare con un uomo, uno sconosciuto, senza testimoni. Mi trovo nella posizione del diacono Filippo, di cui si parla negli Atti degli Apostoli, che si intrattiene con l'eunuco della regina Candace. E mi sono spesso accorto che, durante questi incontri tra sconosciuti, basta fare il primo passo, come ha detto Druon, perché la conversazione si sposti su Dio.

 

 

Di fronte al Vero

Ho la ferma convinzione che, tra i diversi atteggiamenti mentali di fronte al vero, sia necessario distinguere i gradi di intensità dell'assenso, in modo da non identificare ciò che in me è opinione vaga, riflesso di opinioni altrui, professione di fede fatta per conformismo, approssimazione, con quanto è convinzione, fede, certezza, evidenza. In particolare, ho sempre pensato che esista una fondamentale differenza tra un'approssimazione e una certezza. Mi sembra che su questo punto Platone, Pascal, Leibniz e Newman abbiano detto delle cose molto appropriate.

Tra 2+2=4 e 2+2=3,999 o 4,001, la differenza è apparentemente minima, in realtà immensa. E un'aritmetica inesatta anche di un milionesimo falsificherebbe gli scambi.

E per questo che esiste, credo, una specie di verginità della verità. Ne avevo un tempo trovato l'esempio in una frase del duca de Broglie a proposito di Madame Swetchine, che mia madre mi aveva insegnato, e che è rimasta molto importante nella mia vita: 'In questo secolo, che si considera il secolo della tolleranza personificata, ho incontrato della gente che ha rinunciato a bruciare i suoi avversari e che si accontenta di odiarli; ho visto altri che sopportano pazientemente la contraddizione quando essa riguarda delle verità alle quali non si interessano... Ma dov'è colui che, pur attribuendo un prezzo inestimabile alla verità che possiede, sostiene tuttavia con benevolenza e affetto le coscienze che se ne allontanano?' La tolleranza di Madame Swetchine 'non proveniva in alcun modo da concessioni fatte su qualche aspetto della verità giudicato meno essenziale di altri. Non svendeva, se posso esprimermi in questo modo, le sue convinzioni, riservandosi l'indispensabile e passando sopra al resto. Aveva invece abbracciato molto presto quella concezione essenzialmente cattolica (l'unica degna, secondo noi, di una religione positiva) secondo la quale la fede, in una dottrina rivelata, è un insieme solidale da cui non si può staccare una minima parte senza comprometterne l'intero equilibrio...'.

Mi rendo conto che è possibile abusare di questo sentimento dell'integrità della verità, confondere la verità con una formula imperfetta, un uso antico, una tradizione umana tramandata dalle leggende, e giungere così a quel deplorevole 'integrismo' di cui si nutre il modernismo. Ma l'abuso o il cattivo uso di una verità e di un amore non li modificano.

Coloro che amano realmente il vero (soprattutto gli uomini di scienza e gli artisti) sanno che tutto trova il suo completamento in tutto, fino all'ultima cifra decimale, con l'ultimo ritocco, e all'ultimo momento dell'ultima ora.

 

 

Assimilare la verità alla sincerità

Credo che l'assimilazione moderna della verità alla sincerità sia profondamente sbagliata.

La sincerità è la verità per il singolo soggetto. È certo che ogni uomo crede di essere nel vero, e, se si confondessero vero e sincero, ci sarebbero tante verità quante sono le persone, il che significa che non ce ne sarebbe nessuna, in quanto il campo delle verità sarebbe equivalente a quello dei gusti. Vi piacciono l'insalata o le carote, vi piace il color blu; a me piacciono il cavolfiore e il color rosso. Non litigheremo per questo, dato che non esistono né una verità del cavolfiore né una verità del rosso vermiglio.

Oggi chiamiamo vero ciò che ognuno considera giusto, e morale ciò che ognuno fa senza provare vergogna. Ad André Gide piaceva questa massima che aveva letto in un Vangelo apocrífo: 'Il Regno dei Cieli esisterà quando tutti potranno camminare nudi senza vergognarsene'. Oggi la nostra società ammette il fatto di vivere nudi al di fuori di tutte le leggi, di vivere da ribelli, a condizione che questi comportamenti portino il marchio della sincerità. Non ci sarà più ragione di scandalizzarsi moralmente, perché un essere sincero sarà per definizione un essere vero. La grandezza dei filosofi e degli uomini di scienza consiste nel porre il vero al di sopra della sincerità. Alcibiade era sincero, ma Socrate era vero.

La verità è spesso l'appannaggio di pochi, talvolta di uno solo. Il motto degli inventori, degli eroi e dei santi è questo: anche se tutti lo fanno, io non lo faccio. Il vero contestatore è colui che, non distogliendo lo sguardo dal vero, di cui ode il mormorio, non cerca di piacere. Capisco così bene Marcel Proust, ora che ricorre il suo centenario, che si è dedicato con tutte le sue forze a cogliere in tutti i suoi minimi dettagli la verità della bellezza! Ed ecco la sua ricompensa: è forse l'unico autore della nostra epoca a non essere invecchiato.

 

Se ci sono degli errori che hanno ottenuto l'assenso di tutti gli uomini, non per questo non sono errori; se ci sono delle 'verità' che sono necessarie a un gruppo, che possono essere imposte con la propaganda o con la pressione, non per questo cessano di essere degli errori. So bene che alcuni mi diranno, come Pilato: 'Ma che cos'è la verità?' A dire il vero, sono convinto (anche riguardo a quest'uomo moderno che è Pilato) che i più scettici ammettano tutte le opinioni, a eccezione delle convinzioni di coloro che credono nel vero, e questo fatto mi ha spesso indotto a pensare che gli scettici siano in fondo dei negatori sorridenti e disperati, ma altrettanto avidi di vero quanto gli altri uomini.

 

Tutte queste considerazioni aiuteranno il lettore a capire che per me il cattolicesimo e la verità sono la stessa cosa. È questo il significato della parola credere, ieri come anche oggi, e così sempre. Se io non fossi convinto che il cattolicesimo è la verità, non vedo come potrei restarvi fedele un giorno di più.

 

Tratto da: Jean Guitton, Che cosa credo, Bompiani, Milano, 1993, 55-60.

 

 

 

Per la scheda biografica:

Jean Guitton (1901-1999), ricercatore, filosofo e scrittore, è stato un protagonista autorevole della fioritura culturale che ha caratterizzato la Francia del sec. XX.

Dotato di grandi capacità intellettuali e di profondo amore allo studio, fu allievo di Léon Brunschvicg e di Henri Bergson, e maestro di Louis Althusser. Si laureò in filosofia e in lettere. Esordì nel 1933 con una tesi su Le Temps et l'Eternité chez Plotin et Saint Augustin.

A vent'anni sentì il desiderio di farsi sacerdote, ma il Cardinale Désiré Mercier lo dissuase. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu per quattro anni prigioniero dell'Oflag IV D. Nel 1948 sposò Marie-Louise. Guitton fu docente di filosofia in varie Università della Francia.

Papa Giovanni XXIII, per la sua grande stima lo invitò, come unico 'uditore laico', al Concilio Vaticano II. Mons. Giovanni Battista Montini lo ebbe come amico e confidente fin dal 1950,

Guitton si meritò una solida fama di filosofo cattolico, di uomo di cultura acuto e rigoroso. Albert Camus lo ha definito 'l'ultimo dei grandi umanisti francesi'. Henri Bergson lo ha riconosciuto come suo 'erede spirituale', ma - molti pensano - a un livello indubbiamente superiore. Ha avuto una maniera fascinosa, tutta sua, di fare filosofia, che diveniva in lui conversazione, confidenza. Il suo motto giovanile, 'Je choisis tout', dice molto dell'immensa caratura umanistica della personalità di quest'uomo.

Jean Guitton

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