Si tratta di un tessuto di lino a spina di pesce, lungo 437 e largo 111 centimetri (compresa una striscia cucita longitudinalmente, larga circa 8 centimetri ) utilizzato per avvolgere il cadavere di un uomo morto a seguito di flagellazione, percosse e crocifissione...
del 22 marzo 2008
In questi giorni carichi di Mistero e trascendenti le facoltà umane incapaci di sondare la profondità eccelsa della consegna del Dio incarnato fino alla morte e alla morte di croce, forse non è inutile gettare il nostro sguardo a quella reliquia sacra che desta l’ammirazione e la devozione di fedeli e di scienziati.
 
Partiamo dai dati inconfutabili.
 
Si tratta di un tessuto di lino a spina di pesce, lungo 437 e largo 111 centimetri (compresa una striscia cucita longitudinalmente, larga circa 8 centimetri ) utilizzato per avvolgere il cadavere di un uomo morto a seguito di flagellazione, percosse e crocifissione.
Queste le risultanze della scienza medico-legale, che confermano in tal modo la corrispondenza con le narrazioni evangeliche.
In realtà la scienza sindonologica (come è stata definita quell’attività interdisciplinare destinata allo studio del sacro lenzuolo) attesta senza ombre di dubbio alcune evidenze che consentono di operare l’identificazione tra Cristo e «l’uomo della Sindone», come si è soliti dire.
 
I riscontri sono molteplici.
 
L’effige non è un dipinto né un disegno.
«L’immagine non risulta dall’applicazione di una sostanza colorante (pigmento, tinta, polvere, inchiostro...), né è stata ottenuta da un cadavere per contatto. L’immagine è tridimensionale e si comporta come un negativo fotografico. Se infatti le immagini delle ferite sono certamente dovute al decalco di coaguli di sangue sul tessuto, l’impronta del corpo ha una genesi del tutto diversa. Si tratta infatti di una ossidazione delle fibrille superficiali dei fili di lino, ma sull’origine di tale fenomeno non si è ancora data una spiegazione del tutto accettabile» (1).
«Vi è una zona escoriata e contusa tra lo zigomo destro e il naso, provocata da una caduta, la cui violenza ha rotto la cartilagine del naso. E così si obbligò un passante, Simone di Cirene, ad aiutarlo (Marco 15,21). Giunto sul Golgota, si pensò alla soluzione dei chiodi anche per i polsi.
Il chiodo rompe il nervo mediano contraendo il pollice all’interno della mano; infatti nella Sindone il pollice non si vede. Il piede sinistro è sovrapposto a quello destro perché usarono un solo chiodo. Trafittura al costato: il sangue della ferita del torace è sgorgato da una persona già cadavere: la parte seriosa bianca è separata da quella rossa» (Giovanni 19,34).
 
«Questo esclude che l’immagine possa essere un dipinto. Nessuno sarebbe stato in grado di produrre un’immagine in negativo prima ancora che fosse inventata la fotografia.
L’immagine è stabile alle alte temperature e all’acqua. Diventa fluorescente ai raggi ultravioletti.
Ci sono tracce di emoglobina. Il gruppo sanguigno è AB. Le macchie di sangue non sono in rilievo, ma come segnate a fuoco dentro il tessuto. Le impronte del sangue seguono perfettamente la legge dell’emodinamica. Sopra le palpebre sono state rinvenute (come da antica usanza ebraica di sepoltura) due monetine (lepta) coniate da Pilato nel 29-30 dopo Cristo. Nel 1954 il teologo di Chicago padre F. L. Filas, sulla base di alcune lastre fotografiche del volto sindonico, affermò d’individuare sulla palpebra destra impronte simili a una moneta dell’epoca di Cristo. Successivamente l’elaborazione tridimensionale dell’immagine negativa ingrandita della palpebra destra metteva in evidenza la presenza di quattro lettere: Y, C, A, I, nonché un’impronta centrale, un bastone, simile a un punto interrogativo. La scritta poteva essere, verosimilmente, questa: TIBERIOY CAICAPOS, corrispondente all’errore di conio (abbastanza frequente sulle monete dell’epoca) della scritta TIBEPIOY KAI APO  (una ‘C’ al posto della ‘K’)».
 
«In questo caso si trattava del ‘dilepton lituus’, moneta emessa da Pilato nell’anno XVI del regno di Tiberio, corrispondente al 29-30 dopo Cristo. Si confermava così l’usanza ebraica di ricoprire con monete gli occhi del morto. La seconda moneta fu trovata dai docenti B. Bollone e N. Balossino. Si tratta di un ‘lepton’ che ha sul verso una coppa rituale con manico (‘simpulo’) e la scritta di Tiberioy Kaisaros, nonché la sigla finale LIS, che indica la datazione: ‘L’ sta per ‘anno’, ‘I’ indica il valore ‘dieci’ e ‘S’ il valore ‘sei’. Quindi ancora una volta anno XVI dell’imperatore Tiberio. Sul telo vi sono pollini provenienti da 58 specie di piante, di cui solo 17 tipiche dell’Europa (molte di queste piante non esistono più). Il polline più frequente è identico a quello che si trova presso il lago i Tiberiade e nelle zone limitrofe al Giordano. Nelle icone e nelle monete bizantine vi sono evidenti tracce sindoniche. Fra icone, monete e sindone i punti di convergenza vanno dai 145 ai 190 (a volte si arriva a 250!). Per la medicina legale ne bastano 50-60 per stabilire l’identica origine di due rappresentazioni diverse. Il tipo di tessitura del telo corrisponde a quello in uso nel Medioriente (tracce di cotone tra le fibre di lino). Il lenzuolo è simile a quelli trovati in antiche sepolture egizie, a Pompei e in Siria (patria originaria di questa tessitura). Nel telo vi sono spore, funghi e acari simili a quelli trovati in tombe dello stesso periodo» (2).
 
L’unica nota difforme a tutte le precedenti risultanze riportate sono quelle ottenute nel 1988 a seguito della datazione radiocarbonica, «che, come noto, farebbe risalire il tessuto della Sindone ad una data compresa tra il 1260 ed il 1390. Questo risultato ha creato un certo sconcerto tra gli studiosi, non tanto perché mette in dubbio la compatibilità della Sindone di Torino con la tradizione che la vuole essere il lenzuolo funerario di Cristo, quanto perché, da un punto di vista scientifico e logico, pone dei seri problemi di contrasto con quanto la ricerca ha sino ad oggi assodato sulla Sindone. Non vi sono dubbi che l’intera vicenda dell’operazione di datazione sia stata gestita in modo superficiale e non consono all’importanza e peculiarità dell’oggetto da esaminare».
 
Innanzitutto ha notevolmente stupito il comportamento dei responsabili dei tre laboratori e del dottor Tite del British Museum, nominato «garante» dell’intera operazione, i quali hanno preteso di escludere dall’operazione qualsiasi altro esame e qualsiasi altro ricercatore, rifiutando categoricamente di inserire la datazione con il radiocarbonio in un contesto multidisciplinare di indagini e di esami da effettuare in contemporanea, come era stato suggerito da più parti.
Il prelievo del campione di Sindone è avvenuto, con scelta improvvisata, da un unico sito che, tra l’altro, è tra i più inquinati del lenzuolo e quindi tra i meno adatti ad essere correttamente datati. Coloro che hanno eseguito l’operazione di prelievo del campione - che fu successivamente suddiviso in parti da consegnare ai tre laboratori - hanno fornito versioni con¬trastanti circa il peso e le misure dei campioni.
 
Inoltre, in base ai dati comunicati ufficialmente, si deduce che il campione prelevato pesava circa il doppio di quanto avrebbe dovuto, in base al peso unitario per centimetro quadrato della Sindone, calcolato con precisione in occasione degli esami del 1978.
Come mai?
 
Le possibilità sono solo due: o sono stati forniti dati errati oppure i dati non si riferivano al campione di Sindone […] i risultati forniti dai singoli laboratori presentano una non trascurabile disomogeneità, problema che non è stato possibile discutere ed approfondire a causa del rifiuto da parte dei responsabili dei laboratori di fornire i «dati primari», cioè non ancora interpretati e confrontati, in loro possesso […] (3).
Senza considerare il fatto che «la datazione di un campione di origine organica con il metodo del radiocarbonio possiede ben precisi limiti intrinseci. Tali limiti sono dovuti innanzitutto ad un’incertezza di misura che dipende essenzialmente dalla quantità di carbonio contenuta nel campione e dal metodo di conteggio utilizzato. Inoltre è molto difficile accertare l’‘integrità isotopica’ del campione, ovvero valutare se alla quantità di C14 presente alla morte dell’organismo (nel nostro caso al momento della raccolta del lino utilizzato per tessere la Sindone) non se ne sia aggiunto successivamente altro. Tenendo conto della storia assai travagliata della Sindone, ciò è assai probabile. Non bisogna dimenticare infatti che sulla Sindone sono stati ritrovati pollini, ife e spore, che il tessuto durante l’incendio patito a Chambéry è stato sottoposto ad una temperatura sufficiente a fondere un angolo della cassa d’argento che lo conteneva ed è stato imbevuto dell’acqua usata per spegnere il fuoco, che è stato esposto per lunghi periodi sia all’ambiente esterno che in ambienti chiusi saturi del fumo delle candele e che ha subito altre vicissitudini varie (un cronista del XVI secolo racconta addirittura che la Sindone fu bollita nell’olio) […] la letteratura scientifica è ricca di casi clamorosi di datazioni errate a causa di contaminazioni e di altri fattori imprevedibili ed ineliminabili. Inoltre il metodo del radiocarbonio non è l’unico metodo di datazione esistente e pertanto un’indagine seria non può prescindere da un esame comparato dell’attendibilità e precisione di tutti i metodi di datazione oggi conosciuti (luminescenza all’infrarosso, misurazione del grado di depolimerizzazione della cellulosa, ecc.) riferiti all’oggetto Sindone». […]
 
«Tali ricerche, come già si è detto, concordano pienamente nel definire la Sindone un oggetto ‘irriproducibile’, cioè dotato di caratteristiche fisico-chimiche uniche. Resta pertanto del tutto esclusa la possibilità che si tratti di un manufatto: pertanto l’immagine impressa sulla Sindone è certamente stata lasciata dal cadavere di un uomo che ha subito una serie di torture, tra le quali la flagellazione, e che infine è stato crocifisso.
Da tutto ciò segue che l’unica ipotesi in grado di far coesistere i suddetti risultati con la datazione medioevale del tessuto (tenendo conto che in epoca medioevale la crocifissione era già caduta in disuso da diversi secoli) è quella di un’immagine creata da un ‘falsario’ medioevale che, ispirandosi alla lettera ai Vangeli, avrebbe torturato e crocifisso un suo contemporaneo con metodi e caratteristiche (come, ad esempio, l’uso dei polsi invece che delle palme delle mani come luogo in cui infiggere i chiodi) del tutto estranei alla cultura del suo tempo, allo scopo ben preciso di costruire un falso lenzuolo funebre di Gesù Cristo. Egli sarebbe pertanto riuscito a creare in modo perfetto e unico un’immagine che gli studiosi del XX secolo non sono ancora riusciti a riprodurre nonostante gli innumerevoli esperimenti effettuati, le conoscenze acquisite e i mezzi a disposizione e che inoltre presenta numerose caratteristiche che ne confermano l’autenticità (pollini, moneta, ecc.) invisibili ad occhio nudo e che è stato possibile rilevare solo con i più moderni strumenti di indagine. La suddetta ipotesi appare pertanto perlomeno assai poco plausibile» (4).
 
La storia della Sindone è documentata con certezza a partire dalla «metà del XIV secolo, quando Geoffroy de Charny, valoroso cavaliere e uomo di profonda fede, celebrato generale francese, depose il Lenzuolo nella chiesa da lui fondata nel 1353 nel suo feudo di Lirey nello Champagne. Geoffroy morì alla battaglia di Poitiers il 19 settembre 1356 (durante la Guerra dei Cent’Anni): è quindi tra queste due date che è necessario porre la prima comparsa della Sindone nell’Europa occidentale. Nel corso della prima metà del ‘400, a causa dell’acuirsi della suddetta guerra, Margherite de Charny, dopo aver ritirata la Sindone dalla chiesa di Lirey (1418), la conduce con sé nel suo peregrinare attraverso l’Europa. Finalmente trovò accoglienza presso la corte dei duchi di Savoia, alla quale erano stati legati sia suo padre che il suo secondo marito, Umbert de La Roche. Fu quindi nel 1453 che avvenne il trasferimento della Sindone ai Savoia, nell’ambito di una serie di atti giuridici intercorsi tra il duca Ludovico e Marguerite.
I Savoia dapprima conservarono il Lenzuolo nel loro tesoro privato, portandoselo appresso nel peregrinare per i loro Stati a cavallo delle Alpi, come consuetudine delle corti medievali.
A partire dal 1471, Amedeo IX il Beato, figlio di Ludovico, incominciò ad abbellire ed ingrandire la cappella del castello di Chambery, capitale del Ducato, in previsione di una futura sistemazione della Sindone. Dopo una iniziale collocazione nella chiesa dei francescani, la Sindone venne definitivamente riposta nella Sainte-Chapelle du Saint-Suaire».
 
¬´In questo contesto i Savoia richiesero ed ottennero nel 1502 dal Papa il riconoscimento di una festa liturgica particolare per la quale fu scelto il 4 maggio.
II 4 dicembre 1532, un incendio devastò la Sainte-Chapelle e causò al Lenzuolo notevoli danni che saranno riparati nel 1534 dalle Clarisse della città.
Con lo scoppio della guerra tra Francesco I e Carlo V, il duca di Savoia nel 1535 dovette fuggire davanti all’esercito francese per rifugiarsi in Piemonte, portandosi con sè la Sindone che fu più volte oggetto di ostensioni a Torino, Milano, Vercelli.
II Lenzuolo ritornò solennemente nella Sainte-Chapelle di Chambery il 4 giugno 1561 in seguito alla pace di Cateau-Cambrésis del 1559 con la quale il nuovo duca Emanuele Filiberto aveva riottenuto i suoi Stati. Sotto l’impulso del nuovo e giovane duca inizia l’epoca della grande affermazione di Casa Savoia. I tempi erano ormai maturi per una diversa impostazione della politica sabauda che diresse i propri interessi strategici verso la Penisola.
Conseguenza di ciò fu lo spostamento del centro di comando da Chambéry a Torino, più adeguato rispetto alle nuove esigenze. Mutato il centro politico-amministrativo mancava solo più il ‘segno’ religioso: la Sindone. Emanuele Filiberto trasferì definitivamente la Sindone da Chambéry a Torino il 14 settembre 1578» (5).
 
Gli anni precedenti lasciano tracce più o meno evidenti di un itinerario che iniziò a Gerusalemme, passo per Edessa e Costantinopoli, per poi giungere ad Atene ed in ultimo in Francia e a Torino.
Questi segni nella storia riguardano fatti o narrazioni legati a tradizioni popolari, che non possono, per questo soltanto, essere tacciate di menzogna o inattendibilità.
Sembrerebbe che quel lenzuolo richiami in noi la consapevolezza di un evento; ci obbliga a considerarne la gravità profonda; la seria verità delle testimonianze evangeliche.
Le immagini forti e realistiche del film di Mel Gibson si replicano nelle nostre menti, meditando le sante piaghe del Signore.
L’occasione offerta dal Mistero Liturgico del Triduo Pasquale è quella di «entrare dentro» l’imperscrutabile bellezza dell’anima di Gesù.
Soffermare l’attenzione su quale abisso di sofferenza abbia potuto abbracciare, vivere ed amare il Verbo del Padre.
 
La misura della capacità di questo dolore sorpassa ogni proiezione immaginativa ed ogni intuizione umana: è il male dell’umanità e di ogni persona sofferente che si scaglia sul Cuore di Cristo.
Il sacratissimo Cuore di Gesù, tutto amore per l’uomo, che disintegra il proprio corpo consegnandosi nelle mani dei carnefici materiali (e di tutti noi, carnefici spirituali).
Quest’atto di volontà che redime, disposta a soffrire tutto pur di salvare ad ogni costo qualcuno, è adesione perfetta alla volontà del Padre e frutto di vita eterna per chi a Lui si affidi con fiducia.
 
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1) Da www.sindone.it/ricerche_datazione.asp?sm=sindone&check=null
2) Da www.homolaicus.com/nt/vangeli/sindone/sindone_autentica.htm
3) Da www.sindone.it/ricerche_datazione.asp?sm=sindone&check=null
4) Ibidem.
5) Da www.sindone.org/it/scient/storico 
Stefano Maria Chiari
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