Perché la Marcia nazionale per la vita di Roma sarà nel segno di Gianna Beretta Molla. Si affronta il dolore, si muore in un certo modo, non all'improvviso, ma perché si è vissuto in un certo modo. Lo scriveva Gianna stessa, molto prima di morire: “Nessuno può dare ciò che non ha. Dobbiamo cioè essere ricche di grazia, e questa grazia la dobbiamo chiedere a Dio con la preghiera”.
del 04 maggio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          Perché la Marcia nazionale per la vita di Roma sarà nel segno di Gianna Beretta Molla. Qualche giorno fa, il 28 aprile, ricorrevano i cinquant’anni dalla morte di santa Gianna Beretta Molla. Tra qualche giorno, il 13 maggio – dopo un grande convegno sulla vita, il giorno precedente, presso l’Ateneo Regina Apostolorum –, vi sarà la II Marcia nazionale per la vita, la prima nella capitale. Ad aprirla gli organizzatori hanno chiamato Gianna Emanuela Molla, figlia della santa e medico come lei.
          “Sarà per noi un grande onore – ha dichiarato Virginia Coda Nunziante, coordinatrice della marcia – poter sentire dalla bocca di Gianna Emanuela il ricordo di una figura che è divenuta cara a milioni di persone, a milioni di pro life nel mondo intero”. Gianna Beretta Molla è famosa, soprattutto, per la sua scelta di coraggio e di sacrificio estremi. Lorenza Perfori, autrice del libro “Scegliere la vita” (Fede & Cultura), ricordava così l’eroismo della santa di Magenta: “Mentre è in attesa del quarto figlio le viene diagnosticato un grosso fibroma all’utero.
          Gianna si sottopone al necessario intervento chirurgico ma chiede di salvare il suo bambino e di proseguire la gravidanza. Così avviene. Alla fine partorisce una bimba ma, appena qualche ora dopo il taglio cesareo, le sue condizioni si aggravano. Muore una settimana dopo, a casa, dove aveva chiesto di essere riportata… Così aveva detto ai medici qualche giorno prima del parto: ‘Se dovete scegliere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete, lo esigo, il bimbo. Salvate lui’”.
          Così fu. Come è stato, nota sempre la Perfori, per tante mamme nel corso della storia, e anche oggi. La Perfori ricorda per esempio le storie di Paola Breda, di Carla Levati Ardenghi, di Rita Fedrizzi… Quest’ultima, 41 anni, muore nel 2005 dopo aver dato alla luce il suo terzo figlio. Il marito racconta: “Mia moglie si era informata, sapeva bene che se non avesse abortito non avrebbe avuto alcuna speranza di sopravvivenza, ma considerava quel figlio un dono e ha sempre sostenuto che i doni vanno riconosciuti e poi custoditi… Quando qualcuno, ed erano in tanti, le raccomandava l’aborto come unica via di scampo, lei semplicemente spiegava: ‘E’ come se mi chiedessero di uccidere uno degli altri miei due figli per salvare la mia pelle’. E così non le restava che accogliere Federico, rifiutando le massicce dosi di chemioterapia che avrebbero ucciso il cancro nel suo grembo”.
          Ma torniamo a Gianna. C’è, prima della sua morte, una vita bellissima, da raccontare. Lo fa periodicamente la rivista Gianna, sorriso di Dio, curata dalla Fondazione dedicata alla santa. Perché si affronta il dolore, si muore in un certo modo, non all’improvviso, ma perché si è vissuto in un certo modo. Lo scriveva Gianna stessa, molto prima di morire: “Nessuno può dare ciò che non ha. Dobbiamo cioè essere ricche di grazia, e questa grazia la dobbiamo chiedere a Dio, prima di tutto con la preghiera”.
          Gianna era una donna vitale, amava la vita, la famiglia; suonava il pianoforte e dipingeva; sapeva divertirsi e sorridere. Leggere le sue lettere significa entrare in contatto con un’anima delicata, nobile, piena di tatto e nello stesso tempo di forza e di energia. Era infatti una donna impegnata, con incarichi direttivi, nell’Azione cattolica e nelle Conferenze di San Vincenzo di quegli anni. Scriveva alle sue giovani: “Coloro che dicono: ‘Ognuno pensi alla sua anima’ sono da mettere nella compagnia sciagurata di Caino: ‘Che c’entro io con mio fratello, ne sono forse il custode?’.
          No, noi siamo cristiani, redenti dal sangue di Dio, e formiamo un corpo solo di cui Cristo è il capo… se vogliamo che il nostro Apostolato sia fecondo, uniamo alla preghiera e all’azione il sacrificio… ‘Servite Domino in laetitia’ ci insegna la sacra Scrittura. E cos’è che aiuta la letizia? La reciproca comprensione e l’affezione vicendevole. Vogliamoci dunque bene”. Gli appunti e gli scritti di Gianna sono pieni di luce: il linguaggio è quello semplice, chiaro, diretto, concreto, comprensibile a tutti, del Vangelo e del catechismo di san Pio X, sul quale Gianna si era formata.
          Le parole chiave sono “grazia”, “sacrificio”, “amore”, “preghiera”… Nulla di verboso, di prolisso, di astratto, come avviene in gran parte del chiacchierare intra-cattolico odierno. Mi viene da pensare, leggendoli, che se avessimo avuto un po’ più sante mamme (e di santi padri) e un po’ meno di sdottoreggianti teologi, la cristianità starebbe molto meglio.
          Anche con il marito – e che marito!, possiamo dimenticare l’eroismo di un uomo che seguì la moglie nella sua scelta, ben sapendo di rimanere per anni senza colei che amava con tutto il cuore?– Gianna aveva un atteggiamento che ci riporta alla sua santità. Pietro era per lei non solo un uomo simpatico, buono, amabile. Era, anche, un vero dono di Dio, come i figli. Era la creatura che Cristo stesso le aveva messo sul cammino, per condividere le gioie e i dolori della vita.
          Gli scriveva, dopo un anno di fidanzamento, l’11 aprile 1956: “Pietro mio carissimo, è passato un anno dal giorno del nostro fidanzamento: anno di gioie intime, di amore grande, di comprensione massima. L’augurio più bello che di tutto cuore ti faccio è questo: ancora tanti e tanti anni come questi, che il Signore benedica e conservi sempre questo nostro grande amore”.
Francesco Agnoli
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