Don Bosco diceva:“Noi facciamo consistere la santità nello stare sempre allegri, fare sempre e bene il nostro dovere e aiutare gli altri”. Allegria, impegno e dono sono le virtù semplici e alla portata di tutti che Don Bosco ha posto come ingredienti per la santità. Per esempio: Michele Magone e Maria Goretti...
del 15 maggio 2008
LA SANTITÁ…GIORNO PER GIORNO!
 
Don Bosco diceva:“Noi facciamo consistere la santità nello stare sempre allegri, fare sempre e bene il nostro dovere e aiutare gli altri”. Allegria,  impegno e dono sono le virtù semplici e alla portata di tutti che Don Bosco ha posto come ingredienti per la santità.
 
 
Maria Goretti
 
Nome
Maria
Cognome
Goretti
Nazionalità
Italiana
Nata a
Corinaldo (Ancona)
Nata il
16 ottobre 1890
Morta il
6 luglio 1902
Santificata il
24 giugno 1950
Professione
contadina
 
 
Ciao ragazzi, il mio nome è Maria ma tutti mi chiamavano Marietta. Sono cresciuta in una famiglia numerosa e molto povera. I miei genitori, Assunta e Luigi, erano poveri contadini e a fatica riuscivano a sfamare me e i miei quattro fratelli. Sin da quando ero una bambina, facevo sempre il possibile per rendermi utile: mi recavo spesso nei paesi vicini per vendere uova o per raccogliere l’acqua, preparavo i pasti per i lavoratori nei campi, accudivo i miei fratelli, rammendavo il vestiario e mi occupavo della casa. Sentivo che anche attraverso le piccole faccende di tutti i giorni potevo dare un grande aiuto e questo mi riempiva di gioia e soddisfazione. La mia giornata era dedicata al servizio per la mia famiglia e alla preghiera. Mi affidavo ogni giorno alla Madonna. Mia madre, benché analfabeta, si era preoccupata di darmi un’istruzione religiosa e voleva che tutti i giorni si recitasse il rosario in famiglia. Era fonte di grande sostegno e forza per me. L’amore che nutrivo per Gesù mi spingeva a percorrere grandi distanze per poter ricevere la Comunione; facevo di tutto per partecipare alla messa anche se non sempre mi era possibile e questo era motivo di profonda tristezza per me.
Dopo la morte di mio padre, tutto divenne più faticoso soprattutto per mia madre; io cercavo di alleggerirle il lavoro, di infonderle coraggio e fiducia nella Provvidenza. Ero convinta che solo Dio potesse darle la forza per superare il dolore e per questo pregavo molto per lei. Fortunatamente abitavamo vicino alla famiglia Serenelli: il padre, rimasto vedovo, e il figlio Alessandro. Loro iniziarono a dirci una mano con il lavoro nei campi ma ben presto i rapporti si fecero difficili. Alessandro aveva 18 anni e io 11, quando aveva iniziato a guardarmi con occhi maliziosi, anche se io lo consideravo come un fratello. Cercavo sempre di mantenere un certo decoro e nemmeno d’estate mi scoprivo troppo, anche perché il mio copro di ragazza iniziava a trasformarsi in quello di una donna. Alessandro aveva iniziato a farmi proposte poco oneste ma io l’avevo sempre respinto. Col tempo aumentava la sua insistenza ma con essa anche la mia determinazione nel rifiutarlo. Provavo a farlo ragionare, a fargli capire che non erano cose buone agli occhi di Dio, che la purezza era un valore importante.
Un giorno mia madre e i miei fratelli stavano lavorando nell’aia e io stavo rammendando sulla soglia di casa, quando Alessandro mi si avvicinò e mi invitò ad entrare in casa. Io avevo capito le sue intenzioni e non volli seguirlo; a quel punto mi costrinse ad entrare con la forza. Lo respinsi dicendogli: ”No, Dio non vuole, se fai questo vai all’inferno” ma lui accecato dalla rabbia per via del mio ennesimo rifiuto, prese un punteruolo che aveva con sé ed iniziò a colpirmi ripetutamente e con violenza. Mia madre sentì le mie grida, accorse e mi trovò in una pozza di sangue. Mi trasportarono all’ospedale più vicino ma le ferite erano troppo gravi, non c’erano speranze per me. Nonostante tutto ero cosciente e non facevo altro che pensare ad Alessandro, non provavo rabbia nei suoi confronti ma una forte compassione e con le ultime forze rimastemi lo perdonai dicendo:”Per amore di Gesù gli perdono; voglio che venga con me in paradiso”.
 
 
Michele Magone
 
Nome
Michele
Cognome
Magone
Nazionalità
Italiana
Nato a
Carmagnola (Torino)
Nato il
19 settembre 1845
Morto il
21 gennaio 1859
Gruppo di riferimento
Salesiani
Era una sera come tutte le altre, giocavo con i miei amici tra le strade del mio paese, Carmagnola. Eravamo alla stazione e importunavamo la gente che aspettava con scherzi, urla e risate. Io non ero uno qualsiasi all’interno del mio branco, mi chiamavano il capitano. Ma quella sera feci l’incontro che mi cambiò la vita. Stavamo scherzando tra noi quando all’improvviso piombò in mezzo a noi un prete, Don Bosco. Tutti si spaventarono e scapparono via ma io non cedetti. E invece di rimproverarmi iniziò a farmi domande sulla mia famiglia e su quello che avrei desiderato fare da grande. Mio padre era morto da qualche tempo e mia madre era troppo impegnata con il lavoro per occuparsi di me. Mi offrì la possibilità di studiare nel suo oratorio e di imparare un mestiere e io accettai. La buona volontà non mi mancava di certo e quella vita sconclusionata iniziava a non piacermi più. A Torino la giornata era scandita da momenti precisi: lo studio, la preghiera, i servizi in refettorio e la ricreazione. Fui affidato ad un compagno più grande che mi facesse da angelo custode; mi correggeva quando faceva un torto o quando facevo discorsi cattivi. Mi diede modo di ripensare alla vita che avevo condotto per strada prima di arrivare lì, tutto ciò mi rese profondamente triste. Riconoscevo gli errori che avevo fatto, e invidiavo i miei compagni che potevano accostarsi alla Comunione e alla Confessione, ero triste perché non potevo essere felice fino in fondo come lo erano loro. Grazie all’aiuto di Don Bosco riuscii a prepararmi bene e finalmente mi confessai. Fu un grande sollievo per me. Iniziai a partecipare con slancio a tutti i momenti di preghiera e alla messa, avevo trovato in Gesù la vera gioia e tutto quello che prima mi pesava era diventato un piacere enorme. La stessa cose mi accadeva con i miei impegni quotidiani. Nello studio ero costante e interessato, nei servizi in oratorio ero puntuale e volenteroso, appena mi era possibile davo una mano a chi ne aveva bisogno. Tutto questo mi dava una grande soddisfazione: i risultati nello studio, la mia partecipazione attiva alla vita dell’oratorio, l’essere d’aiuto al prossimo pur rimanendo sempre il capo della ricreazione.
Avevo deciso che non avrei più sprecato un solo momento della mia vita. Avevo capito che il tempo era prezioso, ne avevo sprecato tanto in passato e cercavo sempre di utilizzarlo al meglio e appena potevo, invece di rimanere ad oziare inutilmente, mi dedicavo alla preghiera. E infatti non fu molto il tempo a mia disposizione. Avevo 14 anni quando Gesù mi chiamò a sé. Una malattia allo stomaco che da sempre mi accompagnava si aggravò nel giro di pochi giorni. La morte non mi spaventava, avevo pregato tanto perché Dio mi chiamasse in paradiso e vedendo questa possibilità avvicinarsi non potevo che essere sereno. Morii affidando la mia anima a Gesù, a Giuseppe e a Maria e con accenno di sorriso sulle labbra.
Cristina Nanti
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