Gli inizi dell'evangelizzazione a Gambella,narrata da uno dei protagonisti, un missionario salesiano. «Eccomi finalmente a Gambella, dove la prima impressione è di essere osservato da tutti: è che in questa città di circa 45 mila abitanti, oltre ai salesiani, alle suore di Madre Teresa...».
del 30 settembre 2009
 
Il minibus carico di circa trenta persone, dieci sacchi di fieno, quattro di farina, due pecore, dieci galline più valigie e borse, tutto naturalmente sistemato sul tetto, comincia la lunga discesa che dall’altopiano etiopico a ovest di Addis Abeba, da Gore e da Bure, porta alle pianure di Gambella: un salto da duemila a 500 metri.
A mano a mano che la strada polverosa e tutta buche scende, la temperatura si alza, il paesaggio diventa più brullo e le facce dei viaggiatori dimostrano l’ansia di arrivare a destinazione: ciò che avverrà dopo ben otto ore solo per fare 150 chilometri, alle tre di pomeriggio con 40 gradi.
Eccomi finalmente a Gambella, dove la prima impressione è di essere osservato da tutti: è che in questa città di circa 45 mila abitanti, oltre ai salesiani, alle suore di Madre Teresa e di sant’Anna e a qualche organizzazione umanitaria (che a dire il vero qui non resiste per molto tempo), non ci sono molti frenji, stranieri, come li chiamano qui.
La seconda impressione è di trovarmi più in Sudan che in Etiopia, per la maggioranza di neri delle regioni meridionali di quel Paese rifugiatisi qui per scappare da un regime militare che ha prodotto negli anni moltissime vittime nel tristemente famoso Darfur.
Qui il confine dista solo un centinaio di chilometri. Ed è proprio questa mescolanza di etnie – nuer, anuak, etiopi dell’altopiano, cambata, como e altre – a caratterizzare Gambella, oltre al clima torrido, naturalmente.
 
La comunità salesiana è vivace e allegra. Il direttore, incaricato dell’oratorio e di tante altre cose, è abba (che vuol dire padre) Larcher, un trentino tutto di un pezzo. Gli altri sono abba Thomas, proveniente dall’India, parroco della chiesa principale; abba Giorgio di Milano, parroco di Pugnido, una stazione missionaria a più di cento chilometri da qui; fratel Giancarlo, lui pure di Milano, incaricato della scuola tecnica assieme a fratel Endalkachio, etiope come fratel Takle, che segue invece la scuola elementare e l’oratorio.
Il giorno dopo il mio arrivo incontro abba Angelo Moreschi, salesiano di Brescia, ora vescovo della Prefettura apostolica di Gambella. Una persona accogliente e cordiale, sempre al lavoro sia per progettare le strutture che servono alle esigenze minime per la sopravvivenza e sia per sviluppare la fede delle persone.
A me sembrano tutti degli eroi non solo per la resistenza al caldo, ma soprattutto per essere rimasti qui anche nel terribile anno di guerra tra le due tribù di maggioranza, quel 2002-2003 che ha visto circa duemila morti nell’indifferenza generale del mondo.
Con abba Angelo progettiamo una nuova stazione missionaria a Nyingnang, tutt’altro mondo rispetto a Gambella. E proprio il giorno di Pasqua andiamo ad incontrare la piccola comunità cattolica di quel villaggio.
Dopo un tragitto di tre ore, troviamo ad accoglierci al pozzo d’acqua presso l’entrata del villaggio un gruppo di bambini, che gridano e salutano. Nelle capanne costruite con fango, paglia e legno abitano circa ottomila persone. In una di esse, che per il momento funge da chiesa, ci aspetta una trentina di fedeli con i due catechisti, il maestro e un piccolo coro di giovani forniti di tamburi.
Hanno chiesto di avere più assistenza per la catechesi e la crescita della loro comunità, e una struttura più grande per la chiesa. Abba Angelo sta pensando anche ad un pozzo d’acqua, ad un asilo e ad un mulino, dato che qui vivono solo di grano, sorgo e allevamento.
Si parla e si progetta con l’appoggio del capovillaggio, il quale ci rassicura per la nostra incolumità. La settimana scorsa, infatti, una persona del villaggio è morta in un incidente e per rappresaglia i nuer hanno ucciso quattro di quella tribù, creando momenti di tensione; ma ora sembra tutto risolto.
Poi iniziamo la messa di Pasqua: piena di vita e di fede, con bei canti e tanti bambini, ma anche con tante mosche e sempre con il traduttore. La lingua nuer è di origine nilotica, totalmente diversa da quella etiope.
Questo stesso giorno di 160 anni fa, don Bosco entrava per la prima volta sotto la tettoia Pinardi con i suoi ragazzi, mentre oggi noi iniziamo pi√π stabilmente la nostra presenza a Nyingnang, il villaggio del mio apostolato, dove moltissimi sono i ragazzi e i giovani.
Insieme a tanta fede ed entusiasmo ci sono anche le difficoltà: prima di tutto la lingua, molto difficile da imparare; la strada: 120 chilometri non sempre percorribili soprattutto quando inizia la stagione delle piogge, da giugno a ottobre; i rapporti con il vicinato: avere un pezzo di terreno nel villaggio ha già portato a diversi disaccordi; il caldo veramente asfissiante (neppure di notte la temperatura scende sotto i 25/30 gradi, e nei mesi più caldi supera talvolta anche i 50 durante il giorno); e forse altre difficoltà che scopriremo in seguito.
Ma annunciare il Vangelo a chi non ne ha mai sentito parlare è un’esperienza straordinaria, che fa sentire più vicini agli apostoli perché mette nelle condizioni di parlare esplicitamente di Gesù. Di qui l’impegno a rimanere uniti a lui per essere solo la sua presenza e dire solo la sua Parola.
 
Per chi desidera contribuire alla missione salesiana di Gambella:
c.c.p. 36885028 Fondazione Don Bosco nel mondo, via della Pisana 1111 – 00163 Roma. Specificando nella causale: attraverso Cesare Bullo per don Filippo Perin, Salesiani Addis Abeba.
 
 
don Filippo Perin
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