Negli ultimi dieci anni, oltre due milioni di bambini sono stati uccisi nel corso di conflitti armati, sei milioni sono rimasti invalidi, decine di migliaia sono stati mutilati dalle mine antiuomo. Trecentomila i bambini soldato, più di 4.300.000 quelli morti di Aids: ogni giorno, solo in Africa, settemila bambini sono colpiti dal virus, e si contano già quattordici milioni di orfani.
del 12 febbraio 2009
La povertà resta la causa principale delle malattie dell’infanzia. Un miliardo e duecento milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno. Perfino nei Paesi più ricchi, un bambino su sei vive sotto il livello di povertà. Il trenta per cento dei bambini con meno di cinque anni soffre la fame o sono malnutriti, mentre il cinquanta per cento di tutta la popolazione dell’Africa sub-sahariana non ha accesso all’acqua potabile. Inoltre, 250.000.000 di bambini al di sotto dei quindici anni lavorano, tra essi circa sessanta milioni in condizioni di pericolo, per sei-sette giorni alla settimana, spesso in locali privi di aerazione, male illuminati e con guardie armate per evitare che fuggano.
 
I bambini, in tutto il mondo, sono vittime di commercio sessuale, della pedofilia, e sono utilizzati - organizzati in bande - per esercitare violenza e crimini. I più esposti ai soprusi sono i minori che vivono nelle strade, per lo più allontanati dalle loro famiglie, per ragioni legate alla povertà. Sono cento-centocinquanta milioni, vivono nei quartieri più poveri delle grandi città, dediti all’elemosina, al contrabbando di sigarette, ai furti, alla prostituzione. Molti dormono nei parchi o negli antri degli palazzi, sotto i ponti o in edifici abbandonati. Spesso - capita soprattutto nell’America centrale e nell’Europa dell’Est - fanno uso di inalanti, come la colla, poco costosi e facili da procurarsi, che causano danni irreversibili al cervello e debilitazioni fisiche.
 
Il 13 dicembre 1994 Giovanni Paolo ii scrisse un testo bellissimo, la Lettera ai bambini nell’anno della famiglia: “(…) ai nostri tempi molti bambini, purtroppo, in varie parti del mondo soffrono e sono minacciati: patiscono la fame e la miseria, muoiono a causa delle malattie e della denutrizione, cadono vittime delle guerre, vengono abbandonati dai genitori e condannati a rimanere senza casa, privi del calore di una propria famiglia, subiscono molte forme di violenza e di prepotenza da parte degli adulti. Come è possibile rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza di tanti bambini, specialmente quando è causata in qualche modo dagli adulti?”.
 
Ricordando passi del Vangelo secondo Marco (10, 14) e del Vangelo secondo Matteo (18, 3; 18, 6), Giovanni Paolo ii sottolineò come “il Vangelo è profondamente permeato dalla verità sul bambino. Lo si potrebbe persino leggere nel suo insieme come il “Vangelo del bambino”' e si chiese cosa volesse dire “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli”. Affermò che Gesù pone il bambino come modello per gli adulti: chi è semplice, pieno di fiducioso abbandono, ricco di bontà e puro, come lo sono i bambini, può “ritrovare in Dio un Padre - disse il Papa - e diventare” a sua volta, “grazie a Gesù”, figlio di Dio.
 
Da Nairobi, in Kenya, la testimonianza di padre Marino Gemma, parroco della Consolata Shrine Westlands, ci conferma come il fenomeno dei bambini di strada sia quello che preoccupa di più: “Se dessimo loro del denaro, lo userebbero per comprare colla da ciabattino, che usano come droga” racconta il sacerdote, di origini pugliesi ma in Kenya da diciassette anni. Sono più di centomila i bambini keniani costretti a vivere nei campi profughi, nella Rift Valley e intorno a Nairobi. A Eldoret - dove, nel gennaio scorso, si compì il massacro di almeno cinquanta persone, soprattutto bambini, che morirono nell’incendio appiccato all’interno della chiesa da un centinaio di persone armate di machete - circa 4.200 studenti elementari frequentano corsi scolastici improvvisati nelle strutture di accoglienza alla periferia della città, mentre una trentina di bambini sono nati nello stadio di Nakuru, che per giorni ha ospitato alcune migliaia di sfollati.
 
Se alla povertà si aggiunge la guerra, i bambini diventano due volte vittime della situazione.
“Ci sono tre baraccopoli sotto la nostra giurisdizione e gestiamo un asilo - spiega padre Marino - attualmente frequentato da 125 bambini. Una volta alla settimana riusciamo a dare un pasto caldo ai bambini di strada, a fargli fare una doccia, a dargli dei vestiti. Tutto questo, con i pochi soldi che ci arrivano dall’Italia e con le offerte, anche queste poche, che riusciamo a raccogliere qui”.
 
Ma chi sono i bambini di strada? “In Occidente si pensa che siano bambini abbandonati - afferma il sacerdote - in realtà non è così. Per una buona parte sono orfani, per un’altra parte vivono nelle famiglie e sono le stesse famiglie a mandarli per strada per far sì che siano queste creature a raccattare qualcosa per la sopravvivenza. Il Governo ha tentato di fare qualcosa, ma non è abbastanza per risolvere il problema”. Prima di parlare dell’Africa, occorre comprendere il contesto locale. Qui le tribù sono quarantadue e ognuna ha una sua cultura e concorre a determinare un contesto sociale complessivo.
 
L’Occidente, rispetto al continente africano, ha le sue responsabilità, “enormi, da tutti i punti di vista” dichiara Gemma, secondo il quale “se il colonialismo in questa nazione è finito sessant’anni fa, è finito solo formalmente. Alcuni Paesi hanno ancora formidabili interessi economici in questa regione e non sono, evidentemente, interessi che si rivolgono allo sviluppo e al benessere di questo popolo”. E poi c’è la guerra: “Non è certo voluta dalla gente - sottolinea il sacerdote - ma è imposta dall’alto, da chi governa il rapporto conflittuale tra le etnie, le tribù. Nella mia parrocchia si fa a gara per dare una mano ai tanti rifugiati che vivono per strada, sotto le tende. Mi commuovo nel vedere persone, che non hanno un fazzoletto per piangere la loro miseria, donare quel poco che hanno per aiutare un bambino che soffre”.
 
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