La solitudine del sacerdote è non poter fare a meno di predicare Cristo, ma doverlo predicare come è, crocifisso (in un mondo che, da sempre, fugge le croci). "Mi rendo conto di essere stato fortunato. Quando racconto la mia vita, spesso qualcuno mi confessa di avermi invidiato un po'..."
Talora si dice della solitudine di noi sacerdoti, permettete che apra un po' il mio cuore su questo tema.
La solitudine che il prete vive non ha nulla a che vedere, almeno non in modo determinante, con il fatto che, tornato a casa, non ci sia qualcuno che gli corre incontro o che gli chiede di vedere i compiti, qualcuno con cui parlare o sfogarsi, con cui ridere o piangere.
La vera, grande, solitudine del prete è ritrovarsi solo ed inascoltato nel predicare Cristo. La vera solitudine è non poter dire basta alla folla di lacrime che stanno alla porta e bussano perché dire basta, come scriveva don Primo Mazzolari, sarebbe dire basta a Cristo che viene e questo è impossibile. La solitudine del prete è trovarsi qualche volta nel deserto a parlare ad un mondo che non ti vuole ascoltare, che ti ascolterà un'altra volta perché troppo impegnato a correre dietro a ciò che non salva. La solitudine del prete è avere un tesoro in vasi di creta, desiderare condividerlo, ed accorgersi che alle persone interessa più il vaso del tesoro. Questa è la solitudine del prete, non poter fare a meno di predicare Cristo, ma doverlo predicare come è, crocifisso. In un mondo che, da sempre, fugge le croci e spera di pagarsi in qualche modo la risurrezione.
Ma non temete, ci sono i giorni così, ma non sono tanti, perché, alla fine, il prete non è mai solo, c'è sempre un tabernacolo che lo aspetta, la Vergine Madre che lo ascolta, i cuori di alcuni fratelli e sorelle che si aprono...
La vera gioia è Gesù!
"Se ringraziassimo Dio per tutto ciò che abbiamo, non ci resterebbe tempo per pensare a ciò che ci manca!"
La mia vita si divide in due parti: prima e dopo i venticinque anni. Ho avuto un'infanzia tranquilla con la mamma che, essendo casalinga, poteva dedicarmi molto tempo per giocare e insegnarmi a leggere e scrivere e anche le prime parole di inglese. Poi a cinque anni i miei genitori mi hanno fatto uno dei regali più belli: una sorella, compagna di giochi e di sane litigate. Otto anni più tardi un'altra sorellina, gioia di tutta la famiglia. Nella nostra casa con ampio giardino potevo giocare molto, ma solo dopo aver studiato: mi hanno insegnato infatti che viene prima il dovere e poi il piacere. Avendo comprato sia la casa al mare che quella in montagna, non mi sono mai mancati, ogni anno, un mese di giochi in spiaggia e un mese di passeggiate tra i monti. Il mio babbo era il mio modello. Siccome lavorava in banca, da grande volevo essere come lui ed infatti dopo le medie non esitai a scegliere la scuola che fin dalle elementari ripetevo che volevo fare: ragioneria.
Ho convinto il mio babbo ad acquistarmi ogni innovazione tecnologica che usciva sul mercato: videoregistratore, computer, televisore con televideo ed antenna parabolica, cellulare; io li ho avuti prima di tutti i miei amici. Anche l'incidente che ho avuto col motorino a sedici anni mi ha fatto scoprire quanto bene mi volevano i miei genitori che mi sono sempre stati accanto per tutto il tempo che sono stato all'ospedale, giorno e notte. Ho subìto alcune operazioni, tra cui due molto costose dal miglior professore di ortopedia europeo che lavora in Spagna, per permettermi di recuperare il più presto possibile. In effetti nulla mi ha impedito di continuare la mia grande passione: l'arbitraggio del calcio.
Naturalmente appena sono guarito mi hanno comprato la moto centoventicinque. A diciannove anni mi sono iscritto all'università, facoltà di giurisprudenza. A ventidue anni mi sono fidanzato con una ragazza con la quale ho passato dei bei momenti: siamo stati a sciare in Svizzera, al mare in Grecia e in Corsica, a imparare l'inglese in Irlanda, sulle spiagge di Rimini...
Gli amici, poi, non mi sono mai mancati. Per avere un'idea basti pensare che all'ultimo compleanno che ho festeggiato due anni fa c'erano cinquanta persone, tra amici ed amiche.
Al termine degli studi universitari si apriva per me, grazie al mio babbo, la prospettiva della assunzione nella sua banca che aveva da poco aperto uno sportello nel mio paese: posto sicuro, ben retribuito e "sotto casa". Visti i tempi non si poteva chiedere di più... Mi rendo conto di essere stato fortunato. Quando racconto la mia vita, spesso qualcuno mi confessa di avermi invidiato un po', perché lui ha lottato molto per avere molto meno di ciò che ho avuto io. Ma come dicevo all'inizio, la mia vita è cambiata radicalmente a venticinque anni. Pur avendo tutto ciò che volevo, non ero contento. Ho sempre soddisfatto ogni mio desiderio, avuto risultati positivi in quasi tutte le attività intraprese, una ragazza che mi voleva bene, non mi sono mai mancati i soldi, mi son sempre detto "godi e divertiti"...
Eppure la mia vita era vuota, non aveva senso. Andavo alla Messa tutte le domeniche, come mi avevano insegnato con l'esempio i miei genitori, ma Dio non l'avevo mai incontrato. Insegnavo catechismo, ma a modo mio. Vivevo il cristianesimo, ma solo quello di facciata, abitudinario e poco impegnativo, quello che viviamo un po' tutti. Poi la svolta. Partecipai al primo campo scuola della mia vita, su invito della mia sorella. Per la prima volta, nella mezz'ora quotidiana di meditazione, Dio cominciava a parlarmi nel silenzio del mio cuore. Per la prima volta provavo la vera gioia che c'è nel donarsi agli altri. Piano piano aprivo gli occhi su una realtà nuova, inesplorata.
Al ritorno non ero più lo stesso: mi ero messo in cammino. Ormai vedevo che quello che fino ad allora avevo considerato amore, era in realtà un rapporto di dare-avere e così lasciai, non senza soffrire, la mia ragazza.
Da allora in poi non potevo lasciarmi più sfuggire nessuna occasione per approfondire il rapporto con Dio. Gli esercizi spirituali di fine anno misero il sigillo alla mia conversione. Cinque giorni di silenzio dove Gesù è entrato definitivamente nella mia vita. Per tanti anni avevo tenuto chiusa la porta del mio cuore, ma finalmente gliela aprivo completamente e con piena fiducia. Scoprii la mia condizione di peccatore che mi caratterizzerà per tutta la vita.
A scanso di equivoci, vorrei dire che non ho mai avuto visioni, mai udito delle voci, mai visto madonne che piangono, mai avuto esperienze paranormali o simili. L'unico miracolo di cui sono testimone è la mia conversione.
Al ritorno dagli esercizi la mia vita spirituale ha avuto un crescendo lento, ma inarrestabile. Preghiera quotidiana mattina e sera, Messa quotidiana, confessione settimanale, direzione spirituale, recita della liturgia delle ore, vari servizi in parrocchia...
Cominciai a chiedermi cosa Dio volesse da me, visto che facendo di testa mia ero caduto in pieno nella illusione di poter costruire da solo la mia felicità. Le certezze che avevo avuto fino allora cominciarono a cadere una ad una a causa della loro inconsistenza. Per esempio avevo sempre dato per scontato che mi sarei sposato e avrei avuto dei figli. Mi misi allora seriamente a considerare tutte le possibili alternative, comunque senza escludere la via del matrimonio. Cominciai allora a capire che forse il Signore mi stava chiamando a donargli tutta la mia vita. Non potevo certo rimanere col dubbio ed allora, con l'aiuto dello Spirito Santo, il quale bruciò tutti i dubbi e le incertezze che avevo, decisi di entrare in seminario per verificare in modo serio le prospettive che si erano aperte.
Così ho potuto vedere che in me si era realizzata la mini-parabola che racconta Gesù nel vangelo di Matteo: "Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra". Ho terminato il seminario con la certezza di voler fare la Sua volontà, visto che nel ricercarla ho trovato la pace, la serenità: ho trovato la gioia vera che in fondo tutti cerchiamo fin dalla nascita, ma che solo Dio può dare. A preti e a laici.
don Luca Peyron, don Stefano Bimbi
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