Prefazione a “Gesù di Nazareth. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione”, Rizzoli, 2007.
del 27 novembre 2006
Al libro su Ges√π, di cui ora presento al pubblico la prima parte, sono giunto dopo un lungo cammino interiore.
 
Al tempo della mia giovinezza – negli anni Trenta e Quaranta – vennero pubblicati una serie di libri entusiasmanti su Gesù. Ricordo solo il nome di alcuni autori: Karl Adam, Romano Guardini, Franz Michel Willam, Giovanni Papini, Jean Daniel-Rops. In tutti questi libri l’immagine di Gesù Cristo venne delineata a partire dai Vangeli: come Egli visse sulla Terra e come, pur essendo interamente uomo, portò nello stesso tempo agli uomini Dio, con il quale, in quanto Figlio, era una cosa sola. Così, attraverso l’uomo Gesù, divenne visibile Dio e a partire da Dio si poté vedere l’immagine dell’uomo giusto.
 
A cominciare dagli anni Cinquanta la situazione cambiò. Lo strappo tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede” divenne sempre più ampio; l’uno si allontanò dall’altro a vista d’occhio. Ma che significato può avere la fede in Gesù Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come lo annuncia la Chiesa a partire dai Vangeli? I progressi della ricerca storico-critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i diversi strati della tradizione. Dietro di essi, la figura di Gesù, su cui poggia la fede, divenne sempre più incerta, prese contorni sempre meno definiti.
 
Nello stesso tempo le ricostruzioni di questo Ges√π , che doveva essere cercato dietro le tradizioni degli Evangelisti e le loro fonti, divennero sempre pi√π contraddittorie: dal rivoluzionario nemico dei Romani che si oppone al potere costituito e naturalmente fallisce al mite moralista che tutto permette e inspiegabilmente finisce per causare la propria rovina.
 
Chi legge di seguito un certo numero di queste ricostruzioni può subito constatare che esse sono molto più fotografie degli autori e dei loro ideali che non la messa a nudo di una icona diventata confusa. Nel frattempo è sì cresciuta la diffidenza nei confronti di queste immagini di Gesù, e tuttavia la figura stessa di Gesù si è allontanata ancor più da noi.
 
Tutti questi tentativi hanno comunque lasciato dietro di sé, come denominatore comune, l’impressione che noi sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo più tardi la fede nella sua divinità ha plasmato la sua immagine. Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto. […]
 
Ho sentito il bisogno di fornire ai lettori queste indicazioni di metodo perché esse determinano la strada della mia interpretazione della figura di Gesù nel Nuovo Testamento.
 
Per la mia presentazione di Gesù questo significa anzitutto che io ho fiducia nei Vangeli. Naturalmente dò per scontato quanto il Concilio e la moderna esegesi dicono sui generi letterari, sull’intenzionalità delle affermazioni, sul contesto comunitario dei Vangeli e il loro parlare in questo contesto vivo. Pur accettando, per quanto mi era possibile, tutto questo ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il vero Gesù, come il “Gesù storico” nel vero senso della espressione.
 
Io sono convinto, e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore, che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni.
 
Io ritengo che proprio questo Gesù – quello dei Vangeli – sia una figura storicamente sensata e convincente. Solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù superavano radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell’epoca, si spiegano la sua Crocifissione e la sua efficacia.
 
Già circa vent’anni dopo la morte di Gesù troviamo pienamente dispiegata nel grande inno a Cristo della Lettera ai Filippesi (2,6-8) una cristologia, in cui di Gesù si dice che era uguale a Dio ma spogliò se stesso, si fece uomo, si umiliò fino alla morte sulla croce e che a lui spetta l’omaggio del creato, l’adorazione che nel profeta Isaia (45,23) Dio proclamò come dovuta a lui solo.
 
La ricerca critica si pone a buon diritto la domanda: che cosa è successo in questi vent’anni dalla Crocifissione di Gesù? Come si giunse a questa cristologia?
 
L’azione di formazioni comunitarie anonime, di cui si cerca di trovare gli esponenti, in realtà non spiega nulla. Come mai dei raggruppamenti sconosciuti poterono essere così creativi, convincere e in tal modo imporsi? Non è più logico anche dal punto di vista storico che la grandezza si collochi all’inizio e che la figura di Gesù fece nella pratica saltare tutte le categorie disponibili e poté così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio?
 
Naturalmente, credere che proprio come uomo egli fosse Dio e fece conoscere questo avvolgendolo nelle parabole e tuttavia in un modo sempre più chiaro, va al di là delle possibilità del metodo storico. Al contrario, se a partire da questa convinzione di fede si leggono i testi con il metodo storico e la sua apertura per ciò che è più grande, essi si aprono, per mostrare una via e una figura, che sono degne di fede. Diventano allora chiare anche la lotta a più strati presente negli scritti del Nuovo Testamento intorno alla figura di Gesù e nonostante tutte le diversità, il profondo accordo di questi scritti.
 
È chiaro che con questa visione della figura di Gesù io vado al di là di quello che dice ad esempio Schnackenburg in rappresentanza di una buona parte dell’esegesi contemporanea. Io spero, però, che il lettore comprenda che questo libro non è stato scritto contro la moderna esegesi, ma con grande riconoscenza per il molto che ci ha dato e continua a darci. Ci ha fatto conoscere una grande quantità di fonti e di concezioni attraverso le quali la figura di Gesù può divenirci presente in una vivacità e profondità che solo pochi decenni fa non riuscivamo neppure a immaginare. Io ho solo cercato di andare oltre la mera interpretazione storico-critica applicando i nuovi criteri metodologici, che ci permettono una interpretazione propriamente teologica della Bibbia e che naturalmente richiedono la fede senza per questo volere e poter affatto rinunciare alla serietà storica.
 
Di certo non c’è affatto bisogno di dire espressamente che questo libro non è assolutamente un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore” (Salmo 27,8). Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza la quale non c’è alcuna comprensione.
 
Come ho detto all’inizio della prefazione, il cammino interiore verso questo libro è stato lungo. Ho potuto cominciare a lavorarci durante le vacanze estive del 2003. Nell’agosto del 2004 ho poi dato forma definitiva ai capitoli dall’1 al 4. Dopo la mia elezione alla sede episcopale di Roma ho usato tutti i momenti liberi per portarlo avanti. Poiché non so quanto tempo e quanta forza mi saranno ancora concessi mi sono ora deciso a pubblicare come prima parte del libro i primi dieci capitoli, che vanno dal battesimo al Giordano fino alla confessione di Pietro e alla Trasfigurazione.
 
 
 
Introduzione. Un primo sguardo sul segreto di Ges√π
 
(…) In Gesù si compie la promessa del nuovo profeta. In lui si realizza pienamente quanto in Mosè era solo imperfetto: Egli vive al cospetto di Dio, non solo come amico ma come Figlio, in profonda unità con il Padre. Solo partendo da qui possiamo davvero capire la figura di Gesù che ci viene incontro nel Nuovo Testamento. Tutto quello che ci viene raccontato, le parole, i fatti, le sofferenze e la gloria di Gesù, ha qui il suo fondamento. Se si lascia da parte questo centro autentico non si coglie lo specifico della figura di Gesù che diventa allora contraddittoria e in definitiva incomprensibile. Solo da qui può ricevere una risposta la domanda di fronte alla quale si deve porre chiunque legga il Nuovo Testamento: da dove Gesù ha preso il suo insegnamento? Come si spiega la sua venuta? La reazione dei suoi ascoltatori fu chiara: questo insegnamento non viene da alcuna scuola. È radicalmente diverso da quello che si può imparare nelle scuole. Non è spiegazione secondo il metodo dell’interpretazione, è diversa, è spiegazione «con autorità». Ritorneremo su questa constatazione degli ascoltatori quando rifletteremo sulle parole di Gesù e dovremo approfondirne il significato. L’insegnamento di Gesù non proviene da un apprendimento umano, qualunque possa essere. Viene dall’immediato contatto con il Padre, dal dialogo «faccia a faccia», dal vedere quello che è «nel seno del Padre». È parola del Figlio. Senza questo fondamento interiore sarebbe temerarietà. Proprio così la giudicarono i sapienti al tempo di Gesù, proprio perché non vollero accogliere il suo significato interiore: il vedere e conoscere faccia a faccia.
 
Per la conoscenza di Gesù sono fondamentali gli accenni ricorrenti al fatto che Gesù si ritirava «sul monte» e lì pregava tutta la notte, «da solo» con il Padre. Questi brevi accenni diradano un po’ il velo del mistero, ci permettono di gettare uno sguardo dentro l’esistenza filiale di Gesù, di scorgere la fonte sorgiva delle sue azioni, del suo insegnamento e della sua sofferenza. Questo «pregare» di Gesù è il parlare del Figlio con il Padre in cui vengono coinvolte la coscienza e la volontà umane, l’anima umana di Gesù, di modo che la «preghiera» degli uomini possa divenire partecipazione alla comunione del Figlio con il Padre. La famosa affermazione di Harnack secondo la quale l’annuncio di Gesù è un annuncio che viene dal Padre e di cui il Figlio non fa parte –e dunque la cristologia non appartiene all’annuncio di Gesù- è una tesi che si smentisce da sola. Gesù può parlare del Padre, così come fa, solo perché è il Figlio e vive in comunione filiale con il Padre. La dimensione cristologica, cioè il mistero del Figlio che rivela il Padre, la «cristologia», è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù. Qui si evidenzia un altro punto importante. Abbiamo detto che nella comunione filiale di Gesù con il Padre viene coinvolta l’anima umana di Gesù nell’atto della preghiera. Chi vede Gesù vede il Padre (Gv 14,9). Il discepolo che segue Gesù viene in questo modo coinvolto insieme con lui nella comunione con Dio. Ed è questo che davvero salva: il superamento dei limiti dell’uomo. Questo superamento era insito nell’uomo come attesa e possibilità fin dalla creazione per la somiglianza con Dio.
 
 
papa Benedetto XVI
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