Forzare oltre misura i tempi è controproducente. I bambini hanno una grande forza di volontà. Ma quando non vedono quell'attività come una costrizione. Allora il loro unico motivo diventa far felici mamma e papà, perché vedono che dalla loro riuscita o meno dipende anche il buon umore di mamma e papà. Ma è giusto questo, in un bambino?
del 01 luglio 2011
 
           Ho avuto occasione di assistere ad una scena raccapricciante: un genitore che pretendeva di insegnare alla figlia ad andare in bicicletta senza le ruotine, gridandole dietro, rimproverandola e dandole delle giornalate in testa. Ora, aveva il caschetto regolamentare, per cui non si è fatta nulla, non vi preoccupate; ma non è certo quello il problema. Non esistono solo le ferite e i dolori fisici. È lo stesso metodo che usano certi genitori quando il figlio si rifiuta di tuffarsi in piscina, sinceramente convinti – per altro – che uno shock possa essere un ottimo metodo per anestetizzare la paura. Se ancora non se ne sono accorti, glielo dico io. No. Non funziona. Ottieni solo il terrore del bambino, che non si fiderà più di te. Crollerà un mito, non sarai più un punto di riferimento, perché, ai suoi occhi tu l’hai tradito. Lui si fidava di te e tu l’hai tradito. I bambini non conoscono mezze misure ed è così che valuteranno il brusco tentativo di forzare la familiarità del piccolo con l’acqua.
          Ed è così con tutto. Forzare oltre misura i tempi è controproducente. I bambini hanno una grande forza di volontà. Ma quando non vedono quell’attività come una costrizione. Allora il loro unico motivo diventa far felici mamma e papà, perché vedono che dalla loro riuscita o meno dipende anche il buon umore di mamma e papà. Ma è giusto questo, in un bambino?
          C’è una virtù quanto mai in secondo piano, di questi tempi, perché considerata da sfigati, nonostante un antico adagio la proclami virtù dei forti. La pazienza. La pazienza è quella del seminatore che, lasciato cadere il seme, ha fiducia che esso troverà il modo e il tempo per germogliare. Sa che non può forzare i tempi della crescita, si fida della perizia del suo lavoro e della qualità del seme. Quante cose possiamo ottenere con la pazienza e la perseveranza… ce ne accorgiamo con stupore solo dopo averle ottenute, perché è in effetti difficile coltivare la pazienza! È difficile perché richiede un impegno continuo nel tempo, non ci si può fermare a un giorno o a un periodo. Intendiamoci però sul termine pazienza: non significa certo stare immobili ad aspettare che le cose si facciano da sé! È, piuttosto, la dote notevole di sapersi avvicinare con delicatezza ai cuori, di insinuarsi con una parola o con un silenzio, lasciando poi il tempo che questi agiscano. Come del resto, questo dovrebbe essere lo stile con cui approcciarsi alla Parola di Dio: non è questione di quantità, la Parola richiede il tempo e lo spazio necessari a sedimentarsi perché possa diventare l’humus della nostra vita.
          Quante volte, anche nelle relazioni tra adulti, nei rapporti di coppia, in particolare (che dovrebbero essere la culla dell’amore) si vedono, al contrario, sopraffazioni, aggressioni verbali, violenza fisica che, per lo più è giustificata come “legittima confidenza”. Non c’è bisogno di arrivare al penale per dire che c’è un modo di rapportarsi che è in sé rischioso. Perché va bene lo scherzo e va bene la confidenza, ma ci sono gesti e parole che minano il rispetto reciproco e se ciò avviene questo non potrà mai essere positivo.
          Ricordo ancora adesso quello che ascoltai durante un programma radiofonico, tempo fa. Spiegava la differenza tra assertività, aggressività e passività. La passività è il comportamento in cui non si cerca lo scontro, non si tirano fuori le magagne, vige in sostanza il “vivi e lascia vivere”; ma è evidente quanto sia potenzialmente pericoloso: quest’atteggiamento non fa crescere né le persone né la profondità del rapporto, che resta superficiale e che, oltre tutto, è minato al suo interno da una sorta di tensione trattenuta. L’aggressività è l’atteggiamento di chi sfoga la propria rabbia sull’altro: pur affrontando i problemi, lo fa entrando nel personale, ferendo e umiliando l’altra persona, motivo per il quale anche questa modalità è  sbagliata perché affossare l’altro non sarà mai la modalità migliore per correggerne gli errori. L’assertività è qualcosa di più di un giusto mezzo, è piuttosto un giusto modo di affrontare le relazioni interpersonali. Richiede un approccio positivo e propositivo al problema, che non è affrontato mai come una “questione personale”, ma in un modo che è comunque chiaro e senza sconti, altrimenti non sarebbe comprensibile dall’interlocutore. L’assertività è proclamata dalla psicologia che ben poco ha a che vedere con la vita di fede.
          Eppure è molto simile alla dolce fermezza di Francesco di Sales, quasi a rinsaldare la convinzione che scienza e fede non si oppongono anzi, alle volte, quasi spontaneamente, finiscono con l’andare nella medesima direzione. Perché una vera vita di fede è in realtà squisitamente concreta e non può prescindere dal ricercare un amore vero e profondo, che è anche e soprattutto tenerezza, pazienza, assertività, prossimità, perseveranza, fedeltà. Termini equivoci, pericolosi, soggetti a fraintendimenti. Basti chiarire che non si tratta di una coccola in più o in meno. È forse, invece, principalmente questione d’uno stile diverso, di uno sguardo più attento, più profondo, volto a una cura più coraggiosa per la persona amata. Una cura che non sia solo fisica o corporea e nemmeno mentale, è la visione “completa” della persona nel suo valore inestimabile che ci porta a usare una tenerezza che è testimonianza di un dono ricevuto. Se l’altro resta inarrivabile nel suo essere infinitamente diverso da me, pur nelle somiglianze più e meno evidenti, allora il rispetto non potrà mai mancare, nel riconoscimento di qualcosa che resta – inevitabilmente – al di fuori dei margini del mio personale possesso. Non sarà mai mio, se non nella misura in cui si consegnerà a me. Scelta insindacabilmente fuori della mia portata, però.
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Maddalena Negri
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