La tensione educativa: se ci sta veramente a cuore qualcuno...

Il problema educativo emerge quando ci sta a cuore qualcuno con gratuità e affetto. Come sanno bene una mamma, un papà, un amico, un fratello che sono diventati tali perché a loro volta hanno ricevuto gratuità ed affetto. Occorre, più radicalmente, il grembo della fede che, come l'amore, anzitutto si trasmette testimoniando e si riprende rielaborando.

La tensione educativa: se ci sta veramente a cuore qualcuno...

da Quaderni Cannibali

del 30 gennaio 2012(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));

 

          Il problema educativo emerge quando ci sta a cuore qualcuno con gratuità e affetto. Come sanno bene una mamma, un papà, un amico, un fratello che sono diventati tali perché a loro volta hanno ricevuto gratuità ed affetto. Non accade più tendenzialmente essendo incrinata nel nostro tempo la grande tradizione umanistica e quasi scomparsa la cultura contadina, essendo tutto mercificato e banalizzato, essendo smarrito il senso di un Dio che è Padre.

          Non accade tendenzialmente, ma per fortuna accade ancora perché le antiche tracce riemergono appena il cuore e la mente diventano sensibili. Come risplende in tante relazioni con cui si vuole bene veramente l’altro, tanto da volerlo felice, umano, forte, di quella forza per cui è stato detto che «i miti possederanno la terra». Il problema educativo, infatti, si avverte come veramente importante e non viene surrogato da tecniche e competenze, solo se si percepisce come sia umana una vita «buona e bella», e come resti animale una vita giocata a rimbalzo tra potere, soldi e piacere.

          Vita umana che si eleva e diventa tale ogni qualvolta il pensare apre orizzonti “altri” rispetto al solo sensibile, da Socrate a don Milani... Allora lo scorrere dei giorni diventa un cammino verso una meta, come accaduto grazie al cristianesimo che così ha meglio puntualizzato e reso sostanziale ciò che il tempo ciclico greco riusciva solo a rendere figura. Allora, se la sostanza della vita è quella di un cammino, c’è da trasmettere una tradizione che custodisce ciò che è nobile e vero, allora ci sono i padri e ci sono i figli.

          Come accaduto nel Cinquecento, grazie alla seminagione dell’umanesimo. Allora le persone vengono corrette e così imparano le vie per operare metamorfosi e per non restare infantili, legnose, come si racconta nella storia di Pinocchio entro lo sforzo educativo dell’Italia appena unificata. Allora si cerca il fine e non si attende (sfuggendola e occultandola) la fine, come esplicitano le grandi tradizioni delle fedi che corrispondono a un Dio che, rivelandosi, si mostra “per” l’uomo. Allora si diviene capaci di uscire dallo stagno e di tuffarsi in mare aperto. Diversamente da narrazioni che lasciano sulla nave o di cuori che portano lontano dalla responsabilità. Allora si scopre come sia bello ammirare senza consumare, guardare senza possedere, accogliendo ciò che a noi si dona come «luce gentile», come tenue ma significativo chiarore. Tra Kant e il secondo Heidegger, tra bellezza e castità… Allora non si fa conto delle quantità e dei risultati ma dell’umanità che fiorisce in noi e attorno a noi. Ora, tutto questo oggi non è ovvio ma è iscritto nel meglio di una tradizione che – seppur non vinta e sopraffatta mai del tutto – viene interrotta e contrastata nella scuola delle competenze (e dei pesanti tagli), nella sacralità immunizzante, nella mercificazione dominante che crea «desertificazione etica». Come ha ricordato di recente il card. Bagnasco dopo aver dato voce, in sintonia con il presidente Napolitano, allo «sgomento» di molti di fronte alla volgarità dominante nelle case ma anzitutto, con una fortissima valenza diseducativa, nei palazzi del Potere. Entro logiche populistiche da una parte e mediocrità di pensiero e di azione dell’altra, entrambi modi con cui si attenta quotidianamente e in modo convergente anche alla sostanza della democrazia. C’è di più!

          Lo spettacolo che si costruisce anche attorno al dolore – da Sara a Yara, dall’Aquila ancora senza alcuna ricostruzione e ai disperati che attraversano il Mediterraneo in cerca di salvezza – e l’incapacità di una riflessione all’altezza del dolore per vite spezzate tragicamente indicano come, anche nelle circostanze più drammatiche che ci potrebbero interpellare, prevale la scelta di una via tanto facile quanto infeconda con cui si agitano emozioni, si coprono affari, si continua a lasciare tutto come prima. Non lo diciamo con pessimismo, cerchiamo solo di cogliere realisticamente un momento di crisi antropologica del nostro Occidente che, per contrasto, fa risaltare la scelta dei vescovi italiani di mettere al centro del decennio pastorale 2010-2020 il tema educativo. Si tratta di un tema che ci mette insieme a tutti coloro che hanno a cuore l’uomo e che si specifica – anche per il doveroso apporto proprio della comunità ecclesiale – nell’educazione alla «vita buona del Vangelo».

          Si tratta di una scelta doppiamente felice: non si limita a registrare la crisi, si apre una via; e la si apre alla radice. Per questo la proposta va presa sul serio, va considerata come occasione propizia per ripensarsi, dare forze e mete a chi cresce, rigenerare il tessuto sociale. Per questo impariamo da Kierkegaard come siano importanti la «disperazione» – verso il mondo – e l’«angoscia» – verso se stessi – per evitare di confidare banalmente sulle proprie forze, come è proprio della superbia moderna ma anche dell’affidamento in capacità etiche non verificate nel dramma della singolarità e dei bivi radicali della vita. Occorre, perché si formi umanità singolare e veramente libera, il salto della consegna e della relazione. Occorre, più radicalmente, il grembo della fede che, come l’amore, anzitutto si trasmette testimoniando e si riprende rielaborando.

          La scelta dei vescovi allora è tanto significativa quanto impegnativa perché comporta – in una chiara e decisa alternativa al clima dominante – il coraggio della testimonianza (della testimonianza cristiana tout court con la radicalità di Francesco d’Assisi e la passione di Caterina da Siena) e la cura che accompagna «uno ad uno» con sapienza e saggezza. Ci si troverà subito con un alleato esigente ma sicuro come il Dio di Gesù. Si dovrà per questo tenere viva la “differenza” della vita cristiana, per cui non basta nascere ma occorre «rinascere». Si dovrà soprattutto accogliere l’iniziativa e l’azione discreta dello Spirito e lasciare che il Risorto ci preceda. Si dovranno al tempo stesso ridisegnare, ed aiutare a ridisegnare con umiltà e franchezza, molte coordinate culturali, antropologiche e spirituali. In un passaggio delle sue “confessioni” anche Rousseau arriva a invocare un padre ma che sia Padre! Diventa la meta ultima di una sfida alta, da vivere superando il facile ottimismo e il cupo ottimismo, con drammatico ottimismo, entro gli orizzonti delle virtù cardinali e teologali, con aderenza alla vita, con sguardo verso Dio.

         Per come i grandi racconti del dialogo di Gesù con la Samaritana, della guarigione del cieco nato, della risurrezione di Lazzaro permettono di scoprire nella vittoria possibile e nella lotta realistica da sempre affrontare; così passo dopo passo ci introduciamo al tema dell’educare, senza fretta, lasciandoci istruire da una delle scuole più grandi qual è l’anno liturgico e, al suo interno, il cammino quaresimale. Esso, con la sobrietà dei segni esteriori e la ricchezza dei messaggi interiori, ci prepara a ricostruire il tessuto di un cuore veramente sensibile ed umano, capace di far pulsare la vita con l’innocenza dei bambini, la freschezza dei giovani, la forza degli adulti, la saggezza dei vecchi, la delicatezza e l’intuito delle donne.

Maurilio Assenza

http://www.dimensionesperanza.it

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