La testimonianza di Paolo, papà di dieci figli

È la storia di Paolo, padre di dieci figli, sei maschi e quattro femmine, che mantiene con un unico stipendio da libero professionista. Non un eroe, né un santo o un fanatico, ma un uomo qualunque che sperimenta ogni giorno la provvidenza di Dio nella sua famiglia e che in questa intervista ha voluto raccontare la gioia di essere padre, ovvero “immagine terrena della paternità celeste”.

La testimonianza di Paolo, papà di dieci figli

da Quaderni Cannibali

del 20 marzo 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

          'San Giuseppe è realmente un padre e signore che protegge e accompagna nel cammino terreno coloro che lo venerano, come protesse e accompagnò Gesù che cresceva e diveniva adulto”. Così scriveva San Josemarìa Escrivà, spiegando come questo “uomo comune, padre di famiglia, lavoratore che si è guadagnato la vita con lo sforzo delle sue mani”, aiuti a conoscere l’Umanità di Cristo, poiché fu eletto da Dio per essere suo padre sulla terra.

          San Giuseppe è, quindi, un esempio per tutti i papà che ieri hanno festeggiato il loro giorno: modello di padre ideale che insegna ad accettare questo compito come un’elezione, oltre che una missione. E in un’epoca in cui la figura del padre è così svalutata tanto da essere ritenuta non necessaria o secondaria e dove la stessa paternità è considerata spesso un “intralcio”, c’è ancora qualcuno che ha voluto concretizzare l’insegnamento di San Giuseppe dicendo incondizionatamente sì alla volontà di Dio.

          È la storia di Paolo, 57 anni, sposato da trentaquattro, padre di dieci figli, sei maschi e quattro femmine, che mantiene con un unico stipendio da libero professionista. Non un eroe, né un santo o un fanatico, ma un uomo qualunque che sperimenta ogni giorno la provvidenza di Dio nella sua famiglia e che in questa intervista ha voluto raccontare la gioia di essere padre, ovvero “immagine terrena della paternità celeste”.

Paolo, dal '68 ad oggi si è assistito ad un graduale rifiuto di alcuni valori, tra cui, in modo particolare, la figura del padre, inteso come principale riferimento dell'autorità. Come vivi tu oggi questo ruolo, soprattutto essendo il padre di una famiglia così numerosa?

          La realtà mostra che le persone vengono al mondo, ordinariamente, tramite un padre ed una madre e crescono in maniera armoniosa e soddisfacente - potremmo dire integrata - quanto più queste persone, padre e madre, esercitano il loro ruolo secondo caratteristiche specifiche e soprattutto in comunione fra loro.

          Non ho quindi particolari dubbi sulla validità, anzi sull’assoluta necessità di una figura paterna autorevole e riconosciuta. Il fatto che vi siano forti correnti e influenze culturali e sociali contrarie a questo indirizzo lo vedo più come uno stimolo che come un ostacolo. Il problema è piuttosto correggere in se stessi quelle fragilità e debolezze che tendono a rovinare e impedire l'esercizio della paternità…

A cosa ti riferisci?

          All'incapacità di amare insita nella natura umana, che in certi momenti ti spinge o addirittura ti obbliga a pretendere dai figli vita per te invece di donare la tua per loro.

          Dare la vita a volte può voler dire anche dire dei no e sicuramente vuole dire caricarsi di tutti gli oneri materiali, morali e spirituali che il rapporto con un altro da te e dipendente da te comporta. Per rispondere più direttamente alla domanda di prima posso dire che vivo il mio ruolo di padre con timore e tremore, in costante combattimento con la mia inadeguatezza che viene tuttavia sostenuta dalla grazia del matrimonio.

Hai avuto difficoltà nell'esercitare in pieno la tua autorità di genitore?

          Le difficoltà maggiori non sono venute dall'esterno. A parte momenti particolari, non ho mai desiderato un'accettazione della mia autorità facile dettata magari dall’abitudine, dal conformismo o dalla paura. Le difficoltà vere sono venute sempre dalla mia inclinazione a trasformare l'autorità in autoritarismo con la conseguente pretesa di obbedienza laddove questa non era causata da una vera autorevolezza.

          Inoltre di fronte ai fallimenti che ci sono - un figlio che disobbedisce, o cade in gravi difficoltà, o si ribella o prende una cattiva strada, ecc. - la superbia ti spinge a rinnegare tutto e a rinchiuderti in te stesso, mentre l'umiltà di aiuta ad accettare la correzione del Signore attraverso la storia e a ricominciare ogni giorno da capo.

Avere tanti figli è sicuramente una grazia e un dono del Signore, ma spesso è anche fonte di preoccupazione o problemi, come possono essere quelli economici, del lavoro o addirittura del giudizio degli altri o delle stesse famiglie d'origine. Da questo punto di vista qual è stata la tua esperienza?

          I problemi, le preoccupazioni non sono mancati in questi anni e continuano a non mancare, insieme a gioie e soddisfazioni molto grandi. La sussistenza materiale ha sicuramente causato angustie, ma ci ha anche permesso di sperimentare la provvidenza in maniera multiforme e in certi casi entusiasmante.

          Devo dire poi che la dialettica sia con le famiglie d'origine, sia con l'ambiente circostante, in certi periodi particolarmente serrata, io e mia moglie non l'abbiamo vissuta come un limite, ma come una occasione di approfondimento e di testimonianza della possibilità di una vita più ricca e più piena. Il dato fondamentale del generare i figli è stato il riconoscimento di una potestà superiore e di un'elezione: Dio è l'autore della vita (eterna), ci ama e ci elegge come suoi collaboratori per trasmettere la vita (eterna) per la nostra felicità, di genitori e figli. Tutto ciò si realizza nel combattimento della fede e nella libertà, nostra e dei figli.

Da chi e come sei stato aiutato in tutto questo e in che modo hai visto concretamente agire il Signore nella tua vita?

          Sono stato aiutato dalla Chiesa per mezzo di un cammino di iniziazione cristiana vissuto insieme ad una comunità di fratelli. Il Signore si è manifestato in molti modi, ma soprattutto mi ha permesso di esercitare “indegnamente” il ruolo di Catechista per adulti, regalandomi una predicazione che mi ha mosso a riconoscermi peccatore, facendomi sperimentare il perdono e la misericordia, la riconciliazione e la comunione con Dio, con i fratelli, con mia moglie e con i figli, sempre con itinerari di “morte e resurrezione, desolazione e consolazione”.

          Come già accennato anche dal punto di vista materiale, il Signore ha sempre provveduto a lavoro e risorse, educandomi e portandomi alla conoscenza di me stesso per insegnarmi la misericordia e l'amore per gli altri.

          Devo dire sinceramente che io ce la metto tutta per rovinare la Sua opera ma, fino ad oggi, ogni volta che mi è stato concesso di confidare in Lui non sono rimasto deluso.

Salvatore Cernuzio

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