Il suo volto è comparso solo per qualche istanti sui nostri Tg, eppure...
Il suo nome e il suo volto sono apparsi per qualche minuto sui telegiornali solamente ieri, quando è stata diffusa la notizia della sua tragica morte, ma storie come quella di Rita Fossaceca, la dottoressa uccisa in Africa da banditi che hanno fatto irruzione nell’abitazione dove si trovava con altri fra cui i genitori, meriterebbero di essere ricordate a lungo come esempio per tutti.
Pur lavorando al Dipartimento di Scienze Radiologiche dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara, infatti, la dottoressa Fossaceca – che da donna professionalmente realizzata avrebbe potuto coltivare ben altri interessi – ogni anno si recava in Africa («Hai fatto tanto bene in Kenya, Malindi, Watamu», ricorda sul suo profilo Facebook un’amica) e dove si trovava in questi giorni, a Mijomboni, un piccolo villaggio nell’entroterra alle spalle di Malindi, per conto della For Life Onlus, una associazione umanitaria internazionale, stava prestando aiuto all’orfanotrofio locale, che ospita una ventina di bambini.
Già questo basterebbe per comprendere lo spessore umano oltre che professionale della dottoressa Fossaceca, ma ci sono altri due aspetti che non si può fare a meno di ricordare e che aiutano ulteriormente a comprenderlo. Il primo riguarda la dinamica dello scontro con cui la donna ha purtroppo trovato la morte, vale a dire un’aggressione con un machete contro la madre: la dottoressa Fossaceca ha cercato eroicamente di proteggerla finendo ferita mortalmente da un colpo di pistola. Va poi detto – anche se nessun telegiornale, guarda caso, lo ha fatto – che la donna, oltre che da spirito di volontariato, era mossa anche da un’altra potentissima spinta: quella della fede; lo si apprende dalle testimonianze di chi l’ha conosciuta e lo attesta anche il suo profilo Facebook, nel quale è segnalato un solo libro ma assai significativo rispetto a quelle che erano le sue convinzioni: “La fede è..?” (Elledici, 2013), un testo contenente domande e risposte alle obiezioni più comuni sulla fede.
Toccanti, in proposito, sono le parole di don Angelo Sceppacerca, che conosceva la donna – la quale sul web teneva un diario e le cui ultime righe sono di gioia per una mucca acquistata in grado di assicurare latte ai piccoli keniani dell’orfanotrofio – e che ieri la ricordava così:
«Oggi inizia l’Avvento, il tempo di attesa del Natale. In un’altra scuola di bambini – dove non manca il latte, perché nell’interland milanese, mancherà il presepe, i canti natalizi, il crocifisso. Vorrei suggerire a quelle famiglie di mettere almeno la foto sorridente di Rita e, sotto, la spiegazione: la Fede è questo amore. Solo che per capire come è possibile un amore che ti porta in quei luoghi a rischio della vita, ci serve proprio un crocifisso. Non lo possiamo rimuovere».
E neppure l’esempio di Rita Fossaceca sarà rimosso. Anche perché testimonia come, mentre da noi sempre più spesso ci si azzarda a rimuovere il Crocifisso, in giro per il mondo vi sia ancora chi, operando nel silenzio e senza bramare notorietà, lo tiene al centro di tutto.
Giuliano Guzzo
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