Era il 12 aprile 1846, giorno di Pasqua, quando i ragazzi e don Bosco...
del 08 gennaio 2007 
 
   
Dio mandò un ometto balbuziente Arrivò l'ultima domenica in cui potevo radunare l'Oratorio sul prato. Era il 5 aprile 1846, la domenica prima di Pasqua. Non avevo detto niente a nessuno, tutti però sapevano che ero nei guai.
La sera di quel giorno fissai a lungo la moltitudine dei ra­gazzi che giocavano. Era la « messe abbondante » del Signore. Ma operai non ce n'erano. C'ero io solo, operaio sfinito, con la salute malandata. Avrei ancora potuto radunare i miei ra­gazzi? Dove?
Mi ritirai in disparte, cominciai a passeggiare da solo, e mi misi a piangere. « Mio Dio - esclamai - perché non mi indi­cate il luogo dove portare l'Oratorio? Fatemi capire dov'è, op­pure ditemi cosa devo fare».
Avevo appena detto queste parole, quando arrivò un certo Pancrazio Soave, che balbettando mi disse:
- È vero che lei cerca un luogo per fare un laboratorio? - Non un laboratorio, ma un oratorio.
- Non so che differenza ci sia. Ad ogni modo il posto c'è. Venga a vederlo. E’ proprietà del signor Francesco Pinardi, persona onesta. Venga e farà un buon contratto.
 
 
Una scala e un balcone di legno tarlato Arrivava proprio in quel momento don Pietro Merla, mio compagno fin dal seminario, fondatore dell'opera pia chiama­ta Famiglia di S. Pietro. Era un prete molto bravo. Aveva fon­dato un'opera per aiutare le donne che erano state in carcere, e che proprio per questo non riuscivano a trovare un lavoro per guadagnarsi il pane. Quando don Merla aveva mezz'ora di tempo libero, correva a darmi una mano nell'assistere i giovani. Appena mi vide esclamò:
- Cos'hai? Non t'ho mai visto così malinconico. È capita­ta una disgrazia?
- Non è ancora capitata, ma sta per capitare. Oggi è l'ulti­mo giorno in cui mi permettono di usare questo prato per l'O­ratorio. Fra due ore è notte e devo mandare a casa i ragazzi,
e non so dove dare l'appuntamento per domenica prossima. C'è qui un amico che mi stava parlando di un luogo forse utilizza­bile. Sostituiscimi un momento nell'assistere i ragazzi. Io vado a vedere e torno subito.
Accompagnato da Pancrazio Soave, arrivai davanti a una casupola a un solo piano, con scala e balcone di legno tarlato. Attorno c'erano orti, prati, campi. Stavo per salire su per la scala, quando il signor Pinardi mi disse:
- No. Il luogo per lei è qui dietro.
Una lunga tettoia
Era una lunga tettoia (metri 15 per 6) che da un lato si ap­poggiava al muro della casa, dall'altro scendeva fino a un me­tro da terra. Poteva servire da magazzino o da legnaia, non per altro. Ci sono entrato a testa bassa, per non picchiare contro il tetto.
- Troppo bassa, non mi serve - dissi.
- La farò aggiustare come vuole - rispose cortesemente il Pinardi. - Scaverò, farò gradini, cambierò pavimento. Ma ci tengo che faccia qui il suo laboratorio.
- Non un laboratorio, ma un oratorio, una piccola chiesa per radunare dei ragazzi.
- Meglio ancora. Io sono un cantore e verrò a darle una mano. Porterò due sedie: una per me e una per mia moglie. E poi in casa ho una lampada: la porterò qui. Su, facciamo que­sto contratto.
Quel brav'uomo era veramente contento di avere una chie­sa in casa sua.
- Mio caro amico - gli dissi - la ringrazio della sua buo­na volontà. Se mi garantisce che abbasserà il terreno di 50 cen­timetri, posso accettare. Ma quanto vuole d'affitto?
- Trecento lire. Mi vogliono dare di più, ma preferisco af­fittare a un prete, specialmente se vuol fare una chiesa.
- Di lire gliene do trecentoventi, a patto che mi affitti an­che la striscia di terra che corre intorno alla tettoia, per farvi giocare i ragazzi. Deve però darmi la sua parola che potrò ve­nirci coi miei ragazzi già domenica prossima.
- D'accordo. Contratto concluso. Domenica venga pure: sarà tutto a posto.
  L'ultimo Rosario sull'erba Tornai di corsa dai giovani, li raccolsi attorno a me e mi misi a gridare:
- Allegri, figli miei! Abbiamo l'Oratorio dal quale più nes­suno ci manderà via. Avremo chiesa, scuole e cortile per salta­re e giocare. Domenica, domenica ci andremo. E’ la, in casa di Francesco Pinardi! - E con la mano indicai il luogo.
Le mie parole furono accolte da un entusiasmo indescrivi­bile. Chi correva, chi saltava di gioia, chi rimaneva immobile come una statua per lo stupore, chi gridava, chi esultava.
Avevamo dentro un grande piacere, e non sapevamo come esprimerlo. La Santa Vergine, che quel mattino eravamo anda­ti a pregare a Madonna di Campagna, ci aveva ascoltato. Per ringraziarla, ci siamo inginocchiati sull'erba per l'ultima volta, e abbiamo recitato il Rosario. Dopo, ognuno partì per casa. Abbiamo dato così l'ultimo saluto al nostro prato, senza rin­crescimento perché ci aspettava un posto migliore.
La domenica seguente era Pasqua. Trasportammo verso la tettoia Pinardi le panche, i quadri, i candelieri, le bocce, i tram­poli, la tromba e il tamburo. Andavamo a prendere possesso della nostra casa.
 
 
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