La triste moda del binge drinking realizza il "sogno" di Eliot

Quando la sera nella Londra opulenta e insonne si vedono aggirare questi branchi di ragazzi barcollanti che si appoggiano a vicenda, vengono in mente gli Hollow Men (uomini vuoti) di quel genio profetico che fu Thomas Stearns Eliot, e l'incipit dell'opera che porta proprio quel titolo: «Siamo gli uomini vuoti/siamo gli uomini impagliati/che appoggiano l'un l'altro/la testa piena di paglia. Ahimè!»

La triste moda del binge drinking realizza il 'sogno' di Eliot

da Attualità

del 01 maggio 2010

 

 

          Lo chiamano binge drinking. Non è traducibile in italiano semplicemente con “sbornia”, “ciuca” o “sbronza”. È qualcosa di più. Si tratta di bere ripetutamente in modo compulsivo, col deliberato intento di stordirsi e perdere i sensi. Un modo di bere consecutivo e rapido, ossia senza sorseggiare, ma trangugiando l’alcol tutto d’un fiato fino a stramazzare.          In Gran Bretagna sta diventando, tra giovani, una vera e propria piaga sociale, soprattutto per quanto riguarda le ragazze. È per questo che Julia Hodson, Capo della Polizia di Nottingham, ha voluto reagire. Ha denunciato alle autorità comunali il degrado umano cui sono ridotti i binge drinker e in particolare come questo fenomeno «privi le donne di tutta la loro dignità».          Per apparire più convincente il Chief Constable (questo è il grado della Hodson) un sabato sera ha caricato in macchina due dirigenti comunali e li ha portati in giro per il centro di Nottingham. Durante quell’inconsueto “night touring”, la Hodson ha portato i funzionari a visitare anche il Pronto Soccorso del Queen’s Medical Centre, affinché si rendessero conto della situazione. «Non c’è niente di più triste - ha spiegato la dirigente di polizia dopo il tour notturno - che vedere arrivare al Pronto Soccorso una ragazza chinata a vomitare, con un elegante abito da sera ma con la propria dignità perduta al bar».          La coraggiosa Chief Constable di Nottingham ha lanciato un grido di allarme sul fenomeno invitando tutti a reagire. La politica, come era prevedibile, si è fatta sentire. Settimana scorsa, laburisti e conservatori hanno dichiarato alla nazione di avere entrambi la ricetta magica per risolvere il problema del binge drinking. I laburisti vogliono vietare ogni forma di promozione “irresponsabile” degli alcoolici, mentre i conservatori intenderebbero aumentare le tasse sulle bevande alcoliche.          Dura la reazione del Prof. Roger Williams della University College Hospital, che da anni si occupa del fenomeno, il quale ha criticato entrambi i partiti per aver strumentalizzato politicamente il problema, senza avere la minima idea di come porre seriamente fine a questo incubo. Il Prof. Williams, peraltro, da tempo è critico nei confronti delle leggi attualmente vigenti che consentono la possibilità di bere alcolici 24 ore su 24.

          Questa misura, secondo lo studioso, è stata adottata sulla base di un’astrazione ideologica e non sull’esperienza della realtà. «Il governo - sostiene Williams - ha preteso di introdurre l’idea dell’orario continuato di aperture dei pub per creare anche in Gran Bretagna una più rilassante “cultura del caffè” (cafe culture) sul modello continentale». «Ma questa idea - continua lo studioso - è sempre stata un utopico nonsense. Noi non abbiamo né il clima né la tradizione per quella che viene definita una “cafe culture”».          La legge sull’orario di apertura continuata (24h) dei locali che offrono alcolici, peraltro, è stata introdotta dal governo laburista con la Licesing Act del 2003. Uno dei tanti lasciti infelici di Tony Blair. Anche da noi in Italia il fenomeno del binge drinking sta preoccupantemente prendendo piede soprattutto tra i giovani.          I dati ufficiali trasmessi dall’Istituto Superiore della Sanità delineano uno scenario davvero inquietante: più di 700mila adolescenti al di sotto dei sedici anni in Italia consumano alcoolici. Di questo esercito di giovani, il 74% beve principalmente il sabato sera (e lo fa anche il 67% dei ragazzini tra i 13 e i 15 anni), mentre il 20% di loro è già dedito al binge drinking, circostanza, quest’ultima, che ha determinato un incremento del 70% del numero di ricoveri al pronto soccorso di adolescenti storditi dall’alcool.          Mi ha impressionato la motivazione data dalla stragrande maggioranza dei ragazzi dediti a questo triste fenomeno: la noia. Un angosciante comune denominatore che non conosce latitudini, differenze di culture, tradizioni, lingue, storia. Un malessere interiore capace di legare un ragazzo di Seattle a un coetaneo di Crotone, un adolescente di Glasgow a un giovane di Siviglia. E mai come in questo caso gli effetti devastanti della risposta sbagliata (binge drinking) a quel malessere ricordano la definizione che don Giussani dava della noia come «anticamera della morte».          Ciò che intristisce di più è il fatto che in questa trappola diabolica finiscano proprio i giovani, proprio loro che sono chiamati a vivere un’età che si apre alla vita, l’età dei grandi ideali, la stagione dell’amore sincero e oblativo.          Quando non si hanno più maestri che indichino uno scopo ultimo per cui valga la pena vivere, allora è proprio la noia la pietra d’inciampo, il fattore che determina il cedimento alla tentazione di esperienze illusorie e tragiche. È il vuoto, l’assenza di significato che porta i giovani alla resa di fronte alla vita e li immette in una strada senza sbocco. Ed è per questa assenza che troppi ragazzi, attraverso la scorciatoia dell’alcool, barattano la gioiosa e piena maturazione dei loro anni con una triste e precoce senescenza.

          In Gran Bretagna il fenomeno del binge drinking oltre a essere una piaga sociale, sta anche rendendo ancora più difficile ogni forma possibile d’integrazione etnica e culturale nel Regno Unito. Da una parte ci sono i giovani musulmani, che non bevono alcoolici non solo per rispetto del Corano, ma anche per una forma di manifestazione identitaria, dall’altra parte ci sono i giovani britannici completamente storditi dal binge drinking, che non solo hanno perso il senso di appartenenza a una comunità, ma hanno pure smarrito il significato della propria esistenza personale.          Quando la sera nella Londra opulenta e insonne si vedono aggirare questi branchi di ragazzi barcollanti che si appoggiano a vicenda, vengono in mente gli Hollow Men (uomini vuoti) di quel genio profetico che fu Thomas Stearns Eliot, e l’incipit dell’opera che porta proprio quel titolo: «Siamo gli uomini vuoti / siamo gli uomini impagliati / che appoggiano l’un l’altro / la testa piena di paglia. Ahimè!». Che si stia realizzando la profezia di Eliot?

Gianfranco Amato

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