Una funzione essenziale della vera bellezza consiste nel comunicare all'uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione.
del 01 dicembre 2009
 
 
Non so se il mio amico pittore Bill Congdon - sia quando era all’apice della notorietà a New York, sia quando viveva gli ultimi fecondissimi anni della sua parabola artistica ritirato nella bassa milanese - sarebbe andato all’incontro degli artisti col Papa nella cappella Sistina.
 
 
 
 
Era molto schivo. Il discorso di Benedetto XVI però sono sicuro che lo avrebbe letto con devota attenzione. Immagino di entrare nel suo studio proprio nel momento in cui ha finito di meditarlo. Mi legge questo passaggio: «Una funzione essenziale della vera bellezza consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, spingendolo verso l’alto».
 
Proprio mentre sto per chiedergli come mai questa frase lo abbia così colpito, Bill mi anticipa e dice: «Questa immagine della freccia che ferisce è proprio giusta. Troppi oggi, sia tra coloro che si credono artisti sia tra quelli che l’arte la guardano, l’ascoltano, la leggono, pensano che la bellezza sia una cosetta semplice semplice, un giochino scaltro, una consolazione a buon mercato. Io, invece, l’ho sempre vissuta come uno squassamento».
 
Squassamento? «Ma sì, la bellezza è una cosa che non ti lascia in pace, è come uno strattone che ti tira fuori dalla banalità in cui ti rifugi per non pensare. È un taglio che rivela l’immensità del tuo desiderio. È la ferita di domande grandiose: Cosa sono, veramente, le cose? E dove vanno a finire? Nel nulla? Oppure ogni piccolo aspetto di ciò che esiste è una finestra che spalanca su un oltre? È una vita che tengo aperta questa ferita. Ogni quadro è accettare la sfida di andare oltre l’apparenza per cogliere la verità di quel che c’è».
 
Ma perché chiami questo “squassamento”? «Perché io non sono il padrone della realtà. Nessun uomo è il padrone della realtà. Semplicemente la riceviamo in dono. Quando ce ne dimentichiamo, accade quello che ha detto il Papa: la bellezza diventa “ipocrita”, pura maschera di una “volontà di potere”. Per non strozzare tutto dobbiamo tirare indietro le mani. E questo ti squassa».
 
L’immagine della bellezza che ferisce - e ferisce chiunque, non solo l’artista come Congdon - è costante nel pensiero di Ratzinger. Nel suo messaggio per il Meeting di Rimini del 2002 aveva scritto: «La bellezza ferisce, ma proprio così essa richiama l’uomo al suo Destino ultimo». E, celebrandone i funerali, ha descritto don Giussani come «toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza».
 
Sempre quel verbo: ferire. Sembra un accento negativo, ma è l’unica possibilità per evitare di ridurre la bellezza ad estetismo, che fugge dal tanto brutto che c’è nella vita. Infatti, scriveva ancora Ratzinger al Meeting, «un concetto puramente armonioso di bellezza non è sufficiente»; ciò di cui abbiamo bisogno è la paradossale bellezza di Chi, nello stesso tempo, ha un volto «sfigurato dal dolore» ed è «il più bello tra i figli dell’uomo».
 
Pigi Colognesi
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