«La vera libertà non consiste mai nel rifiuto del vincolo, ma nella sua accettazione»...
La libertà è il cuore dei problemi della modernità. L’ossessione sui nuovi diritti, ad esempio, nasce dall’esasperazione e dalla frustrazione dell’uomo moderno. Ci illudiamo, infatti, che soddisfacendo un desiderio -dopo la sua trasformazione in diritto-, ci si possa sentirsi, finalmente, liberi. L’esistenza degli uomini è un affannoso continuo tentare di soddisfare i propri desideri, perché la soddisfazione di un desiderio genera una temporanea sensazione di libertà, di compimento.
Tutta la nostra esistenza si basa su questa illusione: la bambola o la macchinina nuova quando siamo piccoli, il motorino da adolescenti, il lavoro per cui abbiamo studiato, il conto in banca, la moglie, l’amante, l’allontanamento dalla moglie, la macchina nuova, i muscoli in palestra: è un continuo cercare una situazione migliore della precedente, che possa finalmente compierci davvero, liberarci. Si, ma liberi da cosa?, chiede giustamente Vasco Rossi in Liberi, liberi. Onnipresente è anche la definizione di libertà come assenza di legami, lontani da tutto e tutti o, addirittura, credere che la libertà sia poter fare qualunque cosa, quel che ci pare e piace. Persiste anche la confusione tra libertà e libero arbitrio, o tra libertà e autonomia.
Perché non siamo mai liberi davvero? Lo ha spiegato il teologo don Luigi Giussani, che ammiriamo molto: «L’ Io è rapporto con l’Infinito, tutta la dinamica, tutto il dinamismo dell’io si svolge e tende ad una perfezione, cioè ad un compimento di sé, che in tutto quello che raggiungi non c’è mai». Per adesso segniamo così, prosegue don Giussani: «Dio (∞) è l’estremo limite a cui il desiderio dell’uomo tende. La libertà è tanto più grande quanto più si avvicina a ∞. Anzi, la libertà è il rapporto con ∞, la libertà avverrà, non c’è ancora. La libertà è il rapporto con l’infinito, con Dio, il rapporto realizzato con il Mistero. Sarà completa solo qui: ∞». Ora è «incompleta, cioè imperfetta: noi viviamo la libertà allo stato imperfetto» (L. Giussani, Si può vivere così?, Rizzoli 2007, p.73-94).
La libertà non c’entra nulla, dunque, con la possibilità di scegliere, quello è il libero arbitrio. Anzi, «la capacità di scelta è propria di una libertà in cammino, non di una libertà compiuta. La scelta non appartiene alla definizione della libertà: la libertà è soddisfazione totale. L’errore, la possibilità dell’errore nello scegliere, appartiene a una libertà che non è ancora libertà, che non è ancora libertà, che non ha raggiunto la soddisfazione totale. La libertà di scelta non è la libertà: è una libertà imperfetta. Perché la libertà sarà compiuta, piena, quando sarà di fronte al suo oggetto che la soddisfa totalmente: allora sarà totalmente libera, totalmente libertà».
La libertà la si gode, dunque, solo se si è paradossalmente legati in un rapporto, con Dio. Si è più liberi in proporzione al legame con Lui. E’ sorprendente, allora, che questo sia intuito, in maniera assolutamente laica, anche dal noto psicoterapeuta Massimo Recalcati, che seguiamo sempre con interesse: «La sua concezione della libertà resta adolescenziale perché rifiuta ogni limite», ha scritto commento il problema dell’anoressia, «in questo modo, essa si rovescia nel suo contrario: per liberarsi dalla prigione del corpo essa diviene schiava del proprio corpo.L’ideale di una indipendenza assoluta —al quale vanamente si dedicano i suoi sforzi — si ribalta, come spesso accade nell’adolescenza patologica, in una dipendenza rovinosa. Non mangiare non libera dal cibo ma fa del cibo una vera e propria ossessione che occupa i pensieri dell’anoressica giorno e notte. In questo dobbiamo vedere un insegnamento profondo: la vera libertà non consiste mai nel rifiuto del vincolo, ma nella sua accettazione».
E’ un vincolo ciò che ci libera, è un legame, un rapporto che origina la vera libertà.
Recalcati non parla di Dio, ovviamente, ma descrive lo stesso concetto di libertà insegnata nel cristianesimo, un paradosso: l’unica vera libertà, cioè il compimento dell’Essere, è una dipendenza, la dipendenza da Dio. Per questo chi lo riconosce è dentro al mondo, ma non del mondo (secondo la bellissima definizione del popolo cristiano che troviamo nel vangelo di Giovanni, 17, 15-18). Ovvero, sa bene che la sua liberazione non arriverà dal mondo, dalle sue mode, dai suoi idoli. Più si approfondirà la dipendenza da Dio e più si percepirà un anticipo (il centuplo quaggiù, lo chiamano i vangeli) della libertà che tutti gusteremo Lassù, quando saremo faccia a faccia con Dio.
Insuperabili le parole di Benedetto XVI: «La donna samaritana può apparire come una rappresentante dell’uomo moderno, della vita moderna. Ha avuto cinque mariti e convive con un altro uomo. Faceva ampio uso della sua libertà e tuttavia non diventava più libera, anzi diventava più vuota. Ma vediamo anche che in questa donna era vivo un grande desiderio di trovare la vera felicità, la vera gioia. Per questo era sempre inquieta e si allontanava sempre di più dalla vera felicità. Tutti, come questa donna del Vangelo, sono in cammino per essere totalmente liberi, per trovare la piena libertà e per trovare in essa la gioia piena; ma spesso si ritrovano sulla strada sbagliata. Possano costoro, tramite la luce del Signore e la nostra cooperazione con il Signore, scoprire che la vera libertà viene dall’incontro con la Verità che è l’amore e la gioia»
Redazione UCCR
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