'La vita è un dono'Ambiguità e dramma in 2 atti!!! da Giovani per i Giovani

Proprio le affermazioni che appaiono scontate, nascondono al loro interno delle ambiguità. Siamo al secondo atto del Dramma: la vita è un dono? Siamo capaci di fare della nostra vita un dono? Perchè questo Dramma non si trasformi in una Tragedia, incapacità radicale di rendere vita questa semplice frase, abbiamo bisogno di occhi nuovi dati da un Altro.

'La vita è un dono'Ambiguità e dramma in 2 atti!!! da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 26 gennaio 2007

Un (secondo) frammento. Babbo Natale non esiste?

 

Giovedì scorso, a catechismo, una scena tristissima. Un bimbo di quinta elementare, biondino, bellino, ciuffettino, carino… ariano, si rivolge con fare brusco alla sua giovane catechista e, a nome di tutta la “classe” (gli “ariani” parlano sempre a nome di tutta la classe!), le dice: “Tanto noi sappiamo che Babbo Natale non esiste! L’ha inventato la Coca Cola per fare la pubblicità. Però non dobbiamo dirlo ai nostri genitori, che lo sappiamo che sono loro a portarci i regali! Così ce li portano ancora. Quelli di quarta sono ancora piccoli, ci credono ancora, a Babbo Natale”! Ebbene sì, ci stiamo riuscendo. La nostra cultura, il nostro mondo ci sta riuscendo. Con movimenti impercettibili, ma ormai visibilmente, stiamo arrivando ai nostri “cuccioli”, li stiamo educando, stiamo riuscendo ad abbassare fin nei nostri “piccoli” il tasso di “illusione”, di incanto, di desideri. Li stimo allattando di disincanto, di cinismo: “consapevolezza della realtà”, la chiamiamo così. Be’, bravi, intelligenti, i nostri ragazzi no? già a 10 anni hanno “capito” tutto, che Babbo Natale sono il papà e la mamma (quello che per noi a lungo rimaneva un tabù, una “magia”, un sospetto forse… e poi ci dispiaceva un po’, c’era la curiosità, gli appostamenti, ma anche la speranza che, chissà, forse ci sbagliamo e Babbo Natale un 25 dicembre, prima o poi, magari, lo incontriamo davvero!). E poi perché non condire questa “consapevolezza” con un po’ di “opportunismo”: se ci tengono tanto a ‘sta messa in scena, accontentiamoli. Facciamo finta di crederci, così sono contenti. A noi bastano i “regali”.

 

 

L’hometto sapiens sapiens “educato” a non vedere più nulla come “dono”

 

A 10 anni, uno ha già sfogliato i voluminosi e numerosi sussidiari delle elementari quelli modellati su Piero Angela, quelli dove “noi discendiamo dalle scimmie”, quelle dove noi siamo un fascio d’istinti evoluti…, quelli dove c’è l’imperatore Tiberio, ma non c’è traccia della nascita di Gesù di Nazareth e della sua storia terrena! Dico: pazienza per Babbo Natale, ma per Gesù di Nazareth bisogna fare davvero i salti mortali per non menzionarne l’anno di nascita, anche perché per secoli ha spaccato gli anni in due, a.C. e d.C.); uno, a 10 anni, ha già visto “dentro” le interiora umane, sa che si possono operare, sa che l’età media di una donna è superiore a quella di un uomo, ma che ad entrambi non va poi così male perché la morte l’abbiamo buttata molto avanti nel tempo, e stiamo lavorando per debellarla completamente; uno, a 10 anni, sa che i bimbi non nascono sotto i cavoli, non li porta la cicogna e sa tutto su Fallopio. Che “mistero”, che “dono”?!

 A 10 anni ti prepari insomma ad essere un hometto sapiens e tecnologicus, che viene informato di molte cose, Cdrom e DVD per sapere molte cose, prima possibile, e molto più dei suoi genitori, che ottiene gli obiettivi che si prefigge, subito o il prima possibile, che vende e commercia per guadagnare, per “star bene”, per “godere”. E gli altri (genitori, fratelli, figli, conoscenti, Stato, amici) fanno da “contorno”: amici se e finché “stanno con te”, finché “stanno dalla tua” e “ti fanno star bene”; poi avversari, al più, sconosciuti di cui diffidare, tenere a debita distanza, non si sa mai! Dunque, Babbo Natale non esiste! (e speriamo di non dare cattive notizie a nessuno di voi, adulti e spregiudicati lettori) L’idea che ci sia una persona che esce da questa logica di “conoscenza tecnologica, mercato e godimento” è oscena (cioè, letteralmente “fuori dalla scena”, buttata fuori scena): l’idea di uno che fa “doni” senza chiedere contraccambio di nessun tipo (o anzi, quello che tu sia più buono con gli altri!!), che “sparisce” e non si fa vedere, insomma totalmente invisibile, perché non ti venga nemmeno in mente di dare tu qualcosa a lui, è “tenerissima”, ma da allontanare al più presto, e in quinta elementare  può andare bene. (Anche se qualche adulto ci rimane male: peccato! alla loro età io ci credevo ancora). Ma, appunto, nessuno è Babbo Natale. I babbi natale non esistono, e nessuno fa mai come “lui”. E quelli che chiamiamo “doni” una volta, dati, consegnati, “scartati” (appunto!), restano lì, a ricordare che chi li ha fatti… si aspetta il contraccambio. Non volano via, come farfalle. Do ut des. Piccoli commerci (anche affettivi, anche psicologici), piccoli ricatti, a questo siamo condannati. “L’inferno è lo sguardo dell’altro”, dice Sartre. Questa la vita, altro che dono! Dunque, diciamo: siamo egoisti, cattivi, ognuno deve pensare a se stesso, a realizzarsi.

 

 

Magnificamente drammatico: il “dono” del Signore

 

…ma almeno bisognerà dire al nostro little sapiens sapiens che Babbo Natale non l’ha inventato la Coca Cola, ma che nasce rigoglioso e paffutello dalla tradizione cristiana, che l’abito rosso porpora, il cappello a punta, la pelliccia di ermellino… sono la stilizzazione di un abito da vescovo, e che Santa Klaus altri non è che san Nicola, vescovo appunto, uomo “buono” ma “buono” ma talmente buono da far diventare la sua bontà “leggendaria”! E la bontà, da sempre, e in maniera singolarissima nel cristianesimo, ha a che fare con il saper ricevere, e saper fare dono, dono di sé. In fondo Santa Klaus, come ogni buon discepolo di Gesù di Nazareth, ha imparato tutto da Lui. Dalle sue “passioni”! Preparare il presepio, preparare una letterina (con i tuoi sogni, e cerca di non chiedere troppo, ma ciò che davvero è essenziale), preparare il cuore ad essere “più buono” – se no non arriva niente, perché appunto, se non sei più buono, non sei pronto a ricevere e vedere una cosa come “dono”! – ricorda che il “dono” viene da un “altro” che pensa a te, che ti vuole bene, ma non vuole che tu lo veda, e che tu lo ricambi, perché comunque non ci riusciresti a ricambiarlo… Bisognerà pur riconoscere nel sapiente intreccio di fiaba e rito una pedagogia che ci educa al mistero, alla gratuità, all’apprezzamento della vita, che avviene quando La riceviamo e la custodiamo com’essa è e parla, come “dono” offerto alla nostra attesa, che fa più grande e capiente il nostro cuore perché noi possiamo “ben” riceverlo. Viceversa, diseducato al saper aspettare, il cuore dell’uomo, fin da “cucciolo”, diventa rapace, violento, pretenzioso. Mal-educato, cioè ingrato.

 

La realtà (persone, affetti, corpi, cose, opportunità…) ci viene incontro, ci viene “data”, e noi percepiamo che ci sono delle realtà che “vivono bene” solo se vivono come dono. Ogni altra modalità la percepiamo come un tradimento di ciò che esse “dovrebbero” essere, o di come dovrebbero essere vissute: l’intesa e l’intimità sessuale e la loro prostituzione per denaro; il tempo e l’ascolto della confessione di sé (che presuppone intesa e fiducia) e l’acquisto e la vendita che se ne fa nelle varie “consulenze”; la compagnia e l’aiuto (di anziani e disabili) e la mercificazione nell’accompagnamento domestico. Il dono che sparisce come una farfalla è troppo aleatorio. Il dono “in pura perdita” non esiste. Eppure, il nostro cuore sa distinguere ciò che vive come dono e cosa no. E ciò che vivo come dono lo riconosco per la caratteristica che produce un certo di tipo di legame: un legame che lascia libero il contraccambio, pur sperandolo tanto; pur desiderando il riconoscimento affettuoso e affettivo del libero legame che, proprio attraverso il dono, chi dona chiede di instaurare e affida fiduciosamente alla libera risposta di chi riceve. Il Signore viene a sancire la verità e bontà di questa realtà, a spingerci a guardare con questi occhi, a portare, ad instaurare una solida “spaccatura”, ha innestare una “forza” contraria, capace di azzardare continui colpi di mano per risalire la corrente del “mero godimento” (l’amore dei nemici, il distacco da ogni ricchezza, la separazione degli affetti di sangue!): perché la vita si “schiude” e parla davvero solo quando la si pensa, la si vive, la si riceve come un dono.

 

 

Le “passioni” del Signore e le nostre (con tante paure).

Quando non si onora questa “realtà” della realtà (persone, affetti, corpi, cose, opportunità…) succede letteralmente il finimondo. La cultura che non interpreta più la vita come “dono” finisce per ritenerlo un’esperienza impossibile, o addirittura la violenta. La perverte nei suoi significati fondamentali.

Esiste così una cultura che ha cominciato ad aver paura della nostra capacità di vita. Ci si preserva, infatti, da ciò che si teme possa rovinare, imbrattare, appesantire, infastidire. Noi ci preserviamo dalla nostra capacità di creare vita! La nostra è una cultura che ci manda in classe gli “esperti” di sessuologia ad insegnarci, ad educarci ad una corretta e preventiva sessualità. Veniamo educati a temere la vita che germoglia, l’arrivo di un bimbo: troppo giovani, troppo poveri, troppo precari. Sempre troppo prematuri. L’aborto  non è un omicidio, è la possibilità di continuare una vita, la mia, che voglio ancora senza il “peso”, l’onere, il fastidio della vita che da me genera.

Le nostre “nonne” si tolgono lo sfizio della maternità, lo sfizio di dare ad un figlio almeno un paio di nonne. Probabilmente senza padri grazie alle nuove tecnologie della fecondazione assistita): la madre si tutela dal “fardello”, dal fastidio, dall’ingombro di un rapporto di cui lei (!!) può fare a meno.

Riconosciamo il “diritto” a togliersi di mezzo a chi di noi non è più produttivo come unico senso della sofferenza (eutanasia), invece di assumerci il compito di accompagnarlo dentro ciò che la sofferenza insegna sulla vita, il suo senso, il suo valore, la sua promessa: l’incontro con Dio. Questi discorsi anzi li percepisce inopportuni, patetici, quando non sadici, crudeli, “indegni di Dio” con il Quale, dunque, non merita averci a che fare (o quantomeno… con la Sua “chiesa”!).

Don Vincenzo Salerno

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