Lampedusa e il silenzio dell'Occidente sull'Eritrea

Dietro migliaia di migranti in fuga c'è la dittatura di Isaias Afewerki, che dal 1993 sta vessando il Paese, nell'indifferenza dei più importanti governi democratici.

Lampedusa e il silenzio dell'Occidente sull'Eritrea

 

Il meccanismo è purtroppo ben noto: i riflettori sul rispetto dei diritti umani in un determinato Paese si accendono a intermittenza. Si preferisce lasciarli spenti quando i leader sono utili partner commerciali o alleati strategici, salvo poi accenderli all'improvviso, facendo strabordare l'indignazione per il «Satana» di turno contro il quale si è deciso di fare una guerra. La storia recente ce lo insegna: gli alleati di ieri si scoprono all'improvviso irriducibili avversari, com'è accaduto con Saddam, con Gheddafi e ora con Assad. Tra coloro che godono di un prezioso cono d'ombra e del silenzio dei governi democratici occidentali c'è il dittatore eritreo Isaias Afewerki.  C'è lui, e ci sono le tremende condizioni di vita a cui è sottoposto il suo popolo, dietro molti degli sbarchi di immigrati, compresi quelli che hanno perso la vita al largo delle coste di Lampedusa, nella carretta del mare trasformatasi in tomba: erano quasi tutti eritrei.

A ricordare con un po' di sano realismo quanto sta accadendo - vale a dire la giusta indignazione per l'ennesima strage del mare ma al tempo stesso il silenzio assordante sulle responsabilità di chi affama i popoli nei Paesi da cui provengono i migranti, è il sito web «Il Sismografo», curato dal giornalista della Radio Vaticana  Luis Badilla.

«In questi giorni in molti luoghi istituzionali dell'Europa - scrive Badilla - si sono ricordati le vittime con "un minuto di silenzio" (... magari, verrebbe da dire, da aggiungere a molti anni di silenzio). Se ne continuerà a parlare ed è buono, giusto e necessario che così sia. Pochi, anzi quasi nessuno, almeno fino ad ora, ha però ricordato con forza e coraggio che dietro alla parola "Lampedusa" se ne nasconde un'altra: "Eritrea", un campo di concentramento a cielo aperto da molti decenni... Il dittatore di questa piccola nazione del Corno d'Africa, Isaias Afewerki, è al potere - che esercita e controlla con ogni mezzo, in particolare con quelli condannati nella Dichiarazione Universale dei Diriti dell'uomo, da 40 anni, prima come leader indiscusso e spietato del Fronte di Liberazione dell'Eritrea (Flp) e poi, dal 1993, come Capo dello Stato e del governo».

«Oltre 5 milioni di eritrei sono i suoi ostaggi - continua Badilla - e lo sono spesso coloro che sono riusciti a fuggire e vivono in altri Paesi ma che per proteggere le loro famiglia rimaste in Eritrea, devono pagare il "pizzo" agli agenti consolari di Afewerki. Eppure questo signore, e la sua cricca... è amico di tutti i governi democratici più importanti: Stati Uniti, Europa Occidentale e Centro Orientale, dell'Africa e dell'Asia, che a seconda le meschine convenienze geopolitiche trovano in "lui" l'alleato del momento. Tutti tacciono. Nessun governo del mondo ha condannato il governo di Afewerki dopo i fatti di Lampedusa come invece, in passato, fecero con i governi di altri dittatori come Mubarak, Gheddafi o Ben Alì in circostanze simili. Dalla capitale eritrea, Asmara, in questi giorni non è arrivata neanche una parole di dolore o di cordoglio per la morte di oltre 300 figli di questa terra che volevano solo pane, tetto e alfabeto, ciò che insieme alla libertà, Afewerki nega sistematicamente dal 1993. Intanto i rappresentanti di Asmara, anche in questi gorni, dopo la tragedia di Lampedusa, vengono accolti da Comune e Regioni, italiane ed europee, come ospiti di "onore"».

Così Amnesty International cinque anni fa descriveva la situazione del Paese: «Il governo ha vietato i giornali indipendenti, i partiti di opposizione, le organizzazioni religiose non registrate e di fatto qualsiasi attività della società civile. All'incirca 1.200 richiedenti asilo eritrei rimpatriati forzatamente dall'Egitto e da altri Paesi sono stati detenuti al loro arrivo in Eritrea. Analogamente, migliaia tra prigionieri di coscienza e prigionieri politici sono rimasti in detenzione dopo anni trascorsi in carcere. Le condizioni delle prigioni sono risultate pessime. Coloro che venivano percepiti come dissidenti, disertori e quanti avevano eluso la leva militare obbligatoria, o altri che avevano criticato il governo sono stati, assieme alle loro famiglie, sottoposti a punizioni e vessazioni. Il governo ha reagito in modo perentorio contro qualsiasi critica in materia di diritti umani».

Una vergogna nella vergogna riguarda la situazione dei cristiani, vessati prima in quanto eritrei, e poi a causa della loro fede. La Santa Sede, per cercare di proteggere le popolazioni, privilegia la via della prudenza nelle dichiarazioni pubbliche (con lo stesso realismo usato a suo tempo con nazismo e regimi comunisti, atteggiamento considerato controverso e contestato nel primo caso, generalmente apprezzato nel secondo). La tragedia di Lampedusa potrebbe essere l'occasione per cominciare ad aprire gli occhi su questa realtà dimenticata.

 

 

Andrea Tornielli

http://www.vaticaninsider.lastampa.it

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