Cinquantacinque giorni di emergenza, migliaia d'immigrati, decine di sacerdoti, religiosi e laici giunti in soccorso, un popolo che ha fatto a gara per aiutarli. Volontari, instancabili e felici, che hanno vissuto il Vangelo alla lettera! Pazzi. E fanno paura! Conosciamoli attraverso cinque domande che poniamo sulla loro "pazzia evangelica".
del 11 aprile 2011
 
          Cinquantacinque giorni di emergenza, migliaia d'immigrati, decine di sacerdoti, religiosi e laici giunti in soccorso, un popolo che ha fatto a gara per aiutarli e, poi, loro, i volontari, instancabili e felici, che hanno vissuto il Vangelo alla lettera, guidati dal parroco di Lampedusa, don Stefano Nastasi, dal viceparroco, padre Vincent Mwagala, e da Dario Morreale, che sarà ordinato diacono a maggio ed è stato mandato dal vescovo a prestare il suo servizio nell'isola.
          Pazzi. E fanno paura... Sì, come ogni volta che s'incontrano persone come queste. Paura di quel riflesso divino. Pazzi di Dio. Pazzi come Damiano Sferlazzo, che una notte si mette a ridere quando gli chiedo se dobbiamo mettere i guanti per la distribuzione del tè caldo: come dire che dai fratelli non si va in quel modo. In questi giorni, in cui Dio ha deciso di prendere dimora a Lampedusa, loro sono stati strumenti di accoglienza, di soccorso e di misericordia, verso i fratelli sbarcati nell'isola di Porto Salvo.
Conosciamoli attraverso cinque domande che poniamo sulla loro 'pazzia evangelica'.
1) Come ha avuto inizio la tua esperienza qui, tra gli immigrati?
Loredana Maggiore: 'Cominciò il mercoledì delle Ceneri, con i primi sbarchi, quando conobbi Dario (futuro sacerdote, mandato a noi dal vescovo in supporto alla parrocchia). Con loro andai nei locali dell'Area Marina Protetta (sapevamo che erano sbarcati donne e bambini) e quel giorno portammo in ospedale una donna; lì, trovammo i due piani del pronto soccorso zeppi di altri immigrati stremati e ammalati dopo la traversata del mare. Scoprimmo che non avevano mangiato e andammo a prendere biscotti e latte e ci mettemmo a riscaldarlo nella cucina dell'ospedale per dare loro da mangiare'.
Damiano Sferlazzo: 'Fu in uno degli incontri di Cenacolo che padre Stefano ci chiese cosa ci volesse dire il Signore con questi sbarchi (mi riferisco a quelli degli anni precedenti); ricordo che gli risposi che era stata un'occasione mancata. Bene, dopo quell'incontro esplose la nuova ondata di arrivi, l'emergenza si fece forte e tutti iniziammo a darci da fare'.
Pilla Maraventano: 'Ci convocarono all'inizio in parrocchia per il bisogno di coperte e ci mettemmo a servizio, 'svaligiando' tutto e tutti, iniziando dall'armadio di mia madre (che ancora non sa che le ho tolto quasi tutto!). Fu una corsa della gente per portare roba alle prime persone giunte dalla Tunisia'.
Raimondo Sferlazzo: 'Mi vidi passare un ragazzo, Helmi, che mi chiese di un tabaccaio: lo feci salire in macchina, chiesi a mia moglie Renata delle sigarette, ma poi lo feci venire a casa per dargli delle coperte. Rimase a mangiare a casa, poi lo accompagnai nella tendopoli (nella 'collina della vergogna', ndr). La sera dopo si coricò nella mia casa'.
Enzo Riso: 'È stata Grazia, mia moglie, a dirmi di organizzarci e preparammo panini, tè e latte caldo: da quel giorno abbiamo iniziato a fare della nostra casa un laboratorio di cucina e di fraternità, incontrandoci con tante persone per preparare e, poi, distribuire'.
Franco Puccio: 'Mi ritrovai, un giorno, per fare un servizio in parrocchia: lì mi scattò qualcosa che ancora oggi non riesco a esprimere bene'.
 
2) Cosa hai fatto in questi giorni?
Loredana: 'Un servizio continuo: ci siamo assicurati che stessero bene. Ci dividevamo tra l'ospedale e i giovani che stavano di giorno davanti al municipio dove io lavoro (con la mia amica e collega Rosa li facevamo mangiare e lavare). 'Quanti figli ho!', diceva sempre sorridendo Rosa. Quanti rimproveri ci siamo presi ma era un'emergenza pazzesca'.
Damiano: 'La sera distribuivamo coperte (la notte, l'umidità nell'isola è terribile e questa gente dormiva all'aperto), bevande calde, panini, oppure li portavamo a casa, con mio fratello Raimondo, per farli lavare'.
Pilla: 'Selezionavamo in un magazzino l'abbigliamento da distribuire per poi darlo a loro, ma senza un atteggiamento di distanza. Prima, però, pregavamo'.
Raimondo: 'Con mia moglie caricavamo i loro cellulari, li facevamo lavare, davamo loro vestiti e li facevamo mangiare. A volte, loro portavano le patate per farsi preparare dei cibi cotti. Ci ringraziavano con delle torte e delle palme bellissime fatte da loro stessi'.
Enzo: 'Oltre a cucinare e dare vestiti, con Dario andavamo - di notte - nella tendopoli. Non sentivamo la stanchezza!'.
Franco: 'Ero sempre in mezzo alla strada, in un servizio continuo, facendo di tutto, credimi. Quando ero al lavoro, avevo la testa sempre rivolta a loro, poveri sfortunati'.
 
3) Cosa ti ha spinto a farlo?
Loredana: 'Non lo so, ma pi√π li aiutavamo, pi√π eravamo felici di farlo, nonostante qualcuno ci criticasse. Ma non riuscivamo a fermarci'.
Damiano: 'Pensai che era necessaria soprattutto una parola di conforto per ciascuno'.
Pilla: 'Incarnare il Vangelo: 'Ero forestiero...''.
Raimondo: 'Sentii forte che Ges√π mi avrebbe protetto anche dalle malattie di contagio. Ne ero certo e andai'.
Enzo: 'Senza la mano del Signore io non riesco a spiegare tutto questo. Guarda: alla fine è Lui che ci ha usati...'.
Franco: 'Una chiamata spontanea, vedendo la disperazione. Quando ero triste, ecco che mi squillava sempre il telefono: erano gli amici che mi cercavano per un S.O.S. e io partivo all'istante. Felice!'.
 
4) C'è un episodio che ti è rimasto impresso più degli altri?
Loredana: 'Taha, di sicuro! Un bravissimo ragazzo minorenne che spesso parlava in tv'.
Damiano: 'Finii di mangiare, una domenica, da mia madre e scesi per tornare a casa quando vidi sulla strada un ragazzo: gli portammo un panino con il tonno, ma lui guardava nel vuoto, ignorando il panino. Ci disse che voleva fare una doccia: era un bisogno di dignità. Allora lo portammo con noi e lui si mise a piangere'.
Pilla: 'Purtroppo è negativo: quando portammo un ragazzo alla Casa della Fraternità (una struttura parrocchiale, ndr) con la febbre altissima e vidi la freddezza degli addetti ai lavori... La notte non presi sonno'.
Raimondo: 'Quando ho accompagnato due ragazzi, Mohammed di 18 anni e Amza di 19, alla partenza, e nel saluto ci siamo messi a piangere'.
Enzo: 'Una sera, quando andammo in uno dei locali dove dormivano, vidi - tra tantissimi giovani nervosi - una coppia e un bambino, ancora bagnati dalla traversata. Lui faceva di tutto per preparare una 'cameretta' improvvisata e lei stava lì impaurita. Il sindaco, poi, li portò nel suo residence e una sera portammo loro il cous cous'.
Franco: 'Sì, quando Damiano mi disse: 'Tu li vai a pescare in strada e io li faccio lavare!'. Ma ogni volta era un modo per parlare e loro ci dicevano il loro nome, da dove venivano e la loro storia'.
 
5) Che sensazioni provi, adesso, che pare tutto finito?
Loredana: 'Sono felice perché mi sono resa utile, nonostante la stanchezza e il momento difficile'.
Damiano: 'Io... io sono felice' (mi guarda, sorride e si commuove).
Pilla: 'Mi mancano'.
Raimondo: 'Felice, sì, ma anche arrabbiato per Omar (un ragazzo rimasto nell'isola, per adesso): suo fratello e i suoi genitori non ne vogliono più sapere'.
Enzo: 'Domenica sera, uscendo dalla chiesa e non vedendoli, mi sono sentito morire, pensando al loro futuro'.
Franco: 'Provo un po' di angoscia. Qualcuno mi ha detto: 'Tu vuoi i tunisini sempre qui?!'. Come faccio a spiegare loro che ho visto Cristo nei loro volti?'.
 
          Insieme a loro, come non ricordare tutti gli altri che, per questione di tempo, non ho potuto ascoltare e mi scuso per questo. Non dimenticherò più la pazzia di Dario Morreale, che nel buio della tendopoli, tra i fuochi accesi e i volti tristi, li chiamava 'Khouya!', che in arabo significa 'fratello mio'.
          La collina della vergogna è diventata, come il Golgota, il luogo della follia, sì, ma di Chi ha spogliato se stesso per fare 'ricco' l'altro.
 
Alessandro Cordaro
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