Ora la voce a chi conosce la realtà. “Istintivamente ho provato indignazione verso l'articolo, per il modo in cui racconta un lavoro, quello nostro. Un lavoro che mette in gioco la nostra persona, in quanto lo strumento del nostro agire educativo è essenzialmente la relazione...
del 06 maggio 2011
 
 
          La Federazione SCS/CNOS, si unisce al CNCA nel denunciare l’articolo impreciso e a tratti diffamatorio pubblicato da Repubblica lo scorso venerdì 29 aprile dal titolo “Bambini in case famiglia. Business da un miliardo l’anno”.
          Il pezzo si spaccia come un’inchiesta ma dati a supporto non sono stati evidenziati da chi si fa portavoce di diritti infantili, generalizzando sulle strutture che accolgono i giovani e presentandole come lucrose. Sembra piuttosto il contrario: Bambini sfruttati per la stesura di un articolo.
          Sono reazioni di sconcerto e di rabbia quelle di responsabili, collaboratori, psicologi, delle strutture affiliate alla Federazione SCS/CNOS, che si sono sviluppate a caldo dopo la lettura dell’articolo.
          Queste persone dedicano tutti i giorni della loro vita ai bambini, ai ragazzi che in loro trovano figure di riferimento. Nei gesti e negli insegnamenti di chi si dedica veramente agli “altri” attraverso i fatti e dietro le quinte trovano l’affetto che la vita gli ha sottratto.
          Queste persone sono state offese e il loro lavoro è stato diffamato, un lavoro che nella maggior parte dei casi diventa una missione di vita, e quindi più nobile di molti altri.
Rosalinda responsabile di una casa famiglia a Giarre, in provincia di Catania dice:
          “Istintivamente ho provato indignazione verso l’articolo, per il modo in cui racconta un lavoro, quello nostro. Un lavoro che mette in gioco la nostra persona, in quanto lo strumento del nostro agire educativo è essenzialmente la relazione.
          Una regola che l’educatore conosce è quella che fa riferimento proprio all’autenticità della relazione: i bambini che accogliamo hanno una sensibilità tale che percepiscono all’istante se l’interesse mostrato nei loro confronti è autentico oppure no, e se si verificasse quest’ultima ipotesi ogni coabitazione diventerebbe di difficile gestione e visto che si parla di una media di circa tre anni di permanenza, viene spontanea la domanda: ma all’educatore conviene fare questo lavoro? E se si, non è più semplice cambiare utente con una più elevata frequenza?
          Le storie che conosciamo noi, e non perché abbiamo letto numeri, né perché volevamo fare business sulla “pelle” di altri, sono ben diverse. Per rispetto dei nostri ragazzi e della loro dignità, scegliamo di non riportarle. Il vero dolore, quello che viviamo noi esperti della relazione, non lo mostriamo e non lo sbandieriamo.
Restituire dignità fa a pugni con “fare business”. Noi lo sappiamo bene”.
Ancora una testimonianza, quella di Maria, psicologa e psicoterapeuta di una casa famiglia di Roma, che immediatamente si è messa in contatto con l’autore del pezzo:
          “Stamattina leggendo l’articolo ho provato una forte rabbia. Rabbia perché i miei colleghi ed io ci mettiamo non solo tutta la nostra professionalità ma anche tutta l’anima nel vivere ogni giorno fianco a fianco con i ragazzi che poco hanno avuto e che cercano di riscattarsi e costruire col nostro sostegno un futuro migliore in cui possano essere i protagonisti della loro vita. Certe generalizzazioni gettano discredito sul mio lavoro e su quello di tante altre persone che come me, si impegnano ogni giorno e combattono con le difficoltà burocratiche, con la difficoltà di fare un vero lavoro di rete con le istituzioni, con la difficoltà di arrivare a fine mese con lo stipendio.
          I ragazzi rimangono con noi fino alla maggiore età e per ognuno di loro c'è un progetto educativo personalizzato pensato e condiviso. I nostri ragazzi sanno che a 18 anni si prospetta una vita difficile, perchè devono diventare presto autonomi, ma sanno anche che non verranno nuovamente abbandonati perchè noi continuiamo a seguirli nel loro percorso di crescita e di vita autonoma anche quando questo percorso non è finanziato da nessuna retta. Tanti ragazzi presenti o accolti nel passato possono testimoniare che per loro la casa famiglia è una vera famiglia, una base sicura da cui partire per crearsi un futuro, a cui tornare nei momenti di difficoltà”.
          Per non parlare della testimonianza di Don Francesco, coordinatore di una casa famiglia a Corigliano Calabro che ha sottolineato come tutti, indipendentemente dal ruolo ricoperto nelle strutture, si dedichino molto di più rispetto a quello che verrebbe fatto per un normale lavoro.
          Sembra pleonastico ribadire ancora sulla grande confusione dell’articolo a proposito delle strutture di accoglienza per minori, delle differenze esistenti, dei loro differenti compiti e ruoli e sottolineare che, gli istituti di assistenza pubblici e privati, siano stati chiusi definitivamente nel 2006, data ultima fissata dalla L. 149/01.
          Le Federazione SCS/CNOS – Salesiani per il Sociale, a nome di tutte le associazioni e strutture affiliate che si occupano di minori chiede che venga approfondito l’argomento scrivendo di realtà silenziose che ogni giorno contribuiscono a migliorare la società offrendo a questi ragazzi e ragazze l’opportunità di diventare “onesti cittadini”.
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