Il cardinale arcivescovo emerito di Bologna ha predicato gli esercizi spirituali della Quaresima di quest'anno alla Curia vaticana e a Papa Benedetto XVI. L'editore Cantagalli ha raccolto le meditazioni in un libro che uscirà mercoledì 21 marzo. Ne anticipiamo l'introduzione e la “testimonianza” su Vladimir Solov'√´v.
del 16 marzo 2007
Per questo tempo di riflessione e di preghiera vorrei suggerire una meditazione “anagogica”, che cioè ci conduca e ci sospinga verso l’alto – alle “cose di lassù”, come dice san Paolo –; e quindi proporrei di chiedere al Signore, come grazia particolare di questi giorni, una consapevolezza più viva e pungente del “mondo invisibile”.
 
1 - Avere il senso del mondo invisibile: è un atteggiamento elementare nel credente, quasi preliminare a ogni vita di fede; è una persuasione semplice, concreta e in qualche modo onnicomprensiva. Ed è perciò necessaria ed esistenzialmente preziosa. Al tempo stesso, il senso del mondo invisibile – come tutto ciò che è ovvio e risaputo – corre il rischio di essere relegato in un angolo della coscienza del cristiano: così sottinteso e scontato da risultare alla fine psicologicamente inoperante e quasi annullato. Perché si sa che il modo migliore per censurare – o quanto meno isterilire praticamente – una verità non è quello di negarla o comunque di contestarla anche in parte; è dire: la conosco già, non è niente di nuovo. Noi siamo inoltre tanto più indotti a trascurare il mondo invisibile, in quanto gli uomini che di solito incontriamo – coi quali desideriamo entrare in dialogo – sembrano non dimostrare alcun interesse se non per le cose che possono vedere e toccare.
 
2 - In realtà, anche restando nell’ambito di una conoscenza puramente naturale, nessuno, per quanto sia ottuso e spiritualmente “ricurvo”, può evitare di chiedersi o presto o tardi, se vuol rimanere un essere del tutto ragionevole: i confini del “visibile” – cioè di quanto è attingibile con l’esperienza e con la ricerca scientifica – sono o no anche i confini dell’esistente? O, che è lo stesso, c’è o non c’è almeno la possibilità che esista qualcosa oltre al mondo di cui abbiamo più diretta notizia? C’è (almeno come possibilità) o non c’è (neppure come possibilità)? E’ un dilemma cui non si può sfuggire: bisogna decidersi, e la decisione comporta gravi e determinanti conseguenze già all’interno della vita di ogni giorno. Una pregiudiziale di rifiuto dell’invisibile ci rinchiude in uno spazio troppo angusto anche per le più naturali e insopprimibili esigenze umane; per esempio, viene emarginata “a priori” (e acriticamente) anche l’ipotesi dell’eventuale sopravvivenza delle persone amate e della nostra possibilità di rivederle. Di più, la ristrettezza del mondo visibile è tale che, una volta esclusa ogni superiore evasione, ci troviamo imprigionati nell’incongruenza e anzi nella insignificanza, dal momento che è difficilmente contestabile la folgorante intuizione di Ludwig Joseph Wittgenstein: “Il significato dell’universo non sta nell’universo”. Se non c’è senso nel mondo visibile e se non è pensabile che ci sia un “altrove”, saremmo condannati a vivere entro il non-senso. Chi invece si apre alla possibilità (anche alla sola possibilità) dell’invisibile, si affaccia su uno spazio dove le evenienze sono praticamente infinite, donde tutto si deve attendere e niente si può né prevedere né escludere. Dall’invisibile ci si può aspettare ogni sorpresa, anche l’allegria dei Cherubini e le incursioni degli arcangeli nel nostro mondo. L’uomo che “ragiona fino in fondo” non può escludere niente “a priori”: sa che se è arduo dimostrare l’esistenza di qualche cosa che non si vede – se non ci viene data positivamente qualche notizia dall’al di là –, è ancora più arduo dimostrarne apoditticamente la non esistenza. Mentre ci si può rifiutare, per manifesta assurdità, di credere che l’umanità sia una specie di tribù di ranocchi che gracidano la loro disperazione sulle rive del niente, è consentito ipotizzare (e sperare) che i figli di Adamo vivano sul limitare di una festa cosmica di creature felici; una festa alla quale essi sono tutti invitati. L’uomo “mondano” e secolarista possiede la più arrischiata delle certezze: la certezza di ciò che non c’è. E’ una certezza che conviene solo a Dio: solo colui che è onnisciente può elencare le cose che non ci sono. Certo, una volta condotta a termine l’esplorazione del mondo visibile, posso arrivare a una ragionevole persuasione che non esistano l’ippogrifo, i centauri e le sirene. Ma in nessun modo, se voglio restare razionale, posso convincermi che non esistano i Serafini.
 
3 - Sono, come si vede, argomentazioni prevalentemente “naturali”. Ma anche il credente come credente deve prendere sul serio questo discorso, se no finisce che, pur credendo di credere, a poco a poco esce dall’autentica prospettiva di fede. Intendiamoci, le tentazioni e gli scoraggiamenti sono sempre possibili. “Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto” (Is 38,14): ciascuno di noi in certi momenti è indotto a far sue queste desolate parole delle profezie di Isaia. Nei cristiani uno dei segni più persuasivi di un sicuro senso dell’invisibile è dato dall’attenzione affettuosa che si riserva alla realtà degli angeli. Mi ha sempre colpito il candore e la freschezza della visione di John Henry Newman su questo argomento; candore e freschezza che si rivelano fin dagli anni della sua infanzia: “Pensavo – egli ricorda – che la vita potesse essere un sogno, oppure io essere un angelo, e tutto questo mondo un inganno, dove i miei compagni angelici, per un giocoso stratagemma, mi si nascondevano e m’illudevano con l’apparenza di un mondo materiale”. E ancora a trent’anni, in un sermone del 1831, così si esprimeva parlando di quelle creature celesti: “Ogni alito d’aria, ogni raggio di luce o di calore, ogni bella vista è, per così dire, l’orlo della loro veste, l’ondeggiare del manto di coloro i cui volti contemplano Dio”. Senza dubbio la nascosta realtà degli angeli è tra le verità di fede più insidiate o addirittura derise da una cultura poco disposta a esplorare senza pregiudizi la reale ampiezza del mondo. Eppure già la policromia fantastica di questa aiuola appariscente, nella quale siamo stati provvisoriamente confinati, dovrebbe indurci almeno a sospettare anche l’esuberanza ultraterrena della divina immaginazione. Comunque la contemplazione di tale schiera misteriosa è opportuna ai fini di rivelarci l’intera bellezza della creazione e anche le vere dimensioni dell’esistenza ecclesiale. E ci aiuta a serbarne vivo il sentimento. E’ sempre in agguato nei nostri animi la propensione a rimpicciolire l’universo, proporzionandolo alla nostra esiguità e alla nostra grettezza, e a fare della nostra inadeguata e confusa conoscenza non – come è giusto – il naufragio dolcissimo nell’oceano troppo grande della totalità delle cose, ma l’arte infausta di immiserire il reale.
 
4 - Anche i cultori professionisti della sacra doctrina, a stare a ciò che talvolta dicono (o meglio non dicono) dalle cattedre e scrivono (o meglio non scrivono) nelle pubblicazioni, sembrano avere qualche allergìa nei confronti degli angeli. Nel 1976 è uscito in Italia un Nuovo Dizionario di Teologia che, almeno nella prima edizione, non aveva la “voce” relativa a questo tema; non solo, ma il termine non compariva neppure nell’accurato indice analitico, sicché è da pensare che degli angeli in quell’opera non si parlasse nemmeno incidentalmente. E tale esclusione non doveva essere stata facile impresa, se si pensa che l’intera vita del Signore Gesù – e proprio negli episodi più decisivi e rilevanti – è segnata dall’intervento di queste creature celesti: la concezione, la nascita, la permanenza nel deserto, l’agonia nel Getsemani, la risurrezione, l’ascensione al cielo, la sua venuta trionfale alla fine dei tempi. Mi chiedo: che cosa doveva fare di più la narrazione evangelica per convincere i credenti – e possibilmente anche i teologi – della reale e attiva esistenza degli angeli? Essi sono così coinvolti nella vicenda salvifica del Figlio di Dio che, a prenderli come personaggi mitici e quasi fiabeschi o a considerarli puramente simbolici e ornamentali, quasi come residui di una cultura oggi improponibile, si rischia di ritenere un mito o un artificio letterario tutto ciò che il nostro Redentore ha fatto per noi.
 
5 - Vorrei ancora aggiungere che il senso acuto e permanente del “mondo invisibile” mi è apparso sempre più importante nei molti decenni del mio impegno pastorale. Una delle cause più sottili di malessere e di avvilimento dei fedeli (e soprattutto dei sacerdoti) è l’impressione di appartenere ormai a una minoranza sociale e culturale; di dover esercitare la missione evangelica tra forze ostili soverchianti; di sentirsi propugnatori di un’utopia che i nostri contemporanei non accettano più neppure come ideale. Nella sincerità del suo cuore il prete in cura d’anime non è molto consolato dalla ecclesiologia dominante – talvolta sarebbe più pertinente chiamarla “ecclesiolalìa” – che parla di “Chiesa aperta”, che non si lascia racchiudere in un “ghetto” e non riconosce che ci sia un “assedio” da parte delle potenze mondane con le quali anzi programmaticamente siamo in dialogo. Non saremo un “ghetto”, – egli si dice nei momenti di onestà intellettuale – ma certo siamo un “piccolo gregge”; non sarà un “assedio”, ma è innegabile che ci sia un attacco multiforme e quasi quotidiano alla “nazione santa”. E si sente a disagio. Il rimedio non sta nel dimenticare o addirittura nel censurare quell’idea di “mondo” come entità ostile all’iniziativa di Dio, che è ripetutamente enunciata nel Nuovo Testamento (da san Giovanni, da san Paolo, da san Giacomo); non sta cioè nel negare che esiste ed esisterà sempre sino alla fine della storia un complesso organico di forze che si oppongono sistematicamente al progetto salvifico del Padre. Il rimedio sta nell’accogliere sul serio la parola di Gesù che ci informa che il “piccolo gregge” possiede già un Regno; sta cioè nel non perdere mai di vista la totalità delle cose come stanno, e in particolare l’effettiva estensione del mondo celeste, popolato di angeli e di santi, esuberante della divina energia da cui viene senza soste investita la terra. Allora svanisce ogni paura e viene superata la tristezza di essere un “ghetto”, dal momento che viviamo fin d’ora non in un ghetto, ma in una comunione affollatissima, dove con le Tre Persone divine palpitano e gioiscono le miriadi delle creature beate. Allora possiamo anche percepire quale sia il vero “assedio”: il vero assedio è quello operato invisibilmente sui cuori e sulla storia dallo Spirito Santo, effuso senza pause dal Risorto che sta alla destra di Dio; dallo Spirito Santo, che si adopera senza stanchezza a praticare nelle coscienze più indurite innumerevoli brecce segrete, perché penetri e si affermi la luce e il calore della grazia. Anzi, il popolo dei battezzati non solo può guardare, ma anche, con la conoscenza di fede, con tutta la vita ecclesiale e segnatamente con la celebrazione dell’eucaristia, può partecipare – e partecipa realmente – a questa esistenza trasfigurata. E così ogni ansietà si dissolve. Già l’autore della Lettera agli Ebrei, evocando l’iniziazione battesimale, faceva appello alla coscienza del mondo invisibile per salvare dallo sbandamento i suoi destinatari: “Voi vi siete accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quella di Abele” (Eb 12,22-24).
 
6 - Un’ultima osservazione. “Mondo invisibile” non significa “mondo remoto”, mondo astratto e incorporeo. Le “cose di lassù” sono in mysterio sostanziosamente presenti e operanti nella nostra esistenza di quaggiù; bisogna solo potenziare gli occhi della fede per percepirle connesse con la nostra vicenda terrena, addirittura immanenti nelle azioni e nelle esperienze della normale vita cristiana. Un esempio privilegiato è dato dalle celebrazioni liturgiche. Anche nell’eucaristia esteriormente più dimessa e senza splendore, la Chiesa vede sempre una scena entusiasmante e piena di fascino; e ce lo dice. La liturgia ambrosiana in un suo transitorium, antico e ancora in uso, così ci descrive ciò che avviene perfino nella più squallida delle messe: “Angeli circumdederunt altare/ et Christus administrat Panem sanctorum/ et Calicem vitae in remissionem peccatorum”. Domenica IX per annum: “Gli angeli stanno attorno all’altare/ e Cristo porge il Pane dei santi/ per la remissione dei peccati”.
 
7 - In conclusione, in questi giorni – e in tutto il tempo che ci resta da vivere – dobbiamo esercitarci sempre più nell’ascolto: – ascolto di ciò che la Rivelazione ci dice su ciò che sta di là dalla scena terrena, di là dalla folla di ombre e di immagini nella quale siamo immersi; – ascolto di quello che ci viene detto in molti modi dalla voce dello Spirito Paràclito, l’attore invisibile ma primario della nostra vicenda di quaggiù; – ascolto di qualche eco che possa giungere fino a noi dalla festa cosmica, che è destinata a essere anche la nostra festa.  
card. Giacomo Biffi
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