Gli effetti collaterali del programma antidroga afgano. Il governo afgano distrugge i raccolti d'oppio mettendo nei guai i contadini che, per saldare i debiti con i narcotrafficanti, non avendo soldi sono costretti a dar loro in sposa le proprie figlie. Condannandole spesso alla tossicodipendenza o al suicidio.
del 01 gennaio 2002
Gli occhi della piccola Zeva, dieci anni, sono pieni di lacrime: ha capito che non rivedrà più i suoi genitori, la sua casa, i suoi amichetti del villaggio. Piange in silenzio mentre suo padre, Gul Miran, 42 anni, contadino coltivatore di papaveri da oppio della provincia di Nangarhar, la tiene per mano per l’ultima volta, prima di consegnarla ad Haji Naquibullah, trafficante d’oppio, come pagamento di un debito di 50 mila afgani (circa 750 euro, ndr).
“Non ho soldi per pagarti – dice con rassegnazione Gul al suo creditore – perché il governo ha distrutto tutto il raccolto che ti dovevo. Prendi mia figlia”.
Naquibullah non ci pensa nemmeno un attimo: “Avevamo un patto chiaro – spiega l’uomo al contadino – che prevedeva che tu avresti saldato il debito in ogni caso, anche se il raccolto fosse stato distrutto dal maltempo o dal governo. Quindi accetto: prendo tua figlia. Tra un anno la darò in sposa a mio figlio: lui ha diciannove anni e la sua prima moglie, che ha sposato due anni fa, non è riuscita a dargli una prole”.
Accuse al governo.
Payenda Gul, un altro coltivatore di papaveri del distretto di Shinwar, è stato costretto a fare la stessa cosa dopo che il suo raccolto è stato bruciato dai funzionari governativi del programma antidroga.
“Pochi giorni fa, per saldare il mio debito, ho dovuto cedere mia figlia di diciassette anni al mio creditore: un uomo divorziato, di trentotto anni. Non avevo scelta. Quando si ha a che fare con i trafficanti d’oppio non ci sono alternative: bisogna pagare in qualche modo. E se non si hanno soldi, le figlie sono sempre ben accette perché il trafficante le può usare per prendersi una nuova moglie o garantirla ai suoi figli. La colpa di questa situazione è del governo, che invece di colpire chi gestisce il traffico di oppio, colpisce noi piccoli contadini”.
Vista da una figlia.
Una ragazza di diciassette anni, proveniente da un villaggio vicino a Jalalabad, racconta la sua esperienza, senza rivelare il proprio nome.
“Mio padre aveva un debito di 80 mila afgani (1.200 euro, ndr) ma il suo campo è stato distrutto dal governo e così non ha avuto altra scelta che darmi in sposa al suo creditore: un uomo cieco, che dovrò servire e riverire per il resto della mia vita. Non è quello che desidero, ma io sono una ragazza afgana e ho il dovere di rispettare il volere di mio padre”.
C’è chi dice no.
Non tutti però, a quanto pare, vedono come unica soluzione quella di saldare il debito cedendo una figlia.
Ad esempio Moalem Faqir, coltivatore del distretto di Khogyani, ha deciso di fare altrimenti.
“Il governo ha distrutto il mio campo e il mio raccolto. Ora non ho più niente per pagare i miei debiti. L’uomo a cui devo i soldi ha cinquant’anni. Vuole che gli dia mia figlia, che di anni ne ha solo venti, per prendersela come seconda moglie. Ma io non voglio, non darò mai mia figlia a un uomo così vecchio, per saldare un debito. Piuttosto venderò il mio terreno, ma mia figlia rimane con me”.
Fenomeno sommerso.
“Purtroppo da quando è partito il programma antidroga del governo – spiega Sayed Jafer Muram, responsabile provinciale del programma stesso – questo fenomeno dei contadini indebitati con narcotrafficanti che pagano con le loro figlie è diventato molto diffuso. Ma le autorità non possono agire perché questi casi non vengono denunciati: i contadini infatti, se lo facessero, verrebbero automaticamente accusati di traffico di droga. Quindi preferiscono non far sapere nulla”.
“I padri che sono costretti a dar via le loro figlie non avvertono nessuno, né la polizia, né le organizzazioni umanitarie – dice Sharifa Shahab, dell’International Committee for Human Rights (Ichr) –. Per questo non si può far nulla. E quel che è peggio è che molte di queste ragazzine finiscono con il togliersi la vita o con il diventare, data la compagnia, tossicodipendenti”.
Haytullah Gaheez ( Giornalista freelance afgano di Jalalabad, collaboratore dell’Institute for War and Peace Reporting )
Haytullah Gaheez
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