del 31 marzo 2017
La strada per un riconoscimento ufficiale del suo martirio è aperta: a deciderlo sarà la Congregazione delle cause dei santi...
In Brasile è già venerato e considerato un martire della fede. A Padova, sua terra natale, è vivo il ricordo del suo impegno per gli ultimi, come pure la consapevolezza del suo essere dono della Chiesa nell’adesione al Vangelo fino alla morte. Ora la strada per un riconoscimento ufficiale del suo martirio è aperta: a deciderlo sarà la Congregazione delle cause dei santi. Lui è il servo di Dio padre Ezechiele Ramin – per tutti Lele – comboniano padovano ucciso il 24 luglio 1985 al rientro da una missione pacificatrice nella fazenda Catuva, nel Mato Grosso, dove si era recato, pregato da mogli e madri dei contadini, per convincerli a non armarsi contro i latifondisti. Sette sicari e cinquanta colpi.
Le sue ultime parole: «Vi perdono». La sua fu una missione di pace e non la deci- sione sprovveduta o impulsiva di un giovane missionario, ma il segno di una chiesa presente al fianco dei poveri. Questa in sintesi la forza delle testimonianze che sono state raccolte in Brasile dove lo scorso anno è stata aperta l’indagine per il riconoscimento del martirio e dove per la prima volta è stato possibile analizzare gli atti del processo sulla sua uccisione, ma anche fare chiarezza sulle motivazioni dell’impegno di Ramin a fianco dei contadini, ricostruendo il suo 'martirio' nel contesto della difficilissima situazione di violenza e sfruttamento che si viveva in quelle terre.
Una testimonianza fra tutte, quella di un contadino: se quel giorno Ezechiele non si fosse recato nella fazenda ci sarebbe stato un vero e proprio massacro e ora «potremmo accusare la Chiesa di omissione ». La sua presenza lì non era il frutto di un’imprudenza – commenta il postulatore generale padre Arnaldo Baritussio – «Ezechiele ha seguito una mozione del Signore. La sua immolazione è stata una conseguenza naturale della sua consacrazione e della sua lettura profonda del Vangelo, del suo amore fedele a Cristo, alla Chiesa e ai fratelli più ingiustamente trattati. Padre Ezechiele aveva posto il bene altrui al di sopra del suo proprio bene». Sabato 25 marzo a Padova si è chiusa la rogatoria diocesana a pochi giorni dalla chiusura dell’indagine nella diocesi di Ji-Paraná in Brasile (lo scorso 4 marzo). Due faldoni sigillati saranno portati alla Congregazione delle cause dei santi insieme alla documentazione brasiliana che dovrà studiare tutto il materiale raccolto (cinquemila pagine) in 80 sessioni di tribunale in Brasile (con l’audizione di 73 persone) e altre 37 sessioni del tribunale padovano (con 33 testi).
Da Padova le testimonianze di chi l’ha visto crescere e formarsi nella fede, dal Brasile quelle che documentano il suo impegno per la causa del Vangelo e la memoria del suo martirio. «Quello di Ezechiele Ramin – commenta a margine della chiusura della rogatoria il postulatore Baritussio – è un caso che ha una rilevanza molto grande, perché mette in moto una visione della Chiesa e dell’opzione dei poveri sulla linea di papa Francesco, è il segno di una Chiesa brasiliana che non ha avuto paura del confronto e che ha trovato in Ezechiele una riso- nanza grandissima che può offrire elementi per una chiesa sempre più rinnovata, coraggiosa, in uscita. La sua è una vita donata per amore di Cristo e dei fratelli».
«Ezechiele è un invito per tutti noi – ha commentato il vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla –. Se il Signore lo ha chiamato ad essere testimone anche con il sangue è perché chiede a tutta la sua famiglia e alla sua chiesa di continuare, e a ciascuno chiede di dare il massimo e il meglio».
Sara Melchiori
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